FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 59
novembre 2021

Rovine

 

MEMORIA FOTOGRAFICA

di Fabián Martínez Siccardi



Ero al corrente di cosa stava succedendo con le foto del vecchio Reyes, ma preferii tacere; ci sono cose che è meglio non menzionare a nessuno. Il suo nome completo era Juan Raimundo Reyes, ma mi era stato presentato come Reyes, e basta, la sera in cui iniziai a lavorare alla casa di riposo di Piedrabuena. Il direttore dell’istituto mi stava mostrando la galleria del cortile interno e Reyes era seduto su una panchina, la schiena dritta e le mani appoggiate su un bastone che dava l’impressione di proseguire dentro le piastrelle con una calcolata perpendicolarità. Aveva gli zigomi alti e il naso e la fronte corrugati, quasi al punto di nascondere gli occhi, come nel tentativo di filtrare i dettagli senza importanza delle cose che guardava.

Reyes, le presento il nuovo infermiere notturno, viene da Río Gallegos, disse il direttore. Reyes mi guardò di sbieco e annuì con la testa. Allora contava sulle spalle settanta lunghi anni e si serviva di quella prerogativa che hanno i vecchi di non parlare quando non hanno voglia.

Col passare dei giorni notai che non riceveva visite. Era in casa di riposo da anni e nessuno ormai ricordava bene da dove o come fosse arrivato. Parlava con poche persone e con frasi brevi, anche con me (all’inizio) scambiava solo le parole strettamente necessarie: le medicine, per favore un bicchiere d’acqua, dovrei un po’ andare di corpo. Ma non sentii mai in lui la sensazione di solitudine irredimibile della quale erano appestati gli altri anziani, che avevano figli e nipoti e amici che venivano a trovarli nei fine settimana e lasciavano in uno stato pietoso il cortile interno. Non mi piacciono i visitatori delle case di riposo, parlano sempre tra loro e ronzano intorno a vecchi che continuano a essere persi nei loro mondi, ecco perché preferisco lavorare di notte.

La vecchiaia si addiceva bene a Reyes e lui la portava con una certa solennità, almeno durante il giorno. Di notte (scoprii dopo), si lasciava andare di più e passava ore nella sua stanza a guardare alcune vecchie foto che tirava fuori da una valigia di cartone marrone che teneva sotto il letto. Lo faceva in maniera ossessiva sopra un tavolo che stava in un angolo, sotto la luce di una lampada che tingeva tutto di giallo. Molte volte, entrando nella sua stanza senza annunciarmi abbastanza, lo sorprendevo con delle foto davanti e una smorfia maliziosa disegnata sul volto, come nel godimento di una bravata. Altre volte lo sorprendevo a guardare le foto con attenzione, stringendo il mento con la mano, come se cercasse di ricordare qualcosa che aveva dimenticato. 

Reyes aveva pochissimi vestiti: alcune camicie celesti con i colletti consumati, pantaloni di flanella marroni e delle espadrillas che, di tanto in tanto, cambiava con delle nuove. Ha delle espadrillas nuove, Reyes, gli dissi una sera. Come l’ha capito?, disse. È che ricordo bene i dettagli, ho una memoria fotografica.

Dissi la frase con leggerezza, ma lui sembrò prenderla sul serio. Da lì, iniziai a constatare variazioni sottili nel suo comportamento. Una notte, quando andai nella sua stanza per portargli le pillole, notai che aveva spostato gli unici due quadri che decoravano la camera, delle stampe di foreste tedesche dove tutto sembrava così verde e fresco che nelle giornate calde facevano venire voglia di saltarci dentro per sfuggire dall’afa. Come ridecorare la stanza, gli ho detto, e lui ha risposto con una smorfia maliziosa.

Quello fu il primo di una serie di trucchi con cui alterava sottilmente l’ordine delle cose, aspettava la mia reazione e sorrideva ogni volta che scoprivo cosa aveva fatto. Ero felice di prestarmi, pensando che questi nuovi giochi lo avrebbero tolto, almeno un po’, dall’ossessione che aveva per quelle foto color seppia in cui più della metà delle persone erano probabilmente già morte.

