FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 42
aprile/giugno 2016

Residenze

 

AMICIZIE ITALO-AFROAMERICANE
Un racconto di Mary Bucci Bush

di Manuela Francavilla



Mary Bucci Bush è una scrittrice americana di origine italiana che attualmente vive e lavora in California. Cresce nello stato del New York dove prima si laurea in inglese presso la State University di Baffalo e poi frequenta la Syracuse University dove ottiene il diploma di master in inglese e di dottorato in scrittura creativa. Negli anni passati alla Syracuse University, lavora a fianco di Raymond Carver lo scrittore statunitense che negli anni ottanta contribuisce maggiormente alla rivitalizzazione del racconto come genere letterario negli Stati Uniti. Questi non solo la assiste nella stesura delle tesi di master e dottorato, entrambe raccolte di racconti, ma, intuendone la potenzialità narrativa, incoraggia Mary Bucci Bush a scrivere e a pubblicare i suoi primi lavori.

La passione della scrittrice per la parola raccontata nasce dal privato, ascoltando le storie dei familiari che lasciano l’Italia tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 nella speranza di trovare una vita migliore nel Nuovo Mondo. Durante i raduni familiari, fin da piccola, ascolta estasiata e con stupore gli incredibili ricordi della nonna Pasquina, quelli della zia Pearl (‘una vera cantastorie’) e della cugina Patti (amante delle esagerazioni). Sono soprattutto le storie della nonna, però, a influenzare maggiormente l’immaginazione e l’interesse dell’autrice: di quando, ancora bambina, la signora Pasquina e i suoi genitori raggiunsero gli Stati Uniti d’America, di come si ritrovarono in condizioni di estrema povertà e schiavitù a lavorare per una piantagione di cotone (chiamata Sunnyside) nell’Arkansas e dell’amicizia tra la sua famiglia e un’altra, afroamericana, che viveva e lavorava per la stessa piantagione.

Un’influenza così forte da lasciare un segno sul contenuto e sui temi della narrativa della Bucci Bush a partire dai primi racconti degli anni di formazione fino ad oggi. Drowning, che fu pubblicato per la prima volta nel 1990 dal Syracuse University Magazine e poi venne modificato leggermente e incluso nel romanzo Sweet Hope nel 2011, ne è una chiara dimostrazione. Si tratta infatti di uno spaccato di vita di due bambine che, l’una italiana e l’altra afroamericana, vivono e lavorano con le proprie famiglie presso la stessa piantagione di cotone e che spesso giocano insieme in quelle terre sul delta del Mississippi.

Questo racconto – qui pubblicato per la prima volta in italiano con il titolo Annegare – esplora molti dei temi cari all’autrice: le relazioni interraziali in generale (e tra italiani e afroamericani in particolare), come certe amicizie e relazioni amorose interraziali siano riuscite a sopravvivere nonostante la segregazione e il razzismo, le diversità tra le nozioni di ‘razza’ e ‘l’essere di colore’ nel contesto statunitense e infine come gli italiani, considerati una ‘terza razza’ e ‘di colore’ negli Stati Uniti tra otto e novecento, siano diventati bianchi.

Il lettore viene trasportato direttamente, in media res, in Drowning che è un racconto di ambientazione storica e scritto in uno stile semplice e chiaro; uno stile che sfugge la ricercatezza del linguaggio per rispecchiare invece la mentalità ingenua, ma non ignorante, delle sue giovani protagoniste: Isola e Birdie parlano un inglese a tratti sgrammaticato e con un forte accento del sud statunitense. D’altra parte, la bambina italiana ha imparato la lingua inglese dall’amica afroamericana che, a causa delle leggi segregazioniste, non può andare a scuola. Eppure agli occhi di Isola, Birdie è la persona più intelligente e coraggiosa che conosca, capace addirittura di sfidare gli adulti uomini bianchi per cui le loro famiglie lavorano.

Lo stile semplice, però, non abbassa il tono e non sminuisce i temi del racconto che trova vivacità e concretezza nelle dettagliate descrizioni del paesaggio in cui la storia è immersa. In particolare, le pagine di Drowning sono piene di una luce che brilla proprio come quella del sole descritto nel racconto, calda e chiara come dopo un violento temporale primaverile nel profondo sud degli Stati Uniti. Una luce avvolgente che allo stesso tempo permette alle bambine di avere una visione nitida, ma anche drammatica, sulle difficoltà e oppressioni subite quotidianamente.

