FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 39
luglio/settembre 2015

Svaghi & Feste

 

NOZZE DI UN CAPOCONTABILE

di Luciana Mattei



Adel, quarant’anni compiuti, capelli lisciati all’indietro, sorriso imbarazzato ed animo segretamente romantico, lavorava da due decenni come capocontabile nella sede della Banca Centrale del Cairo. Unico figlio maschio di una famiglia numerosa, era stato instradato agli studi di ragioneria dal padre che lavorava come custode notturno nella stessa banca. Il giovane era timido ma aveva stoffa e il genitore non aveva faticato a farlo assumere come impiegato nell’istituto di credito. Il rigore e la precisione con cui si dedicava al suo lavoro lo avevano aiutato a far carriera, e ora ricopriva il massimo grado cui potesse aspirare.

Era cresciuto circondato da un nugolo di sorelle, cinque per la precisione, tutte ciarliere e allegre, che avevano iniziato a pensare ad accasarsi non appena raggiunta l’adolescenza. Anche per loro il padre si era dato da fare e aveva trovato per ognuna uomini giudicati positivi, assolvendo con onore al compito che spetta a ogni buon genitore egiziano: garantire il futuro delle figlie femmine.

Nessuna di loro si era sposata per amore. I futuri mariti li avevano conosciuti il giorno in cui erano venuti in casa con una delegazione di parenti a chiederle in moglie. Ma rimanere zitelle oltre i vent’anni non era una cosa raccomandabile nel loro ambiente, e quindi non avevano remore nel chiamare con appellativi dolci uomini conosciuti non più di un’ora prima.

Adel invece avrebbe voluto sposarsi per amore. Non condivideva affatto le tradizioni della sua gente sugli aspetti della vita a due; aveva conosciuto diverse ragazze attraenti nel corso della sua giovinezza, ma l’impossibilità di frequentarle per capire veramente chi fossero, prima di fare il grande passo andando a chiedere la loro mano, lo aveva reso scapolo.

Giunto ai quarant’anni, quando ormai non ci pensava più contentandosi di fare l’affezionato zio dei nipotini che le sorelle mettevano al mondo con regolarità, aveva conosciuto Aisha e il tranquillo mondo dell’impiegato ne era stato sovvertito. La ragazza era giovane e silenziosa, timida quanto lui, sorrideva in maniera appena accennata senza abbassare gli occhi quando lui la guardava: per Adel quella non era sfrontatezza, era amore.

Preso da una smania per lui sconosciuta, aveva organizzato in poche settimane l’incontro con famiglia di lei, per ufficializzare la sua richiesta. E così, in compagnia dei suoi increduli parenti – e chi se lo aspettava più? – era giunto a casa della ragazza per chiedere la sua mano.

L’incontro non era andato per le lunghe: le famiglie avevano già preso l’una informazioni sull’altra, Adel aveva una posizione solida, Aisha aveva lasciato intendere che quell’uomo di poche parole le piaceva e quindi tutto il resto sarebbe stato solo proforma. Al termine il capocontabile poteva ritenersi soddisfatto: avevano concordato la data delle nozze a breve termine e fino ad allora sarebbero stati ufficialmente fidanzati. Da quel momento lui e la sua amata avrebbero potuto incontrarsi, sebbene sotto la supervisione di qualcuno.

L’unica nota stonata era la madre di Aisha, la matronale Johara.

Adel era abituato alla sua di madre, taciturna e devota al marito a cui aveva delegato ogni decisione sulla vita della famiglia, e non si aspettava di trovarsi al cospetto di una tigre. Durante il loro primo incontro aveva messo becco su tutto, dal luogo prescelto per la festa, alla shabka, la dote in oro e gioielli che deve ricevere la sposa, all’addobbo della sala, al numero degli invitati, agli intrattenimenti e finanche sul numero adeguato di suonatori per la zafa ben augurante. La tradizione voleva che la festa di nozze fosse a carico dello sposo, e la futura suocera non aveva certo lesinato sulle richieste. Adel era stato accondiscendente: mentre la suocera parlava, Aisha gli lanciava sguardi profondi che nascondevano la supplica di accettare le richieste per non mandare a monte ogni cosa, e l’uomo non era in grado di resistere agli occhi della sua fidanzata.

Adel aveva preso l’abitudine di andare a cena due o tre volte alla settimana a casa della sua promessa sposa, per aggiornarla sulla magnifica festa che stava preparando per suggellare il loro amore. Johara ascoltava i resoconti dettagliati del genero, approvando o specificando meglio cosa avesse in mente, se ciò che sentiva non era di suo gradimento. L’ultima richiesta di Johara era arrivata una di quelle sere, quasi a tradimento: ingaggiare per la festa il cantante Ali Razym, stella della tv via cavo, interprete di canzoni smielate, popolarissimo fra le signore della piccola borghesia. Adel rimase senza parole. Non aveva idea di quanto potesse costare l’esibizione, anche breve: i suoi risparmi e quelli messi a disposizione dalla sua famiglia erano quasi terminati. Negli occhi di Aisha lesse il suo stesso disappunto ma l’implorazione di sempre. Calcolò rapidamente che avrebbe potuto chiedere di fare straordinari per qualche mese in banca, oppure dopo il matrimonio poteva dare lezioni serali in qualche scuola di economia: in qualche modo avrebbe trovato una soluzione.