A me le foto di persone morte facevano impressione. Non che ne avessi viste tante, ma quando mi mostrarono la prima volta una foto di mio fratello Rodolfo non mi piacque molto. Era strano vederla. Mio fratello era così fermo, il viso brillava un po’, come se fosse di cera. Rodolfo morì quando avevo due anni e, pochi mesi dopo l’incidente, mia madre fece una pila con tutte le sue cose – vestiti, giocattoli, foto – e le diede fuoco. Questa foto che ho è una che mia nonna aveva conservato e che mi ha dato non molto tempo fa. Mio fratello lì ha otto anni ed è vestito da gaucho per una recita scolastica, suppongo, perché a casa quasi non si parlava di lui.

Contrariamente a quanto mi aspettavo, i giochi che avevamo iniziato con Reyes non diminuirono la sua ossessione per le fotografie. Una notte, lo trovai sveglio ben oltre l’alba. Mi dica una cosa, Reyes, non si stanca mai di vedere sempre le stesse foto?, gli chiesi. È che non sono mai le stesse, mi rispose. Poi le ripose nella sua valigia, si mise a letto e mi augurò la buonanotte.

Nei giorni seguenti, continuarono i suoi sottili cambiamenti, le mie osservazioni, le sue medicine, le fotografie. Tutto sembrava uguale, ma lo vedevo più sconvolto.

È vera questa cosa della memoria fotografica?, mi chiese una notte. Ci misi un po’ a rispondere perché Reyes non mi faceva mai tante domande. Prima che mi venisse qualcosa da dirgli, aggiunse: Ho notato che lei ha occhio per i dettagli. Venga, si sieda qui con me, voglio mostrarle una cosa.

Si alzò per portare al tavolo la sedia sotto la finestra. Questo non lo sa nessuno, solo io, e ora lei, disse. Si chinò, tirò fuori la valigia da sotto il letto e posò con molta cura le foto sul tavolo. Ne sollevò una per farmela vedere bene. Guarda questa, vede la donna con il bambino in braccio?, la guardi bene. Rimase un momento in silenzio e aggiunse: Guardi come avvicina il bambino al viso e lo bacia. Rimasi un po’ fissare la foto. Chi è il bambino?, gli chiesi. Sono io, Raimundo, se vuole può chiamarmi così. Reyes, che non mi aveva mai toccato prima, mi mise una mano sulla spalla.

Anche lei vede come si muovono?, chiese. Sì, Raimundo, dissi fingendo stupore, la verità è che sembrano muoversi. Ma penso che questo sia meglio che rimanga tra noi, non crede?

Reyes mi diede la buonanotte e si mise a letto. Quando finì il mio turno, tornai alla pensione per riposare e mi addormentai pensando a come faceva Reyes a vedere il movimento in foto che erano assolutamente ferme. Sognai la foto di mio fratello, il suo viso stava svanendo come una figura di cera che perde lentamente la sua forma. Mi svegliai tardi e mi vestii in fretta per arrivare puntuale alla casa di riposo. Proprio come immaginavo, Raimundo mi chiamò per vedere altre foto.

Questa volta ne prese una di un uomo di schiena in piedi su una roccia davanti a un fiume. Indossava pantaloni arrotolati fino ai ginocchi ed era a torso nudo. Al suo fianco c’erano alcuni bambini. L’uomo aveva una canna da pesca e c’era un pesce agganciato all’amo e altri in un secchio. Raimundo iniziò ad indicare con il dito. Guardi ora, disse, questo pesce viene tolto dall’amo dal bambino con la maglietta a righe, si chiama Aníbal.

Le visite notturne alla stanza di Raimundo si ripeterono molte volte, e il mio interesse a guardare le foto cominciò ad aumentare. Vedemmo ragazzi del campeggio uscire da una tenda, un branco di pecore che si rifiutavano di entrare nel recinto ignorando il bambino che le pungolava, una coppia che si baciava e ci sorrideva come se possedesse la felicità eterna. Reyes metteva sempre un interesse speciale nel raccontarmi anche i più piccoli dettagli.

Una mattina, entrai nella sua stanza mentre dormiva e notai che aveva dimenticato una foto sul tavolo. La presi e la portai in corridoio per vederla meglio, era la foto della madre e del bambino. Rimasi ad osservarla a lungo, l’avvicinai, l’allontanai, la scossi, e poi la rimisi con cura dove l’avevo presa.