Mary Bucci Bush affronta il tema dell’immigrazione italiana negli Stati Uniti, rammentandoci le difficoltà e i pericoli che i nostri connazionali affrontarono al loro arrivo in terra straniera e che a volte si dimenticano. Non parlare la lingua del posto, non conoscere nessuno ed essere considerati di razza inferiore ponevano gli immigranti italiani a rischio dello sfruttamento. Con questo racconto, e poi con il successivo romanzo Sweet Hope, Mary Bucci Bush ci offre, anche se involontariamente, un’importante riflessione sui tragici fatti che in questi ultimi anni stanno scuotendo l’intera unione europea: l’accoglienza e la protezione di profughi in fuga dalla miseria e dalle tenaglie dello sfruttamento.

 


ANNEGARE

Dal racconto Drowning (Parentheses Writing Series, 1995)
di Mary Bucci Bush
poi incluso nel romanzo Sweet Hope (Guernica Editions, 2011)



Agosto 1905

Dopo la settimana di pioggia, era troppo bagnato per lavorare nei campi di cotone e c’erano troppi serpenti per ripulire la palude da tronchi e rami. La madre di Isola vide quello sguardo particolare nel volto della figlia: «Guai a te se t’avvicini al terrapieno» le disse. «Sta’ qui con me e aggiusta i vestiti.»

L’acqua era arrivata da ogni parte. Il fiume s’era gonfiato e una volta era arrivato a pochi centimetri dal bordo del terrapieno, potente, profondo e pericoloso. Nel bosco (in famiglia lo chiamavano bosc) s’erano formate delle pozzanghere grandi come stagni e i pesci ci nuotavano dentro. Già, pesci, ma da dove arrivavano, poi? Tutta la regione era diventata come un mosaico di ruscelli, stagni e pozzanghere. Persino calpestare ciò che sembrava terra asciutta era diventato pericoloso: mettevi un piede su una zolla erbosa e potevi ritrovarti con l’acqua alle caviglie.

«Dove pensi d’andare?» disse sua madre.

«Da nessuna parte. Devo fare pipì.»

«Devi lavorare; ecco che devi fare.» Prese il vestito dalle mani della figlia e lo scrollò.

«Guarda qui,» disse, «ma cosa ne sarà di te quando cercherai marito e lui vede che pasticci fai quando cuci?»

«Mamma» si scusò lei, «forse non mi sposo».

La madre emise un suono dalla bocca come per sputare dei fondi di caffè e si segnò. «Ossignore! Che il ciel t’aiuti! Che ne sarà ti te se sei proprio così

Isola sfregò il piede avanti e in dietro contro un punto ruvido del pavimento di legno per grattarsi sotto l’alluce. Suo fratello Osvaldo era andato con il padre a caccia di rane per la cena e Angelina era fuori al sole a legare i pomodori al filo per farli essiccare. Ne avevano raccolti il più possibile prima che la pioggia arrivasse e li rovinasse. Erano tutti fuori a lavorare tranne lei, che era bloccata in casa con le preghiere di sua madre, l’ago e il filo.

Sua madre si alzò e andò a prendere una candela e la statua di Santa Maria Vergine. Isola brontolò tra sé e sé mentre osservava la madre mettere la statua sul pavimento e accenderle la candela davanti. «Mettiti lì» disse puntando il pavimento col dito «e prega prima che il diavolo venga e ti porti via.» Isola s’inginocchiò vicino a sua madre e insieme recitarono un’Ave Maria, un Padre Nostro e una Salve Regina. Poi, rimasero in silenzio per molto tempo: Isola guardava la fiammella danzare davanti al vestito blu scheggiato di Maria; il viso della Madonna era piccolo come quello di una bambola o di una ragazzina più o meno della sua età e con che espressione! Chissà quante volte Maria era stata sgridata dalla madre, proprio come succedeva a lei.

