FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 59
novembre 2021

Rovine

 

LA MUSICA INVISIBILE DI JORGE EDUARDO EIELSON

di Jaime Bedoya




Non avrai mai il sangue lieve come a vent’anni. Navigando in quella semi placidità di quando l’innocenza scopre l’abisso, un amico che raccomandava letture come una maniera per creare ricordi mi disse leggi questo: era Poesía Escrita di Jorge Eduardo Eielson.
Mal rilegato, cominciava già a perdere le pagine, in questo caso poesie, che intraprendevano voli propri. Quell’amico era Humberto Polar, poeta e musicista.
È probabile, o no, che abbia reso il libro. Ma sì, sicuramente, tenni alcune poesie sciolte che ormai non era possibile far tornare nella rilegatura. Una di queste era Poesia in forma di uccello, quella che disegnava visivamente un volatile di carta e inchiostro, in cui misteriose parole fissavano

        le due gambe

        gambe

        gambe

        gambe

        gambe

        gambe

        gambe

        gambe

        gambe al mio tavolo

Il libro di Eielson divenne una mappa di tesori in divenire. Uno di questi tragitti portava alla musica. Le poesie staccate servirono da partiture e avevano melodie e ritmi nascosti, che iniziarono a trasformarsi in canzoni di una band creata, fondamentalmente, per mettere in musica la poesia di Eielson. Il nome del gruppo era Benito Lacosta y los imposibles, un gioco di riferimenti locali che il passare del tempo aveva portato verso l’aneddotico. Ossia, potrebbe essere spiegato, ma non servirebbe a niente.
Benito Lacosta suonava canzoni che pretendevano essere versioni di Eielson nel contesto meno indicato possibile. In quell’epoca, gli ottanta, arrivavano in una Lima violenta, distrutta e insanguinata dal terrorismo, le ultime onde dei postumi della sbronza punk europea. Si chiamava rock subterráneo. Il selvaggio era la lingua corrente. Non la poesia.

Un giornalista visionario, pertanto, pubblicò il primo (e ultimo) commento musicale sulla musica dei Benito Lacosta: Perfettamente dimenticabili. Questo non è rock’n’roll.
Le sue parole nascondevano un disegno profetico. Compiuti i trent’anni anni si invecchia rapidamente. Tra stanchezza e qualche primo conto fisiologico dovuto alla vita indomita, Benito Lacosta smise di suonare. Su richiesta di un manager ad honorem che avevamo, concordammo un ultimo incontro per lasciare registrate quelle canzoni dimenticabili. Il manager vocazionale portò il master originale, in buona fede, fino a Madrid. Erano gli anni in cui andarsene dal paese era una delle forme di sopravvivenza. Rimasi con un souvenir: una copia di minore qualità registrata su una cassetta TDK con su scritto Benito Lacosta verso Messico ’86. Era un altro Mondiale di calcio in cui il Perù non si era classificato.

Nani Cárdenas la conobbi con i pattini. Deve essere stato già negli anni novanta, quando vivevo in un mini appartamento davanti al mare, dove però la nebbia era l’unica cosa che si vedeva. Lei era amica di mio fratello, che viveva al primo piano. Dalla finestra guardavo con curiosità, interesse e – adesso lo so – aspettativa, quella giovane dai capelli lunghi e neri che veniva a cercarlo pattinando. Sapevo che studiava arte. Non immaginavo gli artisti come esseri graziosi, snelli e su ruote.
Questa aspettativa per la persona Nani Cárdenas è rimasta e si è arricchita durante gli anni, addobbandosi con i migliori fiocchi propri dell’amore, dell’amicizia e dell’ammirazione. Per questo, quando più di trent’anni dopo quell’esperienza splendida e fallimentare di mettere in musica Eielson, Nani mi raccontò che stava preparando un lavoro su di lui, il collegamento non fu sorprendente quanto prevedibile. Veniva voglia di dirle perché ci hai messo tanto?

Mentre la ascoltavo raccontare il progetto, mentalmente tentavo di ricordare dove diavolo poteva essere la registrazione dei Benito Lacosta, una curiosità che forse poteva interessarle. Prima di raccontarglielo mi rivelò che questo lavoro lo stava facendo a quattro mani con l’artista Elisenda Estrems. Il segnale non poteva essere più ovvio: Elisenda era la moglie di Humberto Polar, chitarrista e aorta dei Benito Lacosta. Le feci ascoltare quella registrazione inutile. Sorridemmo in silenzio davanti a una nuova conferma dell’inesistenza del caso.

