FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 39
luglio/settembre 2015

Svaghi & Feste

 

LA FIERA BELLEZZA DI
Amazzone in tempo reale

di Lucia Cupertino



Proprio nel momento in cui viene a mancare Jack Goody, grande antropologo sui temi dell’oralità e della scrittura, sulla mia scrivania riposa il volume di Amazzone in tempo reale (2013) dell’indigenista e scrittrice Loretta Emiri. Sarà per la peculiare natura del testo, i suoi protagonisti dai volti scolpiti da fiera bellezza ma scomodi alle logiche dominanti del nostro tempo, sarà forse anche la difficile collocazione nell’ambiente letterario ed editoriale italiano, certo si è che questo meraviglioso libro resta sul fondale della letteratura italiana contemporanea come una perla non ancora riportata a galla dal retino giusto.

Dotata della stessa fluidità delle acque fluviali amazzoniche, la prosa di Loretta Emiri è sciolta ed avvincente, non mancano rapide, ribaltamenti ed imprevisti come però anche momenti di sosta. Ciò che rende l’opera di particolare interesse per il panorama letterario italiano è l’essere una narrativa di testimonianza sull’alterità: Loretta ha vissuto per vent’anni nel cuore dell’Amazzonia al fianco degli yanomami e di altre popolazioni indigene delle regioni più dimenticate del Brasile, lì ha forgiato un’esperienza altra di vita improntata non solo all’incontro con le popolazioni indigene, ma soprattutto alla lenta e operosa costruzione di relazioni orizzontali con gli indigeni, allo sbriciolamento dell’impalcatura etnocentrica, all’immersione in altri valori e altre forme di vita, all’apertura della sua mente e al cambiamento della sua persona. L’Amazzone del titolo del libro, in definitiva, è lei stessa, adottata dagli yanomami, vissuta e rinata in un’altra cultura, allo specchio con quella d’origine.

Secondo Randall{1} chi raccoglie una testimonianza “deve essere come un bambù cavo così da permettere al suono del vento di passare liberamente senza la minima interferenza”. Un vuoto riempito nel momento in cui la scrittura, nel caso di Loretta Emiri, si fa punto di raccolta del vissuto indigeno e dell’io, si fa ponte tra il mondo orale e scritto, archivio della storia personale in una serie di scatti. Non a caso Amazzone in tempo reale si presenta come una raccolta di racconti brevi. Questo genere letterario ha visto momenti di boom nel XX secolo negli Stati Uniti con le short stories di Carver e in America latina con i cuentos di Borges; un destino tutto sommato sempre fluttuante quello riservato ai racconti che pur sono la matrice della narrazione, trascrizione scritta delle storie orali e base della nostra storia letteraria con il Decameron, per mantenerci solo alla tradizione italiana.
Anche sotto questo punto di vista, Loretta Emiri sceglie di collocarsi al crinale tra oralità e scrittura facendoci palpare l’esperienza non finzionale da cui attinge la sua scrittura, sceglie di inserirsi nel panorama italiano adoperando un genere meno frequentato nella penisola italiana ma che Oltreoceano gode ancora di certo prestigio.

In un’intervista, Christophe Donner, autore di Contre l’imagination, si sofferma sull’immaginazione nella letteratura. La creazione di personaggi finzionali è stata in molti casi necessaria per riparare lo scrittore dalle implacabili censure e ritorsioni personali dovute al carattere rivoluzionario, nuovo o militante dell’opera. Sottolinea tuttavia anche che “a forza di attribuirle il rispetto che lei ci richiede, la pretesa vena immaginativa ha fabbricato un impero. Non solamente sociale, con i premi letterari che le si riservano, il successo che le si assicura, ma anche soprattutto un impero intellettuale e morale tra i più dispotici.”