Suo padre diceva che gli italiani lavoravano come animali, raccattando centesimi a ogni minuto del giorno. Quando non stavano lavorando nel loro appezzamento per il signor Gracey, lavoravano ad ore per altri contadini, zappavano erbacce, vendevano porta a porta pomodori o uova delle loro galline, rammendavano o lavavano i panni o aggiustavano i carri degli altri. Un centesimo qui e un altro là e li mettevano tutti da parte. I neri, invece, non sembravano così pazzi per lavorare e guadagnare come facevano gli italiani, anche se venivano sgridati di più perché non lavoravano abbastanza e venivano puniti in altri modi. La maggior parte delle volte Isola avrebbe voluto essere una bambina nera per poter andare a giocare più spesso con Birdie o per cantare con lei mentre lavoravano nei campi.

La madre di Isola allungò la mano verso la candela e la spense con le dita.

«Posso andare a fare pipì adesso?» disse Isola.

«Va’, va’… e poi guarda perché le galline sono così silenziose, che non siano annegate là fuori… e porta le uova in casa.»

Sollevata, Isola andò verso la porta.

Era là fuori che tutto accadeva. Il sole stava già iniziando a asciugare la terra e il vecchio Step Hall stava andando da qualche parte con mulo e carro per conto del padrone. Alzò la mano e salutò la ragazza che intanto era andata giù per la strada, più in là di Angelina e i suoi fili di pomodori. Birdie andava dietro a suo padre a piedi, strascicando un ramo per terra.

«’Giorno, signorina Isola » disse Step passandole vicino col carro. «Fa piacere vederla fuori casa al lavoro. »

Birdie, trascinando il ramo per terra, si fermò vicino a Isola. «Guarda che disegni che faccio» disse.

Isola guardò i ghirigori nella terra fangosa. «Mio padre è alla palude a caccia di rane» disse a Birdie.

Birdie sussultò facendo cadere il ramo. «Rane» disse, «non so come fate a mangiarle».

«Solo ogni tanto…» rispose Isola.

Step era già quasi in fondo alla strada quando si girò per chiamare Birdie «Non fare la pelandrona. Torna a casa.»

Birdie guardò suo padre andare via col carro. Poi, disse a Isola: «Papà dice che un uomo è morto annegato nel lago… gli s’è capovolta la barca.»

«Annegato? » disse Isola conficcando gli occhi spalancati in quelli di Birdie e facendo qualche passo verso il retro del pollaio in modo che Angelina non potesse vederle e ascoltarle.

«Secondo papà era ubriaco» le raccontò Birdie, «e stava cercando di attraversare il lago per andare dalla sua donna. Ora va a vedere.»

«Va a vedere un uomo annegato?» disse Isola.

«Bisogna vedere chi è e riportarlo indietro per seppellirlo se è di qui… ma non si sa ancora. Che rabbia: non vuole portarmi.»

Isola provò ad immaginare un uomo annegato. Sapeva che il fiume era pericoloso e per questo non ci entrava mai nessuno nemmeno con una barca, ameno che non fosse una di quelle grandi barche da fiume. Ma il lago... tutti andavano a pescare nel lago e qualche volta ci facevano addirittura il bagno; e tutti attraversavano il lago sul traghetto di Primo o sulla barca a remi del prete.

«Se eravamo nel bosco,» disse Birdie, «potevamo vedere quando mio papà lo riporta indietro.»

«Mia madre m’ha detto di stare lontano dal terrapieno» disse Isola «e di controllare le galline e prendere le uova.»

«Il bosco non è il terrapieno» disse Birdie, «e le tue stupide galline stanno bene.»

Ascoltarono il tranquillo chiocciare delle galline provenire dal pollaio.

«M’ha detto di prendere le uova. E devo cucire.» Ma proprio mentre pronunciava quelle parole, riusciva già a immaginare una scura sagoma umana, la forma ingrossata di un uomo che qualcuno tirava fuori dall’acqua e poi l’adagiava per terra con i vestiti appiccicati al corpo gonfio, mentre lei s’avvicinava sempre di più per vederne la faccia annegata. Ma riusciva solo a vedere un uomo addormentato con occhi e guance neri e gonfi e delle goccioline d’acqua scintillare come diamanti tra i capelli neri.

Presero una scorciatoia che, attraverso prati molli d’acqua, le portò fino alla fangosa strada da cui saliva un calore simile a quello del fuoco che ha appena iniziato a bruciare in una stufa: caldo ma non troppo.

