FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 43
luglio/settembre 2016

Fughe

 

CHRISTOPHER MERRILL, NECESSITÀ

di Giorgio Mobili



Membro della commissione americana per l’UNESCO, promotore e ambasciatore culturale (è direttore del prestigioso International Writing Center in Iowa), Christopher Merrill (nato nel 1957) è scrittore, docente, giornalista (fu corrispondente di guerra nei Balcani), traduttore, indefesso giramondo (in India, Corea, Malesia, Medio Oriente) e, di conseguenza, fine etnografo. È anche – ciò che ci interessa in questa sede – uno dei più celebrati poeti della sua generazione. Alle molte lingue in cui è già stato tradotto aggiungiamo qui e ora per la prima volta (con un certo imbarazzo per l’inspiegabile ritardo) la nostra.

Prima inter pares, la disciplina della poesia serve a Merrill per distillare fino alla trascendenza quello stesso vissuto che, su un piano più lineare, troviamo documentato nei suoi svariati libri di nonfiction. Percorre la sua lirica, illuminandola come un arco voltaico, una rutilante vena surrealistica, che gli deriva dalla lettura di Kafka come dall’amicizia e collaborazione con Tomaž Šalamun. Da altri autori dell’est europeo del secondo dopoguerra (citiamo almeno Czesław Miłosz), Merrill assorbe la nozione di parola poetica come strumento di verità contro le infamie ed assurde emergenze a cui ogni società ritualmente sottopone i suoi membri. A ispessire la vena critico-assurdista soccorre un’attitudine alla meraviglia cosmica che consuona in egual misura con l’entusiasmo esploratorio di un Saint-John Perse e con la spiritualità della letteratura indù. Le grandi verità, per Merrill, emergono da una precisa, angolata osservazione di come gli uomini interagiscono con l’ambiente, e anche nei suoi più sardonici versi di denuncia non cessa mai di tinnire quel thauma (“meraviglia-sgomento”) di fronte alla natura delle cose che Aristotele pone all’origine del pensiero filosofico, e che per Merrill continua visceralmente a pesare, nel bene e nel male, sui comportamenti umani.

Tra le varie forme utilizzate da Merrill spicca la prosa lirica: è questa che informa i tredici brani scelti e tradotti qui di seguito, provenienti dalla sequenza di ventiquattro brevi prose di identica ampiezza che costituisce la prima parte della raccolta Necessities (New York, White Pine Press, 2013). Si tratta di una narrativa stralunata e non lineare, basata sul ripetersi variato di motivi fissi che rievocano i cliché, surrealisticamente trattati, dei romanzi d’avventura. In un ambiente distopico da fine dei tempi, figure archetipiche (“noi”, i ladri, il santo, il fabbro, il tagliaboschi, il ministro del culto, il poeta…) si spendono in intraprese confuse che finiscono irreparabilmente in scacco, e per una ragione che le trascende: vale a dire, per il loro volersi dispiegare dopo la fine della storia – entro un microcosmo, cioè, che per un capriccio del caso pare essere sopravvissuto alla propria morte storica. Ma è un sopravvivere che equivale a un girare a vuoto, un prodigarsi allucinato in atti stravaganti che possono solo alludere a un’epoca passata in cui essi avrebbero avuto un senso (“I riti comuni: torchiare il sidro nell’incendio di un fienile, inseguire gli orsi per lo zoo, ululare ai gatti decapitati dai coyoti…”), e la cui ragione attuale sembra risiedere unicamente nella necessità di agitarsi per non soccombere alla stasi. Un’atmosfera di guerriglia e imminente cataclisma (un basso continuo è il “fiume in fiamme” che minaccia di straripare) delinea uno stato di crisi permanente, accompagnato da un collasso di fiducia in qualsiasi tipo di episteme: santi e predicatori non convincono più, l’intelligibilità fallisce, si impugna l’autenticità di leggi e statuti, mentre i simboli di una cultura estinta (una tela di Van Gogh, la svastica, una canzone popolare) fluttuano qua e là come relitti svuotati di funzione.

