FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 65
novembre 2023

Autunno

 

LA POESIA DI ELISEO DIEGO

di Stefano Tedeschi
e Mayerín Bello



Nato a La Havana nel 1920 Eliseo Diego inizia a scrivere i suoi primi racconti da bambino, e nei suoi anni di studio conosce Cintio Vitier, a cui lo legherà una profonda amicizia e un ininterrotto legame intellettuale. Nel 1942 esce la sua prima raccolta di racconti, En las oscuras manos del olvido, e due anni più tardi si pubblica il primo numero della rivista Orígenes, diretta da José Lezama Lima e José Rodríguez Feo, di cui fu uno dei fondatori. Qui Diego pubblicò un gran numero di poesie, saggi e articoli, diventando uno dei maggiori rappresentanti della cultura cubana riunita intorno a quella rivista. Dal 1959 tiene corsi di letteratura inglese e nordamericana presso la Casa de las Américas, poi diventa responsabile della sezione di Letteratura Infantile della Biblioteca Nazionale di Cuba José Martí.

Il suo contributo maggiore alla letteratura ispanoamericana viene dalla sua opera poetica, che inizia a pubblicare nel 1949 con la raccolta En la calzada de Jesús del Monte, e che continua con altre raccolte memorabili come Por los extraños pueblos (1958), El oscuro esplendor (1966), Libro de las maravillas de Boloña (1967), Los días de tu vida (1977), A través de mi espejo (1981), Inventario de asombros (1982), Soñar despierto (1988) e Cuatro de oros (1990). Oltre a varie raccolte di racconti, si devono a Eliseo Diego anche alcune eccellenti traduzioni di narratori e poeti di lingua inglese, e di opere di letteratura infantile, di cui fu uno dei massimi conoscitori in tutta l’America Latina.
Eliseo Diego morì a Città del Messico nel 1994, dove si era recato per un ciclo di conferenze.


Nota critica di Mayerín Bello

Prima di tutto grande poeta, ma anche narratore e saggista di spicco, Eliseo Diego è sempre stato accolto con entusiasmo e calore dai suoi lettori e studiosi. Una delle sue carte vincenti è stata la sapiente gestione del linguaggio, che adattava con la saggezza di un fine artigiano alle esigenze del genere in cui desiderava esprimersi. Nella poesia, l’assiduità della pratica gli assicurò una competenza che finì per plasmare uno stile al quale sarebbe rimasto sempre fedele.

Così, i suoi temi preferiti – il passare del tempo e le sue conseguenze; l’urgenza della memoria e l’insidia dell’oblio; l’enigma della realtà; la necessità della poesia come strumento di conoscenza; la morte; le angosce e le gioie dell’essere – vengono modulati attraverso strategie varie e rinnovate che li dotano di sfumature e li fanno guadagnare in profondità. Le conseguenze più evidenti sono la concisione gravida di significato o, per dirla con i termini che userà per riferirsi ad altri, “l’insondabile semplicità” dei suoi versi; la suggestione che fugge dall’esplicito e sfiora l’enigmatico, senza però eccedere in un eccessivo ermetismo; il registro lessicale ampio ma che non va mai oltre il decoro; il ritmo di fondo che nasce dal contrappunto con il bianco della pagina, o l’uso rigoroso di una misura di verso che può passare inosservata perché non associata alla rima, usata con molta discrezione, o il riuso di forme strofiche di vecchio stampo; infine – e l’elenco non è esaustivo – la moltiplicazione dei punti di vista da cui si osserva il mondo con estrema attenzione, e lo scandaglio di un’intimità che ci rende complici perché ci riconosciamo in essa.

