“La fotografia ce la può dire lunga sulla persona ritratta, ma una cosa è certa: che non meno di una pittura ce la dice lunga sul fotografo”
Mario Praz (saggista e critico a proposito dei ritratti di Gisèle Freund)
Quella di Giada Irrera è stata una scelta coraggiosa: raccontare una storia terribile e di grande complessità come è quella dell’immigrazione, attraverso il ritratto.
Per questo motivo le immagini ci dicono qualcosa dell’autrice che, per quanto alle prime esperienze, ha dimostrato di saper cogliere la sintesi della Storia e di tante storie.
Possiamo immaginare che la fuga dal proprio paese, a rischio della vita stessa, sia una necessità ineludibile ma nonostante ciò, o forse proprio per questo, lo sradicamento dalla propria terra rappresenta una profonda violenza.
E possiamo anche immaginare quanto debba essere importante che questa violenza possa mitigarsi con un’accoglienza adeguata.
Purtroppo apprendiamo dalle cronache italiane ed europee che per i migranti non solo questa accoglienza adeguata spesso non esiste, ma addirittura, in alcuni paesi, viene loro impedito l’accesso.
In questo scenario Lampedusa si è distinta per essere un’importante eccezione nonostante le difficoltà di ricevere, in un territorio così piccolo, migliaia di persone.
Per affrontare questo tema nella sua interezza, Giada Irrera sceglie di inserire nella narrazione non solo i migranti, ma anche i Lampedusani: tutte le persone che, a vario titolo, si sono adoperate per accoglierli.
Con un diario di viaggio, che ha costantemente aggiornato, ha raccolto molte storie, degli isolani orgogliosi della propria terra, dalla quale non potrebbero mai allontanarsi, ma soprattutto dei migranti, che si sono aperti ad un’estranea affidandole i loro rimpianti, le speranze, la nostalgia, la consapevolezza di dover iniziare una nuova vita, senza tuttavia avere alcuna visione del futuro. E alla fine hanno le hanno concesso un sorriso, generoso e riconoscente.
Su uno sfondo bianco, come in un unico grande set, questo racconto per immagini diventa un affresco collettivo, dove ognuno è in relazione con l’altro perché, come nonna Anna, il foulard elegante intorno al collo, ha detto a Giada:
“Il mondo è questo: un po’ di bianco, un po’ di nivuru, tutto si miscela e si mette nelle vostre mani, dei giovani come te. Prendetevi cura di questa mescolanza, è preziosa.”
L’empatia, con le persone e i luoghi, dimostrata in questa occasione sarà per l’autrice uno strumento importante nei percorsi narrativi di altre storie che il mondo, in continua trasformazione, ci chiama a realizzare.
Le auguriamo, in conclusione, di non perdere con il tempo una qualità speciale che il suo lavoro contiene: la semplicità dell’approccio e del linguaggio. Una profonda e umana semplicità.
Ambra Laurenzi
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“Fammi una foto e resterò giovane per sempre”
1 nuovo percorso da intraprendere
16 anni
32 denti bianchissimi |
“Non dimenticarti di questa casa e torna, ‘o scia”
Le mani di nonna Maria sono fresche
Mi stringe
Profumo di lavanda |
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“Ho avuto tanto dalla vita, mi sono detta che era ora di dare anche a gli altri e così ho adottato Bax”
Siamo al bar delle Rose
Mi parla di chi nella vita ha perso
Rosangela ha gli occhi di chi vuole donare vittorie
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Io e te non abbiamo mai parlato. Guardi il mondo in silenzio dai tuoi occhiali a specchio, indossi la tua musica con fare solitario. Bax, puoi togliere gli occhiali un attimo?”
Fai di sì con la testa
Poi torno a specchiarmici dentro
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“Il mare mi riporta a casa ogni volta che mi manca. Lo guardo e sono più vicina”
Efia posa per me
La sue mani si intrecciano sul grembo
Timidamente raccoglie il sorriso
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“Fai buon viaggio e che ti possa portare fortuna quella piccola tartarughina”
Giuseppe ha le dita da scultore
Mentre mi porge il mio regalo di pietra
Ma Lampedusa non accetta addii
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“No, nessun grazie. Gli amici non si dicono mai grazie”
Il suo francese macchiato dallo sforzo per la nuova lingua
Atif dice che l’amicizia non ha bisogno di parole
Ma si muove dolce su note universali |
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“Ricordo gli occhi sgranati di un ragazzo che poteva avere massimo 22 anni, poco più piccolo di te - mi indica – con gli occhi fissi al cielo, sprofondava nel mare e io non potevo fare niente”
Salvatore che non mette più piede in acqua
Se gli parli di Bossi - Fini, la sua faccia è “schifiàta” Totò è libero
A Totò un ci ni futti nenti da genti
A Totò stanno a cuore le persone |
“Sto da tre mesi a Lampedusa, tutti sono una famiglia per me, anche se non ci capiamo, perchè in pochi sanno parlare inglese. Perché in Italia nessuno parla inglese? È un paese più importante del posto da cui arrivo io”
Amir fuma la sua sigaretta
Con fare incredulo scuote la testa
Stanco, vive nel limbo
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“Sapevi che Lampedusa ha le braccia? Le protende a chi arriva e noi con lei”
È il tramonto nella piazza della chiesa
Anna sorregge la sua borsa da lavoro
A tutti rivolge una parola gentile
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Lampedusa - Giorno 3 - 27/3/2016, Pasqua
Vago, inebetita dalla bellezza delle casette di Lampedusa, piccole e accoglienti e dalle porte sempre aperte che, quando ci passi davanti, scorgi sempre qualcuno al loro interno intento a cucinare o a coccolare il gatto.