Pur in questa ontologia negativa che rende futile ogni sforzo, ogni attore rimane irriducibilmente intento alle proprie necessità, a ciò che – malgrado tutto – va fatto. E su quest’alacrità presiede, altrettanto febbrile, l’immaginazione del poeta, che riesce in poche pagine alla creazione di un universo caleidoscopico e ossessivo, intessuto di atti, circostanze e argomentazioni allo stesso tempo familiari e sinistramente incongruenti. Un esempio:

Il fabbro parla in tutte le lingue per calmare il cavallo che l’ha calciato in testa, la cavalla bianca che deve ferrare prima che cominci l’esodo. La piastra di metallo che ha nel cranio funziona come un parafulmini per la chiesa; la sua congregazione crede che i chiodi arrugginiti che usa appartenessero un tempo ad un santo.
Possiamo chiamarlo divertissement surrealista? Sì, ma solo nel senso urgente e metafisico in cui lo è La metamorfosi di Kafka. La conclusione della sequenza, in una svolta pirandelliana, insinua il sospetto che non si sia trattato d’altro, fin dall’inizio, che di una rappresentazione teatrale di non facile allestimento. Ma arrivato a quel punto, il lettore si sarà già reso conto di aver esperito il balzano apologo proprio come potente metafora dell’esperienza umana su questa terra. Né lo sorprenderà la sentenza che lo suggella: “non ci saranno altre prove generali.”




CHRISTOPHER MERRILL
da Necessities/Necessità
(2013)



I

It was either an abandoned coffeehouse or The Pharmacy of God—the hovel into which we had stumbled in the dark. On the shelves were nails pried from crosses in the desert, glass bottles named The beginning and The End, bandages stolen from the wounded at Ardennes. Our spirit of adventure was a flag no one waved. What was helpless in our behavior, central to our design? The common rituals: pressing cider in a barn fire, tracking bears around the zoo, howling at the cats decapitated by coyotes. Blues singers were stripping paint off the signs in the beer halls. At twilight, animal trainers sailed down the burning river in a barge, the first chapters of aborted novels stuffed in their pockets; their wives, dressed in skirts fringed with mink, were too shy to mention the smoke rising around them. These were characters without character, not mirrors of our regret. Nor are we exiles in this backwater: we’re the deputies keeping watch.


I

Era un caffè abbandonato, oppure la Farmacia di Dio – la bettola in cui ci eravamo imbattuti nel buio. Sugli scaffali c’erano chiodi estratti da croci nel deserto, bottiglie di vetro chiamate L’inizio e La fine, bende rubate ai feriti delle Ardenne. Il nostro spirito d’avventura era una bandiera che nessuno agitava. Cos’era inerme nella nostra condizione, centrale nel nostro disegno? I riti comuni: torchiare il sidro nell’incendio di un fienile, inseguire gli orsi per lo zoo, ululare ai gatti decapitati dai coyoti. Nelle birrerie, cantanti blues scrostavano vernice dai cartelli. Al crepuscolo, gli ammaestratori navigavano su una chiatta lungo il fiume in fiamme, in tasca i primi capitoli di romanzi abortiti; le loro mogli, vestite con gonne orlate di visone, erano troppo timide per accennare al fumo che gli si alzava intorno. Erano personaggi senza carattere, non specchi del nostro rimpianto. E noi non siamo esuli in questo buco sperduto: siamo i vicesceriffi di guardia.


II

Who are these heroes pinned to the ceiling of the den? Do they know the thieves locked in the bathroom, the pirates writing prescriptions for the spirit—which is smaller than we think? The saint carrying wood into the storeroom fears the black widows and scorpions searching for a warm place to winter. Shelter is the language we’re learning, the bella lingua of the ferryman lurching out of the bar. High winds and waves, the promise of a new beginning, Americas on every page: who will write the next constitution, the next declaration of individuality? Certainly not the heroes who hiked into the mountains one morning to discover the spring was poisoned, the oracle silent, and the order of fountain pens still on a loading dock by the burning river. And the thieves—the thieves are afflicted with ringing in their ears: each hears the same singer wailing at the top of her voice, warning him to sail away before the saint returns.