Anche se questi temi possano far pensare, a chi si avvicina per la prima volta alla lettura di Eliseo Diego, che tutto ciò che lo riguarda sia solenne e serio, una tale percezione non gli renderebbe giustizia, perché se è vero che non rifugge dall’angoscia o dal dolore esistenziale, c’è anche leggerezza, piacere, umorismo e ironia nella sua opera. Tutti questi tratti, atteggiamenti ed emozioni sono testimoniati anche nei suoi racconti, anche se la sfaccettatura del narratore è spesso messa in ombra da quella più marcata del poeta. Di certo Diego ha scritto poesie fino all’ultimo momento e racconti solo occasionalmente, ma nonostante ciò i suoi testi narrativi riecheggiano le stesse ossessioni delle sue poesie. Non bisogna dimenticare il Diego saggista.

Le sue conferenze e le sue riflessioni, dotate di una pacatezza e di un fascino che ne garantiscono la leggibilità, l’empatia e il godimento, sono istruttive sulle motivazioni e le urgenze che muovono la sua scrittura. Tale insieme è, come si vede, di notevole unità e coerenza, poiché obbedisce a una concezione del mondo e a una poetica che si manifestano ovunque nella sua scrittura, al di là delle forme e dei generi utilizzati. Questa corrispondenza è responsabile della consistenza di questo universo creativo che, pur collegandosi e rispondendo alle esigenze del suo tempo e delle circostanze, è anche dotato di un umanesimo e di un valore artistico che hanno garantito e garantiranno la sua trascendenza a dispetto del tempo che “lo spazza via”, come dice uno dei suoi versi più famosi.




POESIE DI ELISEO DIEGO


da En la Calzada de Jesús del Monte
[Sulla Calzada de Jesús del Monte]
1949


VOY A NOMBRAR LAS COSAS

Voy a nombrar las cosas, los sonoros
altos que ven el festejar del viento,
los portales profundos, las mamparas
cerradas a la sombra y al silencio.
Y el interior sagrado, la penumbra
que surcan los oficios polvorientos,
la madera del hombre, la nocturna
madera de mi cuerpo cuando duermo.
Y la pobreza del lugar, y el polvo
en que testaron las huellas de mi padre,
sitios de piedra decidida y limpia,
despojados de sombra, siempre iguales.
Sin olvidar la compasión del fuego
en la intemperie del solar distante
ni el sacramento gozoso de la lluvia
en el humilde cáliz de mi parque.
Ni tu estupendo muro, mediodía,
terso y añil e interminable.
Con la mirada inmóvil del verano
mi cariño sabrá de las veredas
por donde huyen los ávidos domingos
y regresan, ya lunes, cabizbajos.
Y nombraré las cosas, tan despacio
que cuando pierda el Paraíso de mi calle
y mis olvidos me la vuelvan sueño,
pueda llamarlas de pronto con el alba.


DARÒ NOME ALLE COSE

Darò nome alle cose, le sonore
terrazze corteggiate dal vento,
i portali profondi, i paraventi
chiusi all’ombra e al silenzio.
E il sacro interno, la penombra
solcata da riti polverosi,
il legno dell’uomo, il notturno
legno del mio corpo quando dormo.
E la povertà del posto, la polvere
testata dalle orme di mio padre,
luoghi di pietra risoluta e nitida,
sprovvisti d’ombra, sempre uguali.
Senza dimenticare la pietà del fuoco
nell’intemperie del terreno lontano
o il piacevole sacramento della pioggia
nell’umile calice del mio parco.
Né il tuo stupendo muro, mezzogiorno,
terso, indaco e interminabile.
Con l’immobile sguardo dell’estate
il mio affetto conoscerà i sentieri
da dove fuggono le avide domeniche
per tornare, già lunedì, a capo chino.
E darò nome alle cose, lentamente,
che quando della mia strada perda il Paradiso
e l’oblio me la trasformi in sogno,
possa evocarle qui di colpo all’alba.