Birdie a parte, l’acqua era l’unica cosa buona della vita alla piantagione. In Italia c’era il mare, ma era diverso. Certo le maree facevano muovere l’acqua, ma questa si muoveva sempre allo stesso modo. Qui, invece l’acqua era selvaggia: un giorno era tranquilla, dolce e bassa; il giorno dopo buttava giù le case e portava via i muli; oppure piombava dal cielo all’improvviso con tuoni e fulmini spaventosi, o filtrava dentro a ogni cosa attraverso il terreno che non era così consistente come sembrava; oppure, da sera a mattina, si formava un lago là dove prima il terreno era secco: come con le pozzanghere nel bosc. Persino l’aria era satura d’acqua: così umida e soffocante d’estate che si poteva soffocare solo a respirarla, come diceva il padre di Isola.

Le ragazze rallentarono davanti alla casa dei Sant’Angelo: Nina era loro amica, sua madre aveva avuto la febbre e suo padre era andato via con altri uomini nella speranza di trovare lavoro in un mulino, mentre Nina e i suoi famigliari mandavano avanti la campagna. Gli uomini dello spaccio del signor Gracey stavano braccando il signor Sant’Angelo e gli altri per riportarli indietro. Alla piantagione ne parlavano tutti e ci si chiedeva se gli avrebbero sparato come ai neri che scappavano e che cosa sarebbe successo alle famiglie quando loro sarebbero stati uccisi.

«La vedi?» sussurrò Isola.

«Non vedo nessuno» le disse Birdie mentre camminavano lentamente e allungavano il collo per vedere. La casa era chiusa, la porta era chiusa e anche le finestre erano chiuse, come quando muore qualcuno. « Chissà se sono dentro » disse Birdie.

Si fermarono per un minuto e scrutarono la casa in ascolto. Forse erano fuori a lavorare nei campi visto che la terra aveva iniziato ad asciugare e, poi, da che gli uomini dello spaccio erano partiti alla ricerca del signor Sant’Angelo, loro lavoravano più del solito. Nessuno avrebbe mai pensato che andare a cercare lavoro fuori di lì per pagare i debiti sarebbe stata una cattiva idea. Ma quando il padrone aveva mandato i suoi uomini, sembrò una terribile idea: andare via era come imbrogliare il padrone.

La casa dei Sant’Angelo era una baracca come quelle di tutti gli altri: vecchie assi montate su ceppi d’albero per sicurezza contro allagamenti e serpenti (non che così i serpenti non riuscissero ad entrare); due finestre e una porta senza zanzariere; dal tetto spuntava il tubo della stufa, che serviva a cucinare e in inverno anche a scaldare tutte e tre le stanze; e un altro ceppo faceva da scalino.

Vicino alla casa, l’orto dei Sant’Angelo era stato spianato dalla pioggia: i rami che dovevano sostenere le piante di pomodori erano in piedi ancora con lo spago legato attorno, ma le piante erano appiattite al loro fianco nella terra sabbiosa e qualche pomodoro rosso giaceva schiacciato in un mucchio.

Era da qualche giorno ormai che non vedevano Nina e ne sentivano la mancanza, ma sarebbe stato strano vederla, pensò Isola, sapendo che suo padre era scappato e lo braccavano come un animale e, chissà, forse gli avrebbero anche sparato.

«Stalle lontana» avevano detto sua madre e suo padre ad Isola. «Possiamo finire nei guai con gli americani anche noi, se ti vedono giocare con lei.»

Suo padre, però, non stava lontano dai Sant’Angelo. Era andato dal prete in cerca d’aiuto per la signora Sant’Angelo e per cercare di evitare la prigione a suo marito, se non peggio. Ma fino ad ora, il prete non aveva fatto niente. Era un segreto che Isola non poteva dire a nessuno, o rischiava che quegli uomini facessero del male a suo padre se lo avessero scoperto. Non poteva dirlo nemmeno a Birdie.

«Mio papà dice che ora dobbiamo fare attenzione tutti» Isola disse a Birdie.

«E perché?»

Isola si guardò attorno. Si avvicinò a Birdie e abbassò la voce: «Se giochiamo con Nina, gli americani ci spareranno. O ci bruceranno la casa.»

Birdie fece un passo indietro e guardò Isola: «E questa dove l’hai sentita?»

«Lo fanno gli uomini di Gracey» disse Isola. «Me l’ha detto mio papà.»