II

Chi sono questi eroi pinzati al soffitto della sala? Per caso conoscono i ladri chiusi nel bagno, i pirati intenti a scrivere ricette per lo spirito – che è più piccolo di quanto pensiamo? Il santo che trasporta la legna in legnaia teme le vedove nere e gli scorpioni in cerca di un posto caldo per svernare. Rifugio è la lingua che impariamo, la bella lingua del traghettatore che barcolla uscendo dal bar. Venti forti e onde alte, la promessa di un nuovo inizio, Americhe su ogni pagina: chi scriverà la prossima costituzione, la prossima dichiarazione di individualità? Certo non gli eroi che scalarono la montagna un mattino per scoprire che la sorgente era avvelenata, l’oracolo muto, e la fornitura di penne stilografiche ancora ferma su una banchina di scarico presso il fiume in fiamme. E i ladri – i ladri sono affetti da fischi alle orecchie: ognuno sente la stessa cantante guaire a squarciagola, avvertendolo di andarsene prima che il santo ritorni.


III

The saint’s arms are chafed and strong from carrying the same bundle of wood he was given the day he entered the order. He leaves trails of sawdust in the monastery and the apple orchard; the messages he delivers to the thieves keeping watch over the storeroom are hieroglyphs to him—he never learned to read. Who can understand the handwriting of the spirits? he sometimes asks the thieves, who never laugh at his jokes. Nails, rusted nails, are what he collects. His favorite word is America, although the cider they make there, he likes to tell the thieves, is inferior to the ancient wines his friend the ferryman imports from Mongolia. Remember when the horses galloped through the orchard, through the falling snow? A posse was heading for the hills: why they wanted to gut-shoot the wild mustangs was anybody’s guess. Put the game warden to sleep! the saint will cry the night he gives his nails to the thieves, praying they will follow him.


III

Le braccia del santo sono irritate e forti per aver portato lo stesso fardello di legna che gli fu dato il giorno in cui entrò nell’ordine. Lascia tracce di segatura nel monastero e nel meleto; i messaggi che consegna ai ladri di guardia al magazzino per lui sono geroglifici – non ha mai imparato a leggere. Chi può comprendere la grafia degli spiriti? chiede talvolta ai ladri, che non ridono mai alle sue battute. Colleziona chiodi, chiodi arrugginiti. La sua parola preferita è America, benché il sidro che fanno lì, come ama dire ai ladri, sia inferiore ai vini antichi che il suo amico traghettatore importa dalla Mongolia. Ricordi quando i cavalli galoppavano per il frutteto, sotto la neve cadente? Una posse si dirigeva sulle colline: perché volessero sparare in pancia ai mustang selvaggi, nessuno lo sapeva. Mettete a dormire il guardaccia! griderà il santo la notte in cui consegnerà i chiodi ai ladri, pregando che lo seguano.


IV

Return the swastikas—that’s what the letter instructed us to do. No signature. The canceled stamp bore the figure of a famous poet. The thieves thought our confusion was a mask. Yet they offered to forge new documents for us. Our passport had expired, and we were afraid to ride our horses over the Alps—the Trinity Alps, that is, where vigilantes had turned the saw mills into training centers for the afterlife. The felled trees spiked with nails, tribes drowned in the lake, rugs woven out of feathers: these we could return, at least in theory. Where’s the poet? we asked the thieves, who were printing up a series of manifestoes concerning the rights of bears. We had run out of fences. Feathers, too. The horses lay on the ground, in the first snow of the season. We propped a cross against the barn door and bolted it shut. We vowed not to open our mail until the spring runoff, when we could present our credentials to the guards at the pass.