LOS PORTALES

Entre la tarde caldeados, desiertos fijamente, a solas
esparcían su ociosa figuración de la penumbra
los portales profundos, que nunca fueron
el umbral venturoso de la siesta,
la que rocía con dedos suaves los sonidos
y ahonda las estancias,
sino que arden hacia dentro como los ojos blancos
de los ángeles
en sus nichos de piedra que la lluvia rural va
desgastando.
También la lluvia los oprime, también roe sus
columnas como vejez la lluvia
rodando sordamente por los aleros, son del tiempo,
vasta como el canto.
Y el sol, el rojo sol como garganta que un alarido
raspa.
Es allí que alterna la majestad sombría de las
bestias ocultas en el húmedo patio
con la redonda gracia del almacén ungido por el
sabroso humo y el alimento espeso de la luz.
Melancólicamente las ventanas dormidas añoran
la provincia,
las memorables fiestas de la brisa y el mundo,
en tanto las barandas de hierro, carcomidas por
el aciago fervor del polvo lento,
entre los aires tuercen alucinantes sueños
y esperanzas.
También el aire, su demencia tranquila los recorre.
Y acumulaban polvo, eran lujosos en polvo como
los majestuosos pobres
cuando pasean los caminos cubriéndose de polvo
desde los anchos pechos
como si el polvo de la Creación fuese la ropa
familiar de un hombre,
con parecida simplicidad temible colmábanse
los portales
de aquel polvo tan hondo, tan espeso, alucinante
agobio de los ojos,
desde la fuente de Agua Dulce al nacimiento
sombrío del silencio.
Es allí que alterna la vejez de las tablas
oscurecidas blandamente
con la piedra rugosa, nevada y pontificia
que coronan las nubes con su purpúrea hiedra,
y el tumultuoso viento henchido de voces como
río que surca el escándalo bermejo de los peces.
La piel áspera y tensa del polvo nunca supo
el alivio del árbol ni la grácil ternura de las danzantes
hierbas.
Corredores profundos atraviesan la tarde con un
fervor de soledad demente.
Ah de las puertas petrificadas bajo la canosa
locura de su nieve
cuando la brisa solitaria canta y las criollas tablas
dulcísimas y pobres se contestan.
Y aquel oro tan suave, que ilumina el arrugado
rostro de los muros
como un fuego lejano que dibuja en el cristal
las amorosas nuevas del pan y la familia,
su pensamiento secreto nos ofrece como el oculto
corazón de Dios.


I PORTALI

Nella sera accaldati, deserti e immobili, da soli
spargevano la oziosa raffigurazione della penombra
i portali profondi, che mai furono
la soglia fortunata della siesta,
che asperge con dolci dita i suoni
e si inabissa nelle stanze,
ma che ardono invece dentro come gli occhi bianchi
degli angeli
nelle loro nicchie di pietra che la pioggia del campo va
consumando.
Anche la pioggia li soffoca, erode le
colonne la pioggia come la vecchiaia
rotolando sordamente dalle gronde, suono del tempo,
vasta come il canto.
E il sole, il rosso sole come una gola che un urlo
graffia.
Lì si alterna l’ombrosa maestà delle
bestie nascoste nell’umido cortile
con la rotonda grazia del ripostiglio unto dal
saporito fumo e dal denso nutrimento della luce.
Malinconiche finestre addormentate rimpiangono
la provincia,
le feste memorabili della brezza e del mondo,
mentre le ringhiere di ferro, tarlate dal
fatidico fervore della polvere lenta,
nell’aria distorcono allucinanti sogni e
speranze.
Anche il vento con la sua tranquilla demenza li attraversa.
E accumulavano polvere, sontuosi di polvere come
i solenni poveri
quando camminano sui sentieri e di polvere si coprono
l’ampio torace
come se la polvere della Creazione fosse abito
familiare dell’uomo,
con similare familiarità temibile si riempivano
i portali
di quella polvere profonda e densa, allucinante
gravame degli occhi,
dalla fontana di Agua Dulce alla nascita
ombrosa del silenzio.
Lì si alterna la vecchiaia delle tavole
dolcemente annerite
con la pietra rugosa, nevosa e pontificia,
coronate dalle nubi con la loro edera porpora.
E il tumultuoso vento gonfio di voci come
un fiume solcato dal vermiglio scandalo dei pesci.
La pelle aspra e tesa della polvere mai conobbe il
sollievo dell’albero o la gracile tenerezza delle
erbe danzanti.
Corridoi profondi attraversano la sera con un
fervore di solitudine demente.
Ahi, delle porte pietrificate sotto la canuta
pazzia della sua neve
quando canta la brezza solitaria e le dolcissime e
povere tavole creole si rispondono.
E quell’oro così dolce, che illumina il corrugato
volto dei muri
come un fuoco lontano che disegna sul vetro
le notizie amorose del pane e la famiglia,
il suo pensiero segreto ci offre come il nascosto
cuore di Dio.