Birdie mise le mani ai fianchi. «Ma sei scema o che? I bianchi non sparano ai bianchi» e iniziò a camminare così velocemente che Isola dovette trottare per starle dietro.

«Ma noi non siamo bianchi» le disse Isola, «siamo italiani.»

Raggiunsero un campo dove nonostante le recenti piogge alcune persone stavano lavorando. Era l’appezzamento dei Titus, i cugini di Birdie. I neri passavano tra le alte piante verdi controllando i danni e zappando le erbacce. Bisognava sradicare le piante piegate o rotte. Lud Titus chiamò Birdie e le disse di tornare a casa perché sua madre la voleva al lavoro. Birdie fece un cenno con la mano a Lud e poi le due ragazzine si misero a correre, non sulla strada che portava a casa di Birdie ma dritto dritto verso il bosco. Correvano e ridevano di Lud, grassa, quasi calva e completamente sdentata.

Sulla via per il lago c’era il bosco che la strada costeggiava per un tratto; quindi, se arrivava un carro, soprattutto un carro con sopra un uomo annegato, di lì loro sarebbero potute uscire di corsa a vedere. L’acqua era arrivata fin dentro al bosco e c’erano di nuovo degli stagni; alcuni rami, dalle bianche e luccicanti parti interne e morti perché spezzati dal temporale, ciondolavano dagli alberi o erano sparpagliati tra le erbacce alte e basse. Le ragazze corsero sul terreno spugnoso e nel fango che faceva ciaf-ciaf tra le dita dei piedi fino allo stagno grande appena dentro la boscaglia.

«Chissà se i pesci sono tornati ’sta volta» disse Birdie bagnandosi i piedi al bordo dello stagno. Isola le andò dietro e fece un passo nell’acqua fresca. Strofinò i piedi sull’erba sotto l’acqua e guardò il fango salire a mulinello dal suolo e dai suoi piedi. Trovarono dei rami da infilare nell’acqua per misurarne la profondità. Isola teneva l’orlo del vestito stropicciato tra le mani mentre tastava l’acqua bassa con il ramo.

«Ne vedi?» disse Birdie che avanzò leggermente e s’inchinò lasciando che il suo vestito si bagnasse.

«C’è qualcosa» disse Isola puntando col dito e facendo un salto, ma poi s’immobilizzò di nuovo, perché aveva paura dei serpenti da quando un giorno, tastando nel pollaio in cerca di uova delle galline, s’era ritrovata con un lungo serpente strisciarle tra le dita.

Birdie tirava di bastone ai piccoli pesci lunghi appena pochi centimetri che così sparivano. La madre di Isola diceva che i pesci nuotavano sotto terra, nell’acqua sotterranea fino ad arrivare nelle pozzanghere nel bosc. Suo padre, invece, diceva che uscivano dal fiume e che camminavano sulla terra di notte e che si gettavano nella prima acqua che trovavano. Isola non capiva perché non aveva mai visto dei pesci camminare, con tutte le volte che era uscita di notte… ed erano molte. O perché non aveva mai trovato pesci morti sulla terra, quelli che non riuscivano ad arrivare ad un acquitrino. E come riuscivano, poi, a camminare, se non avevano gambe? Sembravano pesci come tutti gli altri: sottili e argentati e coperti di squame. I vecchi li chiamavano Pesce di bosc’ e dicevano che in Italia non c’erano pesci come questi, che solo in questo strano paese si vedevano cose del genere.

«Ne prendo uno» disse Birdie mentre già camminava nell’acqua piegata in avanti col vestito strascicante sotto il filo dell’acqua e appiccicato alle gambe. Sporse le braccia in avanti, pronta ad afferrare la prima cosa si muovesse.

Birdie era probabilmente la persona più intelligente che Isola conoscesse. Aveva insegnato molto inglese a lei, Nina e anche ad altri, anche se Birdie non sapeva leggere e non le era permesso di andare a scuola. Quando il signor Gracey non era nei paraggi, suo padre la lasciava guidare il mulo. E una volta, quando Birdie e Isola erano allo spaccio, ché avevano fame e volevano un pacchetto di cracker, Birdie portò i cracker al bancone e disse al negoziante di metterli sul suo conto. L’uomo le strappò il pacchetto dalle mani e le disse di uscire dalla bottega chiamandola «pazza negra». Secondo Isola, Birdie non stava facendo la pazza ma la furba. Ed era coraggiosa. Isola non avrebbe mai osato comprare a credito dagli americani come facevano le donne e gli uomini adulti.

