Un nuovo giorno è appena iniziato, il calore che filtra dalle fronde mi scalda il manto e mi risveglia dal torpore del sonno. Mi alzo con difficoltà, i reumatismi mi strappano un guaito soffocato. Esco dal rifugio dietro ai cassonetti con una scrollata, sollevo piano la posteriore destra e annaffio un palo della luce. Col muso all’insù fiuto l’aria che sa ancora dell’umidità della notte e mi incammino. Mentre passeggio zampettando sulle foglie secche lo scuolabus mi sfreccia accanto: devo affrettarmi se voglio incrociare Teo quando uscirà di casa con la mamma. Raggiungo a fatica il cortile di casa sua e mi accuccio a un lato. La donna esce dal cancello con il figlio per mano e io mi faccio subito notare. Lei non bada a me ma Teo si accorge dei miei ansiti di gioia e mi vede mentre lo scruto pieno di interesse, la coda che tintinna contro il metallo. Mi allunga la manina sulla testa e il contatto mi riempie di emozione. La mamma lo allontana, sono solo “un vecchio cagnaccio randagio pieno di malattie”. Li vedo sparire al di là del muretto e avverto in fondo allo stomaco il vuoto contrarsi in una pulsazione dolorosa. Di tutti i posti in cui ho vissuto questo è il mio preferito per via di Teo e mi sento uno sciocco per aver sognato di poter far parte della sua vita. Nonostante il disincanto che mi bagna le ciglia la sera torno da loro per aspettarli al rientro ma appena svoltano l’angolo la mamma nota la mia presenza e si affretta a rifugiarsi oltre il cancello.
Il mattino seguente è sabato e non c’è la scuola. Quando arrivo davanti a casa di Teo sono tutti e due nel cortile: lei spazza via le foglie, lui è seduto sull’erba a giocare. Memore di quanto accaduto la sera prima me ne sto buono, il solo fatto di poterli osservare da lontano allevia la solitudine e i fastidi della vecchiaia. Trascorrono pochi minuti, però, che l’olfatto mi informa di un pericolo: scatto in piedi e individuo un serpente che striscia rapido verso Teo. Mi agito come un pazzo e la donna si infastidisce. Si avvicina brandendo la scopa di saggina per intimidirmi mentre penso a trovare un modo per intervenire. Fra contorsioni e crampi riesco a sgusciare dall’altra parte e mi avvento sul rettile. Lo afferro coi denti e lo lancio qualche metro più in là. La donna, dunque, comprende la situazione e urlando corre a colpire la vipera con un bastone. Cessato il pericolo va da Teo in lacrime, lo solleva e lo bacia stringendoselo al petto. Mi preparo a essere scacciato in malo modo dalla loro proprietà, invece la donna chiude il cancello e si china su di me, gli occhi ricolmi di gratitudine.
‹‹Immagino avrai fame. Andiamo dentro.››
Il cuore si scioglie nel mio petto. Ho il battito a mille, il respiro è accelerato. Fatico ancora a credere che potrò stare accanto a Teo anche solo il tempo di un pasto. Dopo avermi rifocillato, però, la donna mi prepara un giaciglio con delle coperte e mi promette che si prenderà cura di me e che potrò restare con loro. Mi gira la testa, il petto è sul punto di esplodere. Sono così felice che ignoro i limiti del mio fisico e comincio a saltellarle intorno mentre Teo mi sorride fra le sue braccia.
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