Una notte Reyes mi chiamò nella sua stanza. Entrando vidi che osservava una delle foto muovendo la testa come con tic nervoso. Era la foto dell’uomo con la canna da pesca. Per favore, quale dei bambini estrae l’amo al pesce?, mi chiese. Non si ricorda Raimundo?, è Aníbal, quello con la maglietta a righe.

Reyes fece un lungo respiro e si mise a letto. Nelle notti che seguirono, quasi quotidianamente mi chiedeva di ricordargli i dettagli delle foto: la direzione da cui usciva un’auto, se stava per iniziare a piovere, come si chiamava l’uomo con il chambergo nero.

Una mattina presto, quando Reyes ormai dormiva, mi chiamarono con urgenza alla casa di riposo. Era mia sorella Verónica, da Río Gallegos. Dal mio arrivo a Piedrabuena, la situazione con nostra madre era diventata insopportabile e mia sorella non ce la faceva più. Mi chiedeva per favore di andare a darle una mano. Parlai con il direttore della casa di riposo e gli dissi che mi sarei assentato per alcuni giorni.

Lasciai la pensione e andai a Río Gallegos. Mia madre finì per essere internata permanentemente in un sanatorio, ormai nessuno poteva controllarne l’assunzione di farmaci, l’igiene né l’alimentazione. Rimasi lì diversi giorni e le facevo visita spesso. Parlavamo poco, ma si vedeva che apprezzava la mia compagnia. Pensavo molto a Reyes e aspettavo il momento giusto per tornare a Piedrabuena, ma non arrivava mai.

Un pomeriggio mi chiamò il direttore della casa di riposo. Mi chiedeva di tornare con urgenza, il vecchio Reyes era malato e voleva vedermi. In un paio di giorni, riuscii a venire via da Río Gallegos. Giunsi a Piedrabuena la mattina presto e quando presi la strada dalla casa di riposo trovai il camion dei pompieri parcheggiato davanti alla porta. Sentii la pelle diventare fredda e mi spuntavano delle enormi gocce di sudore. Entrando mi imbattei nel direttore.

Avresti potuto tardare un po’ meno, disse. Non sai che è successo! Cosa?, chiesi, ingoiando una dura palla di saliva. Il vecchio Reyes è impazzito di brutto. Ricordi la questione delle foto? Ha iniziato a delirare, prima parlava con le foto, poi ha cominciato a urlare contro di loro. Ti ha chiamato spesso, per questo ti ho chiesto di venire. Ieri notte, il ragazzo che ti ha sostituito ha visto del fumo uscire dalla stanza del vecchio. La porta era sprangata dall’interno così l’ha aperta a spallate e ha trovato la stanza in fiamme. Aveva acceso un falò con la pila di foto. Abbiamo portato il vecchio in ospedale ma non c’è stato niente da fare, è morto stamattina presto, soffocato dai gas. Perlomeno non ha dato fuoco all’intera casa di riposo! Bisogna combattere con ogni pazzo in questa professione. Che disastro, amico! Avremmo dovuto prevederlo, non era normale questa cosa di guardare le foto ogni santa notte.

Non dissi niente, inventai una scusa per non tornare al lavoro per qualche giorno e andai di corsa in pensione per buttarmi su un letto. Passai diversi giorni senza andare da nessuna parte. Una sera ricevetti un biglietto da Verónica, perché non dimenticassi che il sabato avremmo festeggiato il compleanno di mia madre in sanatorio. Il venerdì partii per Río Gallegos, ma prima di partire, presi la foto di mio fratello e la misi nella tasca interna della mia giacca. Arrivai al sanatorio per primo e trovai mia madre sola, seduta al tavolo del salone principale e con guardo fisso su qualche punto lontano.

Esitai per un momento, ma alla fine misi la foto sul tavolo. La mano mi tremava, mamma non vedeva una foto di Rodolfo da più di vent’anni. La guardò per un po’.

Questo è Roni alla festa della scuola, disse mia madre. Ricordi quando siamo andati a noleggiargli il vestito da gaucho? Gli stivali erano enormi.

Tacque e si voltò a guardare un altro punto lontano. Quando vidi arrivare mia sorella, tolsi bruscamente la foto dal tavolo per nasconderla, ma mi fermai un attimo. Roni mi stava guardando, si era tolto il cappello da gaucho e mi sorrideva, con la pelle fresca, senza alcun bagliore soprannaturale.

Traduzione dallo spagnolo di Marco Benacci


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