Ali Razym abitava in uno dei quartieri più eleganti della capitale, occupando gli ultimi due piani di un palazzo, divisi fra il suo studio di registrazione, gli uffici per lo staff e la sua abitazione privata. Disteso mollemente all’ombra, sul bordo della piscina sulla terrazza che dominava la città, l’artista era immerso nella lettura on line delle caratteristiche della 3032 Tomcat Beretta: le pistole tascabili semiautomatiche erano la sua passione segreta. Ali alzò gli occhi dal tablet e vide che il suo manager lo stava raggiungendo.

- È arrivata una richiesta per una festa di nozze, tra quattro settimane. Una cosa veloce: mezz’ora, quaranta minuti al massimo. Lo sposo sembra che tenga più alla tua faccia che alle tue canzoni. Mi sono accordato per seimila pounds: duemila per le spese e quattromila per te. Non credo sia il caso di mettersi a fare gli schizzinosi, è iniziata la parabola discendente e lo sai bene. Arraffiamo quello che c’è da arraffare, prima che finisca del tutto.

- E sia – rispose laconicamente il cantante: al cambio quattromila pounds erano cinquecento dollari, giusto il prezzo del gioiellino italiano comprese le spese di spedizione.

Adel era emozionato al punto da non sentire più neanche la stanchezza. Era in piedi da quasi ventiquattro ore. Aveva accompagnato Aisha dal parrucchiere al mattino presto, poi era andato alla moschea per il katb el kitab, la firma del contratto di matrimonio col padre della sua fidanzata, e ora il ricevimento che sarebbe durato fino alle prime luci dell’alba.

La festa era al culmine: la sala traboccava di invitati, l’aria all’interno della sala era intrisa di sandalo e loto, sui tavoli campeggiavano trionfi di frutta e ibiscus. Nulla era stato lasciato al caso. Aisha era un incanto, fasciata nel voluminoso abito bianco, gli occhi sapientemente bistrati di nero e turchese, le mani decorate con henné bene augurante. La processione degli invitati sembrava non finire più: gli uomini si congratulavano con sonore pacche sulle spalle che facevano tremolare la sigaretta ovale che lo sposo teneva in bilico all’angolo della bocca, le donne gli stringevano la sua mano fra le loro. Solo le parenti più anziane gli schioccavano baci sulle guance. Seduta su una poltrona bianca in fondo alla sala c’era lei, Joahra, circondata dalla sua personale corte di cognate e cugine di grado indefinito, e insieme a loro si apprestava a godersi l’esibizione clou della serata. Nello sguardo della suocera mollemente sprofondata fra i cuscini, Adel lesse un trionfo che era destinato a durare nel tempo.

Il manager guardò il rigonfio sotto la giacca bianca di Ali, che faceva sporgere troppo la rosa rossa che era appuntata nel taschino.

- Lasciala qui, la tengo io - disse rivolto al cantante con aria preoccupata.

- L’ha pagata lo sposo, sai? - rispose Ali carezzando la stoffa. - Considerala come un portafortuna per il mio spettacolo.

Lo sposo trovava insopportabile la voce dell’artista. Dal vivo non reggeva le note alte, e cercava di sviare l’attenzione sulle stecche lanciando sguardi e ammiccamenti alle donne che lo guardavano estasiate. Troppi pounds, pensò, per una stella chiaramente in declino.

Alla terza canzone, qualcuno fra gli invitati che la pensava come lo sposo, aveva iniziato a rumoreggiare. Ali cercò di ignorarli, di concentrarsi sugli sguardi adoranti che salivano dalla platea e per un po’ ci riuscì anche. Ma quando dal fondo della sala si levò un lungo fischio, seguito da altri più brevi e da qualche risata chiassosa, nelle sue mani comparve la Tomcat che sputò in rapida successione sei lampi di fuoco accompagnati da suoni secchi.

Adel rimase immobile per lo stupore e la paura. Cercò con gli occhi sua moglie, scovandola sana e in salvo fra gli invitati che scappavano in tutte le direzioni. Il suo sguardo prese a percorrere rapidamente la sala, alla ricerca della sua famiglia, finché non si bloccò all’improvviso sulla chiazza rossa che si stava allargando rapidamente sul corpetto rosa di Johara, proprio all’altezza del cuore.

Nonostante il senso di colpa che accompagnò il suo pensiero il capocontabile non poté fare a meno di congratularsi con se stesso: le migliaia di sterline egiziane spese per quel mentecatto dalla voce impossibile erano state, tutto sommato, l’investimento migliore che avesse potuto fare sulla riuscita futura del suo matrimonio.


luxmattei@libero.it