Questo ha determinato, a detta del francese, non solo l’annichilamento della poesia e la conseguente auge del romanzo, ma anche la devastazione dell’io; Donner comincia citando Deleuze “La letteratura comincia solo quando nasce in noi una terza persona che ci priva del potere di dire io”, poi aggiunge, “Stupidaggini. A che cosa serve mandare persone sulla luna? Che cosa ci si aspetta da loro? Perché si investono tutti quei soldi? Si aspetta il loro racconto. E che dicano io”.{2}

Questo io lo ritroviamo in Amazzone in tempo reale, filtrato dal tempo e dalla memoria, senza risultarne per questo opacizzato. Sempre vivace ed attendibile, il racconto dell’Amazzonia ci giunge al riparo da possibili spinte esotiche ed esotizzanti. Loretta Emiri non perpetua nessun vuoto cliché circa l’Amazzonia –nell’immaginario letterario europeo ancora in qualche misura impenetrabile, selvaggia e pura – bensì presenta e denuncia la crudele realtà, le violenze perpetuate per secoli contro gli indigeni e la biodiversità e che non cessano e purtroppo attualmente si fanno ancora più severe per l’azione di spietate imprese multinazionali, politica locale corrotta e incedere sfrenato del modello necrocapitalistico (morte tua, business mio).

Ciò emerge in un recente reportage di Leonencio Nossa e Dida Sampaio, Favela Amazônia,{3} attraverso il quale comprendiamo che le favelas degli stati amazzonici sono anche peggiori di quelle di San Paolo, pur non avendo la stessa attenzione nazionale ed internazionale. La situazione è disastrosa anche in altre aree del Brasile, come il Mato Grosso del Sud, dove più volte gli indigeni Guaranì-Kaiowà hanno minacciato di suicidarsi per difendere la propria terra, tenendo presente che Loretta Emiri ci dice che “Nella prospettiva kaiowá la morte voluta afferma valori.”,{4} è dunque qualcosa di diverso dalla concezione cristiana, è fiera negazione del presente per com’è. Una resistenza estrema fino alla scomparsa.


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In questo scenario ci sarà posto per la festa?
È proprio la grande capacità di resilienza dei popoli indigeni a far sì che si possa dire di sì. Nonostante tutto. Presentiamo qui, dunque, il racconto che apre Amazzone in tempo reale e che ci rimanda ad un gioioso momento di condivisione tra gli Xavante, la loro calorosa festa di commiato nella foresta del Mato Grosso che resiste assieme a loro.



{1}Margaret Randall. ¿Qué es, y cómo se hace un testimonio?, in Revista de Crítica Literaria Latinoamericana, n° 36 (1992: 23-47). Traduzione italiana dello stralcio a cura della redattrice.

{2}elpais.com/diario/1999/06/23/catalunya/930100042_850215.html. Traduzione della redattrice.

{3}infograficos.estadao.com.br/public/especiais/favela-amazonia. Al momento disponibile solo in portoghese.

{4}Amazzone in tempo reale, Andrea Livi Editore, Fermo, 2013:28.


 


FESTA DI COMMIATO TRA GLI XAVANTE
di Loretta Emiri

(da Amazzone in tempo reale, 2013)


Prorompente, è sgorgato fuori dall’archivio. I tratti ampi e sinuosi che lo percorrono mi fanno pensare ai fiumi ampi e sinuosi che percorrono la foresta amazzonica, ammirati dall’oblò di un aereo. Una ondeggiante calligrafia, poche note per arginare le emozioni vissute durante un viaggio in Mato Grosso. Un’esperienza così profonda che ha trasmesso vitalità al foglio che ho davanti e che mi costringe a farla riemerge quasi sette anni dopo.

Misi in valigia pochi vestiti e la molta energia prodotta dalla soddisfazione che sentivo per il lavoro che stavo svolgendo. Ci eravamo date appuntamento a Cuiabá, capitale dello Stato e importante snodo regionale, provenienti da vari e lontanissimi luoghi: sei donne che avrebbero impartito un corso di formazione e aggiornamento per maestri xavante. Con il pullman raggiungemmo la cittadina piantata ai margini della riserva indigena, dove c’era ad aspettarci la camionetta di un padre salesiano. Arrivammo a destinazione verso sera, ma c’era ancora luce sufficiente per intravedere quanto alti, forti, belli e alteri fossero gli uomini che stavano aspettandoci. Fu amore a prima vista: tutte e sei ci innamorammo, e non di uno, ma di tutti loro.