LA RUINA

La casa que la luz fuerte derriba
me da un gusto de polvo en la garganta, me deslumbra
como un dolor su lenta decisión de morir, su fatigosa
decisión de morir, su pena inmensa.
Raída para siempre, qué trabajo
le cuesta desprenderse de sí, cómo no sabe
y equivoca sus daños y confía
pero de pronto vuelve
a conocer este salvaje desgarramiento final y se decide
con aparente calma, silenciosa y magnífica en su horror,
hecha de polvo.


LA ROVINA

La casa che la forte luce abbatte
mi lascia un gusto di polvere nella gola, mi abbaglia
come un dolore la sua decisione lenta di morire, la faticosa
decisione di morire, la sua immensa pena.
Usurata per sempre, quale fatica
le costa staccarsi da sé, come non conosce
e riduce i suoi danni e confida
ma di colpo torna
a riconoscere quel selvaggio squarcio finale e si decide
con apparente calma, silenziosa e magnifica nel suo orrore,
fatta di polvere.


EL JUGADOR

Digo la pena y el oscuro lienzo
en que la tarde borda sus descuidos
y las fatales gracias del olvido
que nos vacía la paz, y el piano intenso,

torpe y profundo en su inocencia vana,
que apura el blando tedio hasta la muerte,
la fabulosa corte de la suerte
que dulcemente minia la ventana

sobre la tabla de amargura suave,
reyes y bastos y las copas llenas
de una soñada sombra y lento rayo

de las espadas como bando de aves,
breve Creación que su paciencia llena
de alucinantes oros y caballos.


IL GIOCATORE

Dico la pena e l’oscura tela
dove la sera borda errori suoi
e le fatali grazie dell’oblio
che la pace ci dona, il piano intenso,

maldestro e profondo con innocenza vana,
che logora la blanda noia fino alla morte,
la favolosa corte della sorte
che delicata ricama la finestra

sulla tavola dell’amarezza dolce,
re, bastoni e le coppe colme
di sognate ombre e il lento dardo

delle spade come stormo d’uccelli,
breve Creazione che la pazienza colma
di cavalli e ori allucinanti.


EL DESCONOCIDO

Pasajero de blanco y suave lino
a quien la tarde borra entre sus oros,
con ágil paso y mágico decoro
te nos vas a la noche y tu destino.

Hace un instante su rostro parecía
como en familia eterno conocido,
nos alegró de verlo detenido
por el favor fugaz de su alegría.

Los portales, la luz, su furia breve
y aquel horror inútil que venía
del almacén donde la luna bebe,

la soledad del hombre no existía,
que la tornaba soportable y leve
su religioso adiós, la cortesía.


LO SCONOSCIUTO

Passeggero di bianco e dolce lino
che la sera cancella col suo oro,
con agile passo e magico decoro
te ne vai verso la notte e il tuo destino.

Fa un attimo che il volto suo sembrava
come in famiglia da sempre conosciuto,
ci rallegrò osservarlo trattenuto
dal favore fugace della sua allegria.

I portali, la luce, la furia breve
e quell’inutile orrore che veniva
dal ripostiglio dove la luna beve,

l’umana solitudine più non c’era,
e la rendeva sopportabile e leggera
il religioso addio, la cortesia.


da Por los extraños pueblos
[Per estranei paesi]
1958



EL ALMACÉN

El almacén, señores, el ardiente
almacén de costados dolorosos,
en la esquina del polvo, reluciente
de fealdad, a quien deslumbra el foso
en que se hunden las sombras, y los cantos;
foso del mediodía, ceniciento
de sabor, infinito para tantos;
el almacén, señores, que yo siento
como muelle del pueblo, adonde llegan
las noticias del mundo, misteriosas,
inocentes del tiempo que navegan,
y la real belleza de las cosas;
muelle contra las tardes que me niegan
en hondas soledades silenciosas.