«Finirai nei guai, signorina» diceva Step Hall alla figlia. Ogni tanto lo diceva come avrebbe fatto qualunque altro padre, altre volte, invece, come il giorno in cui Birdie aveva chiesto di comprare a credito, lo disse con un tono basso e terribile e il suo volto si oscurò più del solito e si capiva che era preoccupato e non c’era niente che lui o altri avrebbe potuto fare.

Due pesci si avvicinarono nuotando e Isola si slanciò a braccia tese per prenderli. L’orlo del suo vestito cadde infradiciandosi mezzo d’acqua e il pesce se ne scappò via.

«Devi prenderli alla sprovvista, da dietro» le disse Birdie. «Vieni qui, agitali un po’ e spingili verso di me.»

«Me ne prendo uno da sola» le disse, ma poi spinse lo stesso i pesci verso Birdie che vi balzò su atterrando sulle ginocchia.

Isola s’inginocchiò nell’acqua fresca vicino a Birdie; poi, insieme, mossero le braccia nell’acqua osservando le piccole onde allontanarsi verso la sponda. Sentiva sulle sue gambe l’erba del fondo dello stagno muoversi con le correnti, che le alzavano e abbassavano anche il vestito mentre piccoli pesci argentati nuotavano attorno a loro.

«Che faranno con quell’uomo quando tuo padre lo riporta indietro?» chiese Isola.

Birdie scrollò le spalle. «E che vuoi che ne fanno? Lo seppelliscono.»

«Chissà se lo conosciamo» disse Isola.

«Probabilmente,» rispose Birdie. «Lo senti? Mi sa che fra un po’ iniziano a cercarmi.»

In lontananza, una donna aveva iniziato a cantare: il che voleva dire che altra gente era tornata al lavoro nei campi. Spesso i neri cantavano mentre lavoravano o ripetevano divertenti ritornelli senza senso. Certo Birdie e la sua gente lavoravano, ma non come gli italiani. Birdie poteva giocare o fare la pelandrona, come diceva suo padre, e nessuno la picchiava per questo. Isola invece aveva paura che, se la sua famiglia fosse tornata al lavoro nei campi senza di lei, al suo ritorno a casa la picchiassero o, ancor peggio, che suo padre finisse nei guai o addirittura in prigione come stavano per fare con il signor Sant’Angelo.

«Meglio se vado» disse a Birdie e si alzò in piedi nell’acqua. «Mio padre starà per tornare e dobbiamo andare a lavorare.» Il suo vestito era pesante all’alzarsi e l’acqua grondava dalla gonna. Guardò giù: la stoffa si spiegò e ne uscì un pesce argenteo che lei afferrò prima che ricadesse in acqua. Birdie strillò e poi rise.

Il pesce si dimenava nelle mani di Isola, fresco e scivoloso, e toccarlo le faceva venire la pelle d’oca; ma no, non poteva lasciarlo andare. Era la prima volta che aveva tra le mani un pesce così vivo, appena tirato fuori dall’acqua. Schizzando da ogni parte, uscì dallo stagno seguita da Birdie e gettò il pesce sull’erba.

«Sapevi che era lì?» urlò Birdie. «Non te n’eri accorta?» e si palpò l’abito come se un pesce potesse nascondersi anche nelle sue vesti, pronto a caderne fuori e a spaventarla.

«No, non me n’ero accorta» disse Isola, «manco sapevo che c’erano dei pesci vicino a me.»

S’inchinarono ad osservare il pesce e Birdie gli toccò il fianco con la mano, ma la ritirò subito.

«Quant’è viscido!» disse. «Facciamogli una pozzanghera.»

Scavarono delle zolle di terra e erba con dei bastoni e iniziarono a costruire un terrapieno attorno al pesce; quindi, vi trasferirono dell’acqua gettandola con le mani, ma quella s’infiltrava quasi tutta nel terreno. Il pesce si rigirava su un lato e poi sull’altro, boccheggiava e fissava il cielo con l’occhio lucido.

«Pasticcio di pesce» disse Birdie, «come un pasticcio di cioccolato. Più veloce! Più veloce!»