IV

Restituite le svastiche – era ciò che la lettera ci ordinava di fare. Niente firma. Il francobollo obliterato portava il ritratto di un famoso poeta. I ladri pensarono che la nostra confusione fosse una maschera. Eppure si offrirono di contraffarci nuovi documenti. I nostri passaporti erano scaduti, e avevamo paura ad attraversare le Alpi a cavallo – le Trinity Alps, per la precisione, dove i vigilantes avevano trasformato le segherie in centri di addestramento per l’aldilà. Gli alberi abbattuti trafitti di chiodi, le tribù annegate nel lago, i tappeti fatti di penne: questi li potevamo restituire, almeno in teoria. Dov’è il poeta? chiedemmo ai ladri, che stavano stampando una serie di manifesti sui diritti degli orsi. Avevamo finito le recinzioni. E anche le penne. I cavalli giacevano a terra, nella prima neve della stagione. Appoggiammo una croce contro la porta del fienile e la sprangammo. Giurammo che non avremmo aperto la posta fino all’esondazione primaverile, quando avremmo potuto presentare le nostre credenziali alle guardie del passo.


VI

How could we have known the bridge was closed? We had the wrong tools for fixing or framing a burning river; our stamps did not impress the ferryman. Nor did we recognize the poet waving a flag at his despair, the recruits marching in lock step over the mountain. The proclamations of the one-armed sawyers had no impact on the number of trees hauled to the mill. Who’s singing? the thieves asked. Bells rang in every barn, where coyotes roamed and the water troughs had frozen over. Skate home, if you think you can find ice thick enough to table discussion of the proposed rule changes until the next meeting. And don’t forget to write thank-you notes to the survivors of the earthquake and the fire. Tell them they should have listened to the bears, not the saint. For there are swastikas yet to burn. And the river, the language of fire and ice, is rising faster than we imagined. If only we had called the bridgetender before we sent for you!


VI

Come facevamo a sapere che il ponte era chiuso? Avevamo gli attrezzi sbagliati per riparare o incorniciare il fiume in fiamme; i nostri francobolli non impressionarono il traghettatore. E neppure riconoscemmo il poeta che agitava una bandiera alla sua disperazione, mentre le reclute marciavano a ranghi serrati sulla montagna. I proclami dei segantini senza un braccio non ebbero alcun impatto sul numero degli alberi trascinati in segheria. Chi canta? chiesero i ladri. Rintoccavano campane in ogni fienile, dove vagavano i coyoti e le mangiatoie erano gelate. Torna a casa sui pattini, se pensi di poter trovare ghiaccio abbastanza spesso per rinviare al prossimo meeting la discussione delle proposte modifiche al regolamento. E non dimenticare di scrivere biglietti di ringraziamento ai sopravvissuti del terremoto e dell’incendio. Digli che avrebbero dovuto dar retta agli orsi, non al santo. Perché ci sono ancora svastiche da bruciare. E il fiume, la lingua di fuoco e ghiaccio, si sta alzando più in fretta di quanto immaginassimo. Se solo avessimo chiamato il guardiano del ponte prima di farti venire qui!


VII

Only gestures will help us now: melting wax on the wood stove, perfuming the air to cut short the dinner party; smuggling sentences from The Story of O into tour guides of the Caribbean; teaching bachelors to pan for gold. No sense in dictating instructions to the overpopulated past: they never listen. Is that musk you’re wearing? Or a mask of the future? Let me count to fifty, then I’ll come looking for you. Don’t hide behind a tree. Hunting season has been extended indefinitely, and I have three words locked in a safe, none of which will function as a balm when the temperature drops below freezing. I also have strings of salt hanging from the rafters, a knife made out of staghorn to gut the albino deer framed in our sights, and enough chili powder to blister the tongue of a hasty reader. That note was for your eyes only: why did you show it to the guide? How can you speak to the protesters in such a reassuring manner? Where are you going?