LA BOTTEGA

La bottega, signori, la rovente
bottega dai fianchi dolorosi,
nell’angolo di polvere, splendente
di bruttezza, che illumina la fossa
in cui affondano le ombre, e i canti;
fossa del mezzogiorno, cinerea
al gusto, infinita per tanti;
la bottega, signori, che io avverto
come molo del paese, dove giungono
le notizie del mondo, misteriose,
innocenti del tempo che navigano,
e la reale bellezza delle cose;
molo contro le sere che mi negano
in profonde silenziose solitudini.


PONTE LA VIEJA CAMISA QUE SABE

Ponte la vieja camisa que sabe
del año rumoroso y del tranquilo
año inocente de sucesos graves
como tela de ciegos, azulados hilos.
Ponte el sombrero de ilusión caída
que te alegraba con su tosca nieve.
Ponte el chaleco de las bienvenidas
y la corbata ilustre de las nueve.
Porque es seguro que vengan esta tarde,
porque es seguro que vengan a decirte
algo importante como un noble alarde
que te bastara para no morirte.
Pero mira la noche, ya es muy tarde,
y apenas esperabas, debes irte.


METTI LA VECCHIA CAMICIA CHE SA

Metti la vecchia camicia che sa
dell’anno rumoroso e del tranquillo
anno innocente di avvenimenti gravi
come una tela con ciechi, azzurri fili.
Metti il cappello d’illusione perduta
che ti rallegrava col suo grezzo bianco.
Metti il gilet dell’ospitalità
e la magnifica cravatta delle nove.
Perché sicuro che verranno questa sera,
perché sicuro che verranno a dirti
qualcosa d’importante, un onore illustre
che ti basterebbe per non morire.
Però guarda la notte, è molto tardi,
aspettavi da poco, e già devi andare.


EL MIMBRE

Esa dulzura minuciosa y pobre
del mimbre viejo en el salón sombrío,
nos consuela del lunes cuando el frío
noviembre vuelca sus infaustos cobres
en las sordas cenizas del crepúsculo.
Su frescor a los ojos admirable
vuelve las soledades soportables
mientras giran carámbanos minúsculos
al demente compás de las arañas,
que imaginan sus fiestas ilusorias.
Conversa el mimbre con la dura gloria
del macilento mármol que nos daña
la vida en las consolas increíbles.
Y si a veces las ciénagas de Roma,
pobladas por la lívida carcoma,
o las francesas danzas imposibles
con su canoso ruido de tiniebla
sepultan nuestra suerte, claro el mimbre,
junto a la estatua de siniestro timbre,
amanece callado entre la niebla.


DI VIMINE

Quella dolcezza accurata e povera
del vecchio vimine nel salone ombroso,
ci consola del lunedì quando il freddo
novembre rovescia i funesti rintocchi
nelle ceneri sorde del crepuscolo.
La sua freschezza agli occhi mirabile
rende sopportabili le solitudini
mentre minuscoli ghiaccioli girano
al demente ritmo degli aracnidi,
che immaginano loro feste illusorie.
Conversa il vimine con la dura gloria
del macilento marmo che ci guasta
la vita sulla consolle incredibile.
E se a volte le paludi di Roma,
abitate dal livido tarlo,
o le impossibili danze francesi
con quel vecchio rumore di tenebra
sotterrano il nostro fato, il vimine chiaro,
vicino alla statua dal sinistro timbro,
si sveglia silenzioso nella nebbia.