Due terzi di quello che fu Benito Lacosta, Humberto Polar e chi sta scrivendo, diventammo appendici entusiaste e intossicate di Mitad ceniza mitad latido, il progetto su Eielson di Cárdenas ed Estrems. Ci unimmo allo sforzo e alla rivelazione che questo offriva, come fratelli minori di una famiglia che si era appena conosciuta (e riconosciuta) nella poesia di Eielson.
Questo permise di essere testimone degli affanni minimi e massimi che comportava concettualizzare ed eseguire l’esposizione, dalla piega di un cavo di rame fino alla logistica di trasportare tutto sano e salvo a San Francisco, destinazione della mostra.

In mezzo a questi temi pressanti nacque l’idea assurda e meravigliosa di far uscire un disco con le canzoni eielsoniane dei Benito Lacosta e presentarlo durante l’esposizione. Humberto trovò a Oakland degli hippies contemporanei decisi a portare avanti l’impresa. Il disco avrebbe avuto foto dell’opera di Cárdenas ed Estrems su ogni lato.
Divenne un imperativo morale accompagnare Nani ed Elisenda in questa ambiziosa attività, come parte di una famiglia allargata che avrebbe ricevuto persino altri membri: si aggiunsero Malaki, artista visuale e tecnico delle luci dedito a riversare l’illuminazione migliore sulle opere, ed Hernando Torres, Console del Perù a San Francisco, uomo di lettere che inoltre aveva conosciuto Eielson ed era stato suo amico.
(Tra parentesi, era curioso far parte di questo evento parallelo e segreto che non interessava assolutamente a nessuno: il lancio internazionale del disco dei Benito Lacosta).

Questa intossicazione immateriale conseguenza dell’approccio artistico di Cárdenas ed Estrems a Eielson, generò epifanie e rivelazioni; sollievi, come le delizie di Chinatown, la verità del Pisco Punch e una certa inclinazione per le sostanze che sono legali in California, la resero ancora più espansiva. Erano le persone giuste, nel posto giusto, con la poesia giusta.
Il privilegio di essere stato testimone della genesi di Mitad ceniza mitad latido ha consolidato l’apprezzamento e l’ammirazione per il lavoro di Cárdenas ed Estrems. Interpretare la poesia a partire dalle arti plastiche corre sempre il rischio di essere un azzardo. A maggior ragione se si tratta di un poeta che è stato anche artista plastico, come nel caso di Eielson. Le artiste hanno saputo affrontare la sfida dal punto di vista del dialogo tra l’opera scritta e la sua possibilità materiale, intercambio ludico e serio allo stesso tempo. Che in virtù del rispetto e l’acutezza di tale approccio, ha permesso di districare i sofisticati piani dell’amore, dell’esistenza e della morte, che Eielson tratta con sfolgorante capacità metaforica.

Una notte camminavamo tutti insieme per Columbus Avenue in direzione del leggendario abbeveratoio beatnik Vesuvio. Era propizio celebrare con abbondante spirito l’esposizione. Nani si fermò e scattò una foto del gruppo in movimento. Rimanemmo immortalati apparentemente disgregati, indipendenti, ma con un legame invisibile. Il sangue ci era lieve e un nodo di Eielson ci legava. Chi scattava la foto poteva recitarlo a memoria:

        Siamo un animale che si innamora

        Metà cenere metà battito

        Un pugno di terra che respira

        Di incandescenti materie

        Che ansimano e si divertono

        E che mai riposano

Traduzione dallo spagnolo di Marco Benacci


* * *


Mitad ceniza mitad latido - diálogo plástico en torno a la poética de Jorge Eielson sarà visibile ad aprile a Milano, a maggio a Firenze e a giugno a Roma.

Vedi anche:

Fili d’aquilone 55:
Mitad Ceniza / Mitad latido – Dialoghi annodati con Jorge Eielson, di Marco Benacci

Fili d’aquilone 56:
Mitad Ceniza Mitad Latido – Traduciones, di Elisenda Estrems

Fili d’aquilone 57:
Nodi e vuoti (omaggio a Eielson) – Mitad Ceniza Mitad Latido, di Nani Cárdenas

Fili d’aquilone 58:
Mitad Ceniza Mitad Latido vince il «Premio Luces» quale Migliore Esposizione del 2020, di Marco Benacci


bedoya.jaime@gmail.com