VII

Ormai solo i gesti ci potranno aiutare: sciogliere la cera sulla stufa a legna, profumare l’aria per tagliare corto la cena; inserire di nascosto frasi dalla Storia di O nelle guide turistiche dei Caraibi; insegnare agli scapoli a cercare l’oro col setaccio. È inutile dettare istruzioni al sovrappopolato passato: non ascoltano mai. È muschio quella cosa che indossi? O una maschera del futuro? Fammi contare fino a cinquanta, poi verrò a cercarti. Non nasconderti dietro a un albero. La stagione di caccia è stata estesa indefinitamente, e io ho tre parole chiuse in cassaforte, nessuna delle quali servirà da balsamo quando la temperatura scenderà sottozero. Ho anche fili di sale che pendono dalle travi, un coltello di corno per eviscerare il cervo albino incorniciato dai nostri mirini, e abbastanza peperoncino in polvere per ustionare la lingua di un lettore avventato. Quella nota era strettamente confidenziale: perché l’hai mostrata alla guida? Come puoi parlare ai manifestanti in modo così rassicurante? Dove stai andando?


XIV

The blacksmith speaks in tongues to settle the horse that kicked him in the head, the white mare that he must shoe before the exodus begins. The metal plate in his skull functions as a lightning rod for the church; his congregation thinks the rusted nails he uses once belonged to a saint. But no shoes fit; the fire keeps burning out; and the horse’s owner, who paid in knives last time, did not enclose enough pennies to ward off bad luck. The boatload of refugees who drifted out to sea, believing the new anchor would catch, returns to port. A word is a rudder and a sail, the blacksmith sings. Where will we sleep tonight? they ask. He tells them his dream: to forge a currency out of alms and intrigue. The horse is impatient. And the faithful march to the paddock, scanning the sky for thunderheads. In the barn is a cross soaking in gasoline: if the blacksmith’s luck changes, one spark from his anvil will ignite another wave of conversion.


XIV

Il fabbro parla in tutte le lingue per calmare il cavallo che l’ha calciato in testa, la cavalla bianca che deve ferrare prima che cominci l’esodo. La piastra di metallo che ha nel cranio funziona come un parafulmine per la chiesa; la sua congregazione crede che i chiodi arrugginiti che usa appartenessero un tempo ad un santo. Ma nessun ferro calza; il fuoco continua a spegnersi; e il padrone del cavallo, che l’ultima volta ha pagato in coltelli, non ha accluso abbastanza centesimi per scongiurare la cattiva sorte. La barcata di rifugiati che prendeva il largo, credendo che la nuova àncora si sarebbe impigliata, ritorna al porto. Una parola è un timone e una vela, canta il fabbro. Dove dormiremo stanotte? chiedono. Lui gli racconta il suo sogno: forgiare una moneta dall’elemosina e dall’intrigo. Il cavallo è impaziente. E i fedeli marciano verso il recinto, scrutando il cielo per cogliere le prime nubi temporalesche. Nel fienile c’è una croce intrisa di benzina: se la sorte del fabbro cambierà, una scintilla dalla sua incudine innescherà un’altra ondata di conversioni.


XV

The minister was replaced when the congregation discovered Hell’s hierarchies. They could no longer ignore his praise for the storm clouds on the horizon, they blamed him for the way the sea ate into the coastline, they didn’t believe his claims of owing shares in The Pharmacy of God. Even his pitch for the afterlife—The best prices in Mexico!—proved false: he had never been to Mexico. Nor did they trust his map of the heavens, his need to put everything in parenthesis: the sky was not an (interlude) for the faithful. But it was a good time for those who recognized the dangers of translating allegory into a modern idiom: each choice in favor of contemporary diction and syntax represented the sacrifice of another division of angels—impossible to consider until the campaign against miracle plays had ended. Perhaps we should leave it (the story, the sea) in the original? the new minister suggested. The congregation listened closely.