Qualche centimetro di acqua riempì gli argini che avevano costruito e il pesce iniziò a muovercisi dentro, ma su di un lato e con le branchie che si aprivano e si chiudevano. Isola inserì un filo d’erba in una branchia, poi la ritirò fuori. Gettarono altra acqua sul pesce.

«I pesci annegano nell’aria» disse Birdie a Isola.

Isola guardò il pesce, la bocca e le branchie che si aprivano e chiudevano: non ci aveva mai pensato. Cercò d’immaginare come doveva essere stato per quell’uomo nero quando la sua barca s’era rovesciata l’altra notte. Chissà se aveva boccheggiato nell’acqua come il pesce aveva fatto nell’aria? Respirò profondamente, chiedendosi cosa si prova quando si respira e, invece dell’aria, l’acqua entra e ti riempie i polmoni. Non riusciva a capire come l’aria potesse far morire un pesce.

«Gli uomini annegano nell’acqua» disse Isola; e rideva, ma smise subito.

Una volta suo padre, quando ancora vivevano a Senigallia e lui lavorava sul peschereccio, aveva raccontato di un uomo morto annegato. Avevano dovuto tirarlo su con le reti da pesca e c’erano dei pesci nella rete con lui. Il pesce, lo avevano portato a casa e venduto. L’uomo, lo avevano portato a casa e seppellito. Non si guadagnava più a Senigallia, per questo se n’erano andati: tutto andava male; la politica andava male, diceva suo padre. Ma le cose andavano male anche qui e Isola sapeva che ogni centesimo che suo padre metteva da parte era per compare i biglietti per ritornare in Italia, non per comperarsi un pezzo di terra qui come aveva detto all’inizio. «Non morirò in ’sto posto» disse alla sua famiglia. «Voglio morire al mio paese.»

Sentirono un rumore appena fuori il bosco: la voce di un uomo e i lamenti di una ragazza. «È tuo padre» disse Isola. «Mi sa che hanno capito chi è l’uomo.» Lasciarono il pesce e si scambiarono uno sguardo. Esitarono, poi si avvicinarono all’inizio della boscaglia, verso la strada: lì avrebbero potuto nascondersi e veder passare il carro. Prima che arrivassero alla strada l’uomo urlò, più vicino. Sembrava arrabbiato e la ragazza piangeva. S’abbassarono dietro a degli arbusti e aspettarono.

Era il signor Horton che lavorava per la Compagnia e trascinava una ragazza nera nel bosco, chiudendole la bocca con una mano. Aveva la pistola infilata nei pantaloni come la portavano tutti i padroni e urlava alla ragazza. «Sta’ zitta» le diceva e intanto le tirava i vestiti e tirava lei.

Lei piangeva e dimenava le mani nell’aria. Era già una ragazza grande, più grande di Angelina, e appena si girò un po’ la riconobbero: era Lecie Titus, la cugina di Birdie. Birdie si rizzò sulle ginocchia come se fosse pronta a andare in suo aiuto, ma invece posò la mano sul braccio di Isola che la guardò: non potevano fare niente.

Il signor Horton sfilò dai pantaloni la pistola e la buttò con il cappello nell’erba dove l’arma scintillò argentea. Quindi, spinse Lecie per terra e le montò sopra e quando lei urlò, le diede uno schiaffo e l’afferrò per il collo con una mano per tenerla ferma.

Isola guardava inorridita. Sapeva cosa stava succedendo anche se nessuno le aveva mai parlato di quelle cose. Sentì le dita di Birdie stringere il suo braccio. Riusciva solo a pensare che, se fosse rimasta a casa a fare ciò che sua madre le aveva detto, forse, tutto questo non sarebbe successo a Lecie. Pensò al cucito e a quanto lo detestava ma a come avrebbe imparato ad amarlo e a quanto avrebbe aiutato sua madre a cucire e a tutti i soldi che avrebbero fatto e messo da parte per ritornare finalmente in Italia come diceva suo padre.

Il signor Horton s’alzò e si passò la mano sulla faccia. Raccolse il cappello e la pistola, che infilò di nuovo nei pantaloni. «Va’ a lavorare» disse a Lecie «prima che i tuoi si prendano una strigliata.» Lecie s’alzò mugolando; fece un passo per allontanarsi dall’uomo; poi, si girò e corse via con il vestito stracciato, bagnato e coperto di fango da dietro. Horton si piegò per pulirsi le ginocchia, si mise il cappello in testa e uscì dalla boscaglia.