LAS ROPAS

¿Y cómo eran las ropas,
las obstinadas, fieles ropas
del abuelo? Su saco
de fervorosa pana,
¿cómo era? ¿Su chaleco
de áureo relumbre, su corbata
de litúrgico lazo, y aquel cuello
nevado desde siempre?
¿Y cómo para ir
al nocturno Liceo, y cómo
para la vasta misa?
¿Y para el fausto melancólico
de la prudente cena,
y para estarse inmóvil?
¿Y cómo el imposible,
absurdo peso de aquel paño,
fue la costumbre de sus días,
si ya, cegado espejo
de la quinta, se vuelve,
con la mágica lluvia,
materia ya del sueño,
lienzo de la locura?


I VESTITI

E com’erano i vestiti,
gli ostinati, fedeli vestiti
del nonno? La sua giacca
di velluto infiammato,
com’era? Il suo gilet
di aureo splendore, la cravatta
col nodo liturgico, e quel colletto
candido da sempre?
Com’era per andare
al notturno Teatro, come
per la messa enorme?
E per il fasto malinconico
della prudente cena,
per rimanere immobile?
E come l’impossibile,
assurdo peso di quella stoffa,
fu l’abitudine dei suoi giorni,
se ormai, specchio offuscato
della tenuta di campagna, diventa,
con la magica pioggia,
materia ormai del sogno,
tela della pazzia?


SE ACABARON LAS FIESTAS

Se acabaron las fiestas que solían
iluminar los hondos corredores
en que las buenas tardes se cumplían.
Se acabaron sus lucidos colores.
La pobreza del circo en el poniente
nos dijo el exterior vasto y eterno.
Se acabaron los circos, inocentes
como los organillos del invierno.
Ya las tardes se olvidan sus ligeros
dioses añiles de costumbres suaves.
No vuelve con el año la fragancia
de los mágicos coches y linderos
–ni del barco solo con noticias graves –
de la sombra, las pérgolas y Francia.


SONO FINITE LE FESTE

Sono finite le feste che solevano
illuminare i profondi corridoi
dove la buona sera si compiva.
Sono finiti i suoi lucidi colori.
La povertà del circo del ponente
ci disse il lontano vasto ed eterno.
Sono finiti i circhi, innocenti
come gli organetti dell’inverno.
Le sere ormai dimenticano i leggeri
dèi indaco dai dolci costumi.
Non torna con l’anno la fragranza
delle magiche carrozze e dei suoi bordi
– né più la nave solo con notizie gravi
dell’ombra, le pergole e la Francia.


LAS ISLAS

Después que se acababa, discreta, la comida,
después que el pan era acabado,
y el aceite vertido
y la sal inocente derramada,
(en el mantel las manchas, las figuras
de las islas, las bestias, las barajas),
el silencio se abría
en una pausa final para la dicha.
Y era bueno sabernos en los sitios
de costumbre lo mismo que los astros,
y era hermoso mirar
la hirviente nave del maíz dorado.
Pero después que todo se acababa,
las cortezas de fuego entre la espuma,
se abría el silencio como un mar en calma
cerrándonos allí como en las islas
que la serena tarde se ha olvidado.


LE ISOLE

Dopo che, discreta, la cena finiva,
dopo che era finito il pane,
e l’olio versato
e sparso il sale innocente,
(sulla tovaglia le macchie, le figure
delle isole, le bestie, le carte),
il silenzio si apriva
in una pausa finale per la gioia.
Ed era bene saperci nei posti
di sempre, come gli astri,
ed era bello guardare
la rovente navata del mais dorato.
Ma dopo che era finito tutto,
le cortecce di fuoco nella schiuma,
si apriva il silenzio come mare in calma
bloccandoci lì come nelle isole
che la sera serena ha già dimenticato.