XV

Il ministro del culto venne sostituito quando la congregazione scoprì le gerarchie dell’inferno. Non potevano più ignorare le sue lodi per le nubi temporalesche all’orizzonte, lo incolpavano per come il mare erodeva il litorale, non credevano alla sua pretesa di possedere azioni nella Farmacia di Dio. Anche la sua propaganda per l’aldilà – I prezzi migliori in Messico! – si rivelò fasulla: non era mai stato in Messico. E neppure si fidavano della sua mappa dei cieli, il suo bisogno di porre tutto tra parentesi: il cielo non era un (interludio) per i fedeli. Ma era un buon momento per coloro che riconoscevano il pericolo di tradurre l’allegoria in un idioma moderno: ogni scelta a favore di dizione e sintassi contemporanee rappresentava il sacrificio di un’altra divisione di angeli – impossibile da contemplare finché la campagna contro le sacre rappresentazioni non fosse volta al termine. Forse dovremmo lasciarla (la storia, il mare) nell’originale? Suggerì il nuovo ministro del culto. La congregazione ascoltava attentamente.


XVI

The city was sinking, and the burning river rose higher than anyone imagined. If only we could understand the chanting in the cathedral! Or find enough ink to write constitutions for the animals in the zoo and penal codes for the plants in the botanical garden! Or remember where we hid the life jackets, the ashes of the oars we burned in the rowboats, the moorings you knew us by! We had not discovered a new route to Juárez, the Lost City of Gold! Smoke straddled the border—it was impossible to breathe—yet the streets were lined with trumpeters and white swans. Are we there yet? asked the man clutching demolition orders. No one kept watch over the bridge, and when the chanting turned into a battle cry fire flowed down the side streets, torching cars and the proclamations nailed to the door of the animal trainers. Ashes, feathers, and music filled the air. If only we could learn what happened to the gold buried at the border!


XVI

La città sprofondava, e il fiume in fiamme si alzò più di quanto nessuno avesse immaginato. Se solo riuscissimo a capire il canto nella cattedrale! O trovare abbastanza inchiostro per stilare costituzioni per gli animali dello zoo e codici penali per le piante del giardino botanico! O ricordare dove abbiamo nascosto i giubbotti di salvataggio, le ceneri dei remi che bruciammo nelle scialuppe, gli attracchi da cui ci riconoscevi! Non avevamo scoperto un nuovo itinerario per Juárez, la Città Perduta dell’Oro! Il fumo attanagliava il confine – respirare era impossibile – eppure le strade erano gremite di trombettieri e cigni bianchi. Manca molto? chiedevano gli uomini con gli ordini di demolizione stretti in mano. Nessuno sorvegliava il ponte e quando il canto diventò un grido di battaglia il fuoco dilagò per le strade, incenerendo le automobili e i proclami inchiodati alle porte degli ammaestratori. Cenere, piume e musica riempivano l’aria. Se solo riuscissimo a scoprire che fine ha fatto l’oro sepolto al confine!


XIX

They found us in the storeroom, picking over the crab apples. Starving, unarmed, we had never learned the word for history in their language, so we invented a theology based on our journey up the frozen river: how our bloodied skates gleamed in the torchlight, how we came to distrust our ancestors’ clocks and catapults. We hid the compass in the bin, then raised our hands, certain we could answer any question: a martyr’s name, the date of an arctic voyage, our favorite version of Smoke Gets in Your Eyes. Our faith in criticism, in exile, had forced us to act without thinking: if only we had checked the tomatoes ripening in the paper bag! But we were tired of the drunken musicians in our homeland, we wanted something pure. And our captors had forgotten to lock the door. Attention! they cried in three different languages, none of which we scorned. When they blindfolded us, we smelled smoke. A clock ticked. The compass pointed toward the sky.


XIX

Ci trovarono in magazzino a perlustrare le mele selvatiche. Morti di fame, disarmati, non avevamo mai imparato come dire storia nella loro lingua, e così inventammo una teologia ispirata al nostro viaggio sul fiume ghiacciato: come luccicavano i nostri pattini insanguinati alla luce delle torce, come arrivammo a diffidare degli orologi e catapulte dei nostri antenati. Nascondemmo la bussola nel bidone, poi alzammo le mani, certi di poter rispondere a qualsiasi domanda: il nome di un martire, la data di un viaggio artico, la nostra versione preferita di Smoke Gets in Your Eyes. La nostra fede nella critica, nell’esilio, ci aveva costretti ad agire senza riflettere: se solo avessimo controllato i pomodori che maturavano nel sacchetto di carta! Ma eravamo stanchi dei musicisti ubriachi nella nostra terra d’origine, volevamo qualcosa di puro. E i nostri carcerieri si erano scordati di chiudere a chiave. Attenzione! gridarono in tre lingue diverse, nessuna delle quali disdegnammo. Quando ci bendarono, sentimmo odore di fumo. Un orologio ticchettava. La bussola puntava verso il cielo.