Birdie e Isola rimasero accoccolate dietro i cespugli senza poter neanche emettere un sospiro. Alla fine si guardarono: gli occhi di Birdie luccicavano di lacrime non ancora cadute. Le ragazze si alzarono lentamente mantenendo gli occhi puntati al luogo dell’accaduto. Il bosco era così silenzioso. Gli uccelli cantavano, il bosco odorava intensamente di fango e vegetazione e tutto era pace. Lo stagno era immobile e pacifico e bianco sotto i rami verdi. La natura era florida e armoniosa. Ma man mano che si avvicinavano allo stagno, videro per terra il punto aggrovigliato in cui Lecie era stata sdraiata con Horton sopra di lei. E poi vicino allo stagno c’era il piccolo terrapieno che avevano costruito con dentro ancora il pesce argentato; l’acqua, però, se n’era andata quasi tutta. La bocca del pesce si muoveva lentamente, tra una lunga pausa e l’altra.

Isola prese il pesce in mano: era asciutto e dei fili d’erba e dei ramoscelli gli si erano appiccicati addosso. Lo ributtò nello stagno e galleggiò. Corsero a rotta di collo fuori dal bosco.

Non c’era nessuno per la strada o nei campi di là dagli alberi. Il sole bruciava sulle loro teste e l’aria era pesante d’umidità, che pareva salire proprio dalla terra bagnata.

Si diressero verso i campi dei Titus dove la gente stava lavorando. Là videro Lecie che, con la testa appena sopra le verdi piante di cotone, era appoggiata a una zappa, immobile, e non zappava via le erbacce. Altri attorno a lei lavoravano, tagliavano rami rotti, zappavano le erbacce, canticchiavano e si chiamavano l’un l’altro. Ma Lecie si teneva in disparte da sola e guardava per terra.

Birdie si separò da Isola e corse giù per la strada.

«Birdie Hall, ancora in giro?» la chiamò la vecchia Lud Titus.

Isola cercò di seguire Birdie ma poi si fermò: anche lei doveva tornare a casa o sarebbero stati guai. «Aspetta Birdie» disse.

Birdie si fermò e si girò a guardare Isola. «Stupida» disse «non sei altro che una stupida mangiarane.» E scappò a casa.


Traduzione dall’inglese di Manuela Francavilla


Ringrazio l’autrice per avermi concesso di tradurre il racconto “Drowning” dall’inglese all’italiano. Per questa traduzione ho usato la versione pubblicata nel 1995 nella serie Parentheses Writing Series diretta dal prof. Pasquale Verdicchio. Un grazie anche ad Antonella Caloro per aver letto questa traduzione italiana e per i suoi preziosi consigli.




Mary Bucci Bush
studia alla Syracuse University dove consegue i diplomi di Master e Dottorato in scrittura creativa e poi lavora a fianco di George P. Elliott e Raymond Carver. Oltre a questi due maestri, esercitano una forte influenza sulla sua scrittura i racconti orali di una nonna, una zia e una cugina, tutti incentrati sulla loro esperienza di immigrati italiani presso Sunnyside Plantation, una grande piantagione di cotone in Arkansas.
Tra le opere di Mary Bucci Bush: Drowning (Syracuse Writings Magazine, a cura di Pasquale Verdicchio 1990; Parentheses Writings Editions, 1995; e poi nel romanzo Sweet Hope 2011); Planting (1994; poi in The Voices We Carry: Recent Italian American Women’s Fiction per Guernica Editions, Toronto 2007; e poi in Sweet Hope 2011); A Place of Light, racconti (per William Morrow, New York 1990; per Guernica Editions, Toronto 2007); Drowned Edward Tug, racconto (2010, riconosciuto come miglior opera pubblicata negli ultimi quindici anni dalla The Missouri Review, antologia on-line); Grandma’s House racconto (per Italian Americana 2011) e Sweet Hope , romanzo (per Guernica Editions, Toronto 2011).
Mary Bucci Bush vive a Los Angeles dove scrive e insegna inglese e scrittura creativa presso l’Università della California.


manuela.francavilla@gmail.com