LA ORILLA DE LA CALMA

Vamos a conversar un poco en el patio más hondo, que refresca el
añil con su antigua memoria de las aguas.
Trae el viejo sillón de mimbre, trae el viejo sillón, trae
la mesita oscura.
Dignamente las ascuas del tabaco glorioso, en la penumbra rojas,
y el verde niño del cocuyo, y el sagrado amarillo de las Pléyades,
dignamente las ascuas. La brisa entre las palmas nos descubre,
viniendo alta, como noticia buena.
Dime del mar y de los resonantes caracoles, cuéntame
del cercano abismo, dime del mar y de las islas claras.
Dime más bien la minuciosa gloria de tus años, el admirable
can de triste boca, las fabulas nocturnas del vidriero.
En la radiante costa de mi pueblo rompe la paz de la llanura
prodigiosa, en la radiante costa de mi pueblo, en la pared salvaje.
Dime del mar y de los resonantes caracoles, en tanto pienso
en la llanura vastamente, y miro la profunda noche,
y escucho su resaca suavísima en las tejas.
Yo vi las lentas auras navegantes, y yo las altas guardarrayas
militares, y yo el esplendor espeso de calma.
Cruje el viejo sillón en el silencio, le responden las crujidoras
pencas, el alto viento de las islas,
y el verde niño del cocuyo responde al amarillo de las Pléyades
y al naranja cordial del ascua.
Dime más bien la minuciosa gloria de tus años, el perdido reloj
Con las bestias heráldicas, la radiante vidriera que nos ama.
Pero vamos entonces siempre, vamos entonces siempre a conversar un
poco en las extrañas islas de la noche,
a la orilla más pura de la calma.


LA RIVA DELLA CALMA

Andiamo a conversare un po’ nel cortile in fondo, rinfrescato
dall’indaco con la sua antica memoria delle acque.
Porta la vecchia poltrona di vimini, porta la vecchia poltrona, porta
il tavolino oscuro.
Con dignità la brace del tabacco glorioso, rossa nella penombra,
e il giovane verde del cocuyo, e il sacro giallo delle Pleiadi,
con dignità la brace. La brezza tra le palme ci rintraccia,
venendo alta, come una notizia buona.
Dimmi del mare e delle conchiglie sonanti, raccontami
del vicino abisso, dimmi del mare e delle isole chiare.
Dimmi piuttosto la precisa gloria dei tuoi anni, il mirabile
cane dalla bocca triste, le favole notturne del vetraio.
Sulla radiante costa del mio paese si infrange la pace della pianura
prodigiosa, sulla radiante costa del mio paese, sulla parete selvaggia.
Dimmi del mare e delle conchiglie sonanti, mentre penso
lungamente alla pianura, e guardo la profonda notte,
ascolto la sua risacca dolcissima sulle tegole.
Io vidi le lente brezze naviganti, e gli alti sentieri
militari, io lo splendore denso della calma.
Stride la vecchia poltrona nel silenzio, le rispondono le fruscianti
foglie delle palme, l’alto vento delle isole,
e il giovane verde del cocuyo risponde al giallo delle Pleiadi
e al cordiale arancione della brace.
Dimmi piuttosto la precisa gloria dei tuoi anni, il perduto orologio
con le bestie araldiche, la radiante vetrata che ci ama.
Ma andiamo allora, andiamo allora a conversare un po’ nelle strane
isole della notte,
sulla riva più pura della calma.


EL CIRCO

Y vimos al pacífico elefante
alzar su vieja trompa incomprensible
junto a las detenidas nubes blancas.
Y vimos al pacífico elefante.
Allí como una letra tosca y pura
que desborda el cuaderno de la infancia
–fino cuaderno, lujo de la noche–
nos ilustró la extraña lejanía
de las palmas grabadas y el silencio
que va creciendo con el humo pobre.
Allí como una letra tosca y pura
nos querías, justísimo elefante.


IL CIRCO

Abbiamo visto il pacifico elefante
alzare la sua vecchia incomprensibile proboscide
vicino alle immobili nuvole bianche.
Abbiamo visto il pacifico elefante.
Lì come una lettera pura e maldestra
che trabocca dal quaderno dell’infanzia
– quaderno fino, lusso della notte –
ci illuminò la strana lontananza
delle palme incise e il silenzio
che cresce con il fumo povero.
Lì come una lettera pura e maldestra
ci amavi, giustissimo elefante.


Traduzione dallo spagnolo di Stefano Tedeschi