Spensierata, con un sorriso che mi mangia tutta la faccia, giro l’angolo e mi si para davanti l’unica chiesa di Lampedusa.
Nella piazza c’è il pieno di gente, in gran parte rifugiati che trascorrono il loro tempo in attesa che il tempo trascorra.
Mi scorgono in lontananza e mi vengono incontro.
Scatto loro delle foto, parliamo un po’, mi includono nei loro selfie.
Sono frastornata, non mi aspettavo un’accoglienza simile, ma non perdo tempo: vogliono sapere tutto di me e io di loro.
Conosco un ragazzo del sud del Sudan – sguardo intelligente, di bell’aspetto – ha un’aria diversa dagli altri, come se non avesse assolutamente bisogno di nessuno, senza però risultare, per questo, altezzoso.
Mi dice di aver studiato un po’ di fotografia, perché si stava laureando in giornalismo.
Anni di guerra civile e dittatura hanno logorato costantemente il suo presente, poi ha deciso di andare via e da quel momento Abdrahman vive proietatto nel futuro.
D’altronde, quando il tuo passato è una tortura e sei costretto a scappare, il tuo presente si racchiude in un’unica ossessiva domanda al futuro semplice: che farò?
Che farai? – gli chedo.
Voglio continuare a studiare – dice.
Ma non in Italia, sarebbe una difficoltà in più. Per la questione della lingua, sai? Io parlo meglio l’inglese dell’italiano, in Gran Bretagna sarebbe più semplice, mentre qui nessuno capisce ciò che dico - inarca le sopracciglia in cerca di sostegno e comprensione.
Comprendo, io parlo Italiano eppure la storia non cambia, forse non è solo una questione di lingua.
Sorride.
Non potremmo essere più diversi: voglio dire, io piango se guardo Patrick Swayze e Demi Moore che modellano un vaso in tv, lui non ha più una famiglia, una casa, gran parte della sua giovinezza, ma sorride.
Mi da una pacca sulla spalla, poi fa per mettermi qualcosa al collo. È una croce cristiana in legno.
Mi dice “always”.
Io cerco una mia foto tra i mille scontrini nel mio portafogli e la trovo, gliela porgo, dopo aver scritto dietro il mio nome.
Lui ci aggiunge sotto un cuore un po’ storto e l’appoggia al suo petto.
Ho un amico. |
“La nostra azione è rivolta a aiutare chi soffre e vive in uno stato d’emergenza, con ogni forma di soccorso possibile, sia materiale che morale”
Durante il giorno di Pasqua
Mirko, sotto un sole cocente e impietoso
La tuta che è un vessillo
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“Lascio tutto alle spalle e rivolgo il viso a una nuova storia. Non è facile, sai, non avere più nessuno. Perdi la tua identità. L’unica cosa da fare è nascere ancora”
C’è un muro beige
Uno dei tuoi piedi poggia sull’intonaco
Le braccia ti accompagnano lungo i fianchi, Kayin
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“My name is Ismael, I come from Somalia. I escape from terrorism”
Sulla panchina lontana
Poche parole dette
Un peso per chi non sa e prova a immaginare |
“Cosa cerchi? Di cosa hai bisogno? Io ti aiuto. Mi chiamo Melchiorre, ma per tutti sono Spank”
In via Roma
La sera
Il primo volto incontrato |
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“Voglio continuare a studiare. Mi stavo laureando in Giornalismo, sul Sud del Sudan, ma la guerra civile mi ha costretto ad andare via. Sogno di poter essere libero di realizzarmi e spero che un giorno, i centinaia di bambini del mio paese, rapiti e arruolati nelle milizie con la forza, possano avere la libertà di scegliere della loro vita”
Con quell’aria diversa rispetto agli altri migranti lo sguardo fiero
Abdrahman, mi dici: non ho bisogno di nessuno |
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“Vivo da molto tempo lontano da Lampedusa, nel Nord Italia, ma il mio cuore è sempre rimasto quì. Ho bisogno di quest’isola e dell’accoglienza che solo qua si può ricevere. Lampedusa è così: non può fare a meno di dare”
Nell’aria disegna ospitalità con i gesti delle braccia
L’accento nordico estranea dal caldo rumore del mare
Nel bar del porto, Vito è un bambino tornato a casa |
“Vorrei che non ci fossero le distanze. Se tutto fosse più vicino, non sarebbe così difficile la felicità”
Chiude la chiamata, Obi, cellulare in mano
Amici, fratelli lontani
La sua adolescenza non somiglia alla mia |
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“Il mondo è questo: un po’ di bianco, un po’ di nivuru, tutto si miscela e si mette nelle vostre mani, dei giovani come te. Prendetevi cura di questa mescolanza, è preziosa”
Nonna Anna che mi tiene accanto a sè
Il foulard elegante attorno al collo
La bocca una linea sempre pronta a curvarsi verso l’alto
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“Non sono bellissima, non mi sento nemmeno una donna, vestita come sono. E il mio viso... quello ha smesso di appartenermi già da tempo”
Zema copre con la sciarpa grezza
Ustioni causate dal gasolio in stiva
Gli occhi divampano nella cornice del viso
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laurenziambra@gmail.com giadairrera@ied.edu
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