FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 65
novembre 2023

Autunno

 

SUITE D'AUTUNNO

di Lucetta Frisa



I corpi, come rami spezzati,
come radici sradicate.

GEORGOS SEFERIS


PERCHÉ ORA?

Perché quella esplosione d’oro ovunque
proprio al centro dell’autunno?
Perché l’oro più luminoso
adesso?

Subito gli alberi non si spogliano di tutte le foglie:
qualcuna resta su attaccata ai rami
svolazza un po’
muore
dopo.

Poi la città rabbrividisce.


AMO GLI ALBERI

Amo gli alberi
forse perché hanno gesti quasi umani,
eretti contorti a braccia aperte
scintillano ingenui nell’azzurro
o ingrigiscono sui grigi fondali
denudano neri i propri scheletri
s’incurvano d’inverno sul segreto
della caduta notturna del ghiaccio.
Sempre le radici ficcate nella terra
sempre l’origine incatenata in basso
e non c’è forza di cataclisma
che li strappi di lì a trapiantarsi a rovescio,
tra le nuove terre di nuvole ad esempio, e li sconquassi
violento e folle un vento che solleva e solleva
e tutto sembra strappare, ricominciare.


MEMORIA

Se l’oro è l’essenza profonda della terra
forse un tempo
c’era solo l’estate

Che lenta diradò
mutandosi In autunno.

Fu così che si mosse il tempo.

L’antica estate si chiamò memoria

Fragile come una foglia
che il vento va soffiando
a caso.


AD OCCHI CHIUSI

Calpesterò la nostalgia come una radice secca.
È questa la città che un tempo fu bosco?
Non c’eravamo né io né te a parlare
del bosco. Noi si respirava, inconsapevoli.
Stupiti e muti
eravamo noi gli alberi le foglie gli uccelli i rami

Non parlarmi del bosco come della nostra infanzia
di Hansel e di Gretel e della casa
nascosta nel folto che si metteva a bruciare
non appena la lasciavamo.

Si andava nel bosco ad occhi chiusi
Si vedeva sempre l’aperto.
Anche nel buio.

È questa la radice da calpestare?

Possiamo alzare gli occhi e il bosco
lassù
vola nei suoi grigi veli di fumo
si congeda volando
ma ritorna
a volte ritorna.
Adesso
da queste snudate geometrie,
vorrei descriverti tutte le sue foglie
nei loro timbri diversi per ogni stagione
Ricordano
il disegno stupendo
di quell’antica invisibile città
che sta tra il cielo e il sottosuolo
nella nostra topografia.

Qui
si cammina
su versi d’erba secca
dove si inciampa
tra le lastre lucide dei marciapiedi
si inciampa
e si cade.


LA NUOVA CITTÀ

Dicono che la nuova città avrà nel mezzo
una struttura verde e grandi alberi plastificati
Nessun rifiuto nascosto, nessun vecchio malato
pazzo
povero.

Ci sarà il posto per il mare
eternamente calmo
E per l’estate sempre odorosa.
Noi si vedrà tutto
dietro griglie e lenti trasparenti
carezzando immagini e numeri.

Tutte le prospettive
non condurranno a Roma
né in altro luogo;
si vivrà dentro un unico nome
inclusivo, facile da ricordare.

Il bosco e il mare sottratti
o messi via
nei ritratti, nelle foto d’archivio.
(perché I testimoni non si uccidono
si lasciano morire
in lenta dissolvenza).

Gli occhi solo loro si consumano
bruciano fantasmi di sale
bruciano rossi
la città il bosco il mare.
Cenere d’ ossa e di case
destrutturate
assopite
che forse si sveglieranno domani
inconoscibili.

Ci dicono che quell’ombra sottopelle
fastidiosa
incongrua
sia nostra radice e ustione.


ACQUA

Nel bianco
marcio di perfezione
la penna affonda.

Addio a ciò che non può cominciare
o è iniziato senza il profondo:
nessun indizio. È il freddo
che la memoria imbroglia e non c’è vento
né una sorgente nascosta
C’è mai stato il mondo?
un nome?

Premo un tasto
scrivo
fogli di schegge sottratti a un fango antico
salgo controcorrente
la lastra del ghiaccio.


FUOCO

Se potesse spezzare la compattezza
giustiziando leggero
violento
fedele alla fiamma del legno

Da dove viene ora, con quale parola?
È già cenere?
Così lo accolgo
prima di scrivere.


CASE

le nostre case stanche
bruciano nei termosifoni
le stelle livide dei sogni.
I cani latrano negli angoli.


MONACO

arroccato tra sbarre e pietre gelide
viaggia nel tepore delle parole
dei grandi libri dai nervi caldi.
Ma il corpo scandaloso sente il fuoco
i suoi mutamenti colpevoli
l’altra saggezza – separata.
E veste di quelle fiamme il muro
della cella che non si spengono più
Scorticato
si taglia gli occhi.


PAROLA

Dialoga in tutte le lingue
fa finta di commuoversi.

Tace ai culmini
– né balbettìo né libro –
riflette i riflessi ma gli specchi
si scioglieranno?

Il vuoto
Domani
Davanti alle finestre.


MALINCONIA

Della malinconia le inclinazioni
non potrai non seguire.
Se lo sguardo al tramonto entra nell’ombra
sulle cose scenderà la polvere
che si insinua tra gli illusi contorni.
È il prezzo di chi non si inganna.
Giorno per giorno l’invisibile avanza
attenuando questa luce terrena
e tu resti in piedi sulla soglia
sereno ma prigioniero.
Così vuole la tua natura autunnale.


lux.frisa@libero.it