XXII

The print’s a fake, the guard assured us, winking at the woman in the blue sari. Starry Night? We were waiting for the press conference to begin, when the museum would unveil the latest scandal, our investigation into the woman’s role in the curator’s downfall having left us vulnerable to her charms. She’s no Hindu, we declared, checking our money belts. But our search for The Pharmacy of God had turned up nothing, and at the private auction, where we had our eye on the afterlife, we were advised to repent for leaving our weapons in the mountains. Hence our pilgrimage to the museum. The photographers and critics formed a circle around the woman in blue, who knelt in prayer. Everyone agreed that her print was more beautiful than the original. What it lacked was a title. Pietà? said the guard. Who will open the bidding? said the duped curator, winking at the woman. We had more targets than money, but our aim was improving.


XXII

La stampa è un falso, ci assicurò la guardia, strizzando l’occhio alla donna con il sari blu. Notte stellata? Aspettavamo che iniziasse la conferenza stampa, quando il museo avrebbe svelato l’ultimo scandalo: la nostra indagine sul ruolo della donna nella caduta in disgrazia del curatore ci aveva reso vulnerabili al suo fascino. Non è indù, dichiarammo, toccandoci il portafogli. Ma la nostra ricerca della Farmacia di Dio non aveva prodotto risultati, e all’asta privata, dove tenevamo sott’occhio l’aldilà, ci consigliarono di pentirci per aver abbandonato le armi sulle montagne. Da qui il nostro pellegrinaggio al museo. I fotografi e i critici facevano ruota intorno alla donna vestita di blu, che pregava in ginocchio. Ognuno concordava nel dire che la sua stampa era più bella dell’originale. Però le mancava il titolo. Pietà? disse la guardia. Chi vuol dare inizio alle offerte? disse il curatore beffato, strizzando l’occhio alla donna. Avevamo più bersagli che denaro, ma la nostra mira stava migliorando.


XXIII

Shoot the horse—that’s what the blacksmith thinks, limping to his truck. The white mare tied to the apple tree rises on its hind legs, parting the waves of blood, stubble, and fallen fruit. The frost is a stained glass window giving on to the future. Giving? It takes from the past, which includes last night’s clouds, this morning’s argument over the clergy’s role in politics, and what caught the blacksmith’s attention just before he was kicked. Only the rope tethering the mare belongs to the present, and it—the rope, the present—is fraying at both ends. Likewise the blacksmith’s nerves: his followers, awaiting his instructions, stand at the edge of a sea that dried up long ago. Yet we shield our eyes when the priest in the prompter’s box shouts: Too many actors in the capital! He’s the stage manager of a bankrupt theater, he believes in nothing—not the Epiphany, nor the afterlife, nor even the most obvious signs of stagecraft in the shaping of our destiny:


XXIII

Ammazzate il cavallo – ecco quel che pensa il fabbro, zoppicando verso il trattore. La cavalla bianca legata al melo si erge sulle zampe posteriori, separando le onde di sangue, stoppia e frutta caduta. Il gelo è una vetrata colorata che dà sul futuro. Che dà? Prende dal passato, incluso le nuvole di ieri sera, la discussione di stamane sul ruolo del clero nella politica, e ciò che catturò l’attenzione del fabbro appena prima che lo calciassero. Solo la corda che lega la cavalla appartiene al presente, ed esso – la corda, la cavalla – si sta sfilacciando ai margini. Così come i nervi del fabbro: i suoi seguaci attendono istruzioni sulla sponda di un mare prosciugato da tanti anni. Eppure ci proteggiamo gli occhi quando il prete nella buca del suggeritore grida: Troppi attori nella capitale! È il direttore artistico di un teatro in bancarotta, non crede in niente – né all’Epifania né all’aldilà, e neppure al più ovvio segno di arte scenica nella creazione del nostro destino:


XXIV

abandoned cities; dying forests and lakes; histrionics in the Pharmacy of God. Winter figures into one of the priest’s cues or equations, although he can’t remember why. Nor can we explain our elation over the canceled elections. Give the blacksmith something besides a pistol for his pain, and then take from him all the spiritual choices arriving in glass coaches at dusk, which overwhelm us with kindness. Where should we look for the stone tablets? Will they mention the horse and the tree? Which window should we open tonight? And the sea—what happened to the sea? These questions we should have answered before the lights dimmed. The curtains rise on an empty stage. The clouds in the backdrop resemble cassocks. And the actors in the wings will never finish the penal code, or lead us out of temptation to forget the past, or organize the exodus across the desert. The rope’s about to break: there will be no more dress rehearsals.


XXIV

città abbandonate; foreste e laghi moribondi; istrionismi nella Farmacia di Dio. L’inverno figura in una delle battute d’entrata o equazioni del prete, benché lui non ricordi il perché. E neppure possiamo spiegare il nostro entusiasmo per le elezioni annullate. Date al fabbro qualcosa di più di una pistola per il suo dolore, e poi portategli via tutte le scelte spirituali che arrivano ogni giorno al crepuscolo su carrozze di vetro, per sopraffarci con la loro gentilezza. Dove dovremmo cercare le tavole di pietra? Accenneranno al cavallo e all’albero? Quali finestre dovremmo aprire stanotte? E il mare – cos’è successo al mare? A queste domande avremmo dovuto rispondere prima che calassero le luci. I sipari si alzano su un palcoscenico vuoto. Le nuvole sullo sfondo assomigliano ad abiti talari. E gli attori dietro le quinte non finiranno mai il codice penale, né ci distoglieranno dalla tentazione di dimenticare il passato, né organizzeranno l’esodo attraverso il deserto. La corda sta per rompersi: non ci saranno altre prove generali.


Traduzione dall’inglese di Giorgio Mobili




Christopher Merrill
a partire dal 1988 ha pubblicato sei raccolte di poesia, tra le quali si segnalano Brilliant Water (1995) e Watch Fire (2001), per cui gli è stato assegnato il Lavan Younger Poets Award dall’Academy of American Poets; Necessities (2013) è il suo più recente libro di prosa poetica.
Ha tradotto i poeti sloveni Aleš Debeljak (Anxious Moments, 1995; The City and Child, 1999) e Tomaž Šalamun (The Four Questions of Melancholy, 2007); e i coreani Heeduk Ra e Ji-Woo Hwang. Ha curato parecchi volumi, tra cui From the Faraway Nearby: Georgia O’Keeffe as Icon (1998), e pubblicato cinque libri di nonfiction, tra cui segnaliamo The Grass of Another Country: A Journey Through the World of Soccer (1994); Only the Nails Remain: Scenes from the Balkan Wars (2001) e Things of the Hidden God: Journey to the Holy Mountain (2005).
La sua opera è stata tradotta in venticinque lingue. Molte le onorificenze ricevute, tra cui il Translation Award dal ministero della cultura slovena e l’Ingram Merrill Foundation Award. Nel 2006 è stato insignito del titolo di Cavaliere dell’Ordine delle Arti e delle Lettere in Francia. Dal 2000 dirige l’International Writing Program all’Università dell’Iowa. In qualità di membro della commissione nazionale americana per l’UNESCO ha condotto missioni diplomatiche culturali in oltre trenta Paesi. Nel 2012 è stato nominato dal Presidente Barack Obama a servire nello U.S. National Council on the Humanities.

(foto di Ram Devenini)


giorgiomobili@hotmail.com