Le novità scandirono le ore di quei giorni tanto corti: ricerche linguistiche e cosmogoniche; lezioni di etnomatematica e portoghese; informazioni su diritti acquisisti e su come organizzarsi per far approvare nuove leggi; verifiche e programmazioni didattiche; dinamiche di gruppo, filmati e discussioni. Per sgranchire le idee si facevano quattro passi fra la miriade di solide costruzioni facenti parte la missione salesiana, e si raggiungeva l’attigua ampia piazza su cui, in circolo, si affacciavano le quaranta fresche case di paglia degli xavante. A volte si aveva tempo per andare fino ai campi dove, in disordine sparso, si scorgevano macchinari e strumenti abbandonati; le squallide sculture di ferro era quanto restava di faraonici piani governativi di sviluppo agricolo per paleolitiche popolazioni e suoli aridi.

Un maestro, mostrando il disegno realizzato dal gruppo di studio cui aveva fatto parte, ci aveva spiegato che l’elemento principale del disegno stesso era il circolo, che la disposizione in circolo del villaggio simbolizza l’unione del popolo xavante, che tutte le feste tradizionali iniziano nel centro della piazza, e che, se non ci fosse il circolo, non esisterebbe “finalità”. Per quella che sarebbe stata l’ultima notte del corso, gli anziani organizzarono una festa di commiato. Le insegnanti sfoggiarono vestiti resi da sera da eleganti collane indigene. Gli alunni indossarono calzoncini da calciatore e impeccabili bianche cravatte di corda di cotone, a cui gli occidentali debbono essersi ispirati quando crearono il farfallino. Danze e canti, compresi quelli eseguiti da rappresentanti dei popoli mỹky, tapirapé, bororo e rikbaktsa, iniziarono al centro per poi continuare su tutta la piazza. Tenendoci per mano formammo un circolo, sempre più ampio con l’aggiungersi di persone, e quando l’ultima ne entrò a far parte avvertimmo che era stata raggiunta la finalità di sentirci uniti. Al termine della festa, gli anziani ci suggerirono di non ripartire senza andare a vedere un punto determinato del fiume São Marcos, e misero a disposizione il camion della comunità per raggiungerlo. L’indomani, l’euforia per l’escursione svegliò tutti molto presto. Seduti sul cassone o sulle sponde dell’automezzo, con seni e pensieri al vento, pur cogliendo gli elementi scenografici disseminati lungo il percorso, ognuno di noi sembrava concentrato a scrutare dentro sé stesso. Sobbalzava, il camion, sull’accidentata pista di terra battuta; in direzione opposta poteva correre solo l’ovvio.

Improvvisamente scomparve la vegetazione che fiancheggiava la strada e il corso d’acqua inondò occhi e cuori. Sul palcoscenico naturale era adagiato il fiume ampio cosparso di rocce, pozze, rapide, cascate. Il verde lussureggiante delle montagne si profilava contro l’azzurro mozzafiato del cielo, i due elementi facendo da sfondo alla scena. Nell’aria il calore del sole, l’odore sensuale della natura, la luce dello spirito. Quella geografia intrisa di poesia materializzò il concetto portante del corso, l’etnoscienza. Quell’acqua, che per giorni accoglie gli adolescenti xavante per temprarli fisicamente e psicologicamente, trasformò le insegnanti-specialiste e gli alunni-maestri in uomini e donne. Quelle fresche cascate massaggiarono vigorosamente i corpi, fino a che gli animi si sentirono accarezzati.

Gli unici che non entrarono nella fonte battesimale furono il salesiano di mezza età e il pretonzolo impomatato. Continuarono a passeggiare lungo la sponda. La religione che li aveva vestiti impediva loro di farsi vedere in costume da bagno. Non resero omaggio alla natura. Non entrarono nel circuito per condividere lo stato di grazia degli animi. Commisero il peccato mortale di introdurre in quel paradiso terrestre concetti relativi a pudore, falso pudore, ipocrisia, peccato.

Fertilizzati dal limo delle acque del fiume São Marcos, facemmo ritorno alla missione per realizzare la valutazione finale del corso e dichiararlo concluso. Ondulate dall’emozione, le voci di quegli uomini alti, forti, belli e alteri sussurrarono: “non ho parole per dire ciò che sento”, “non voglio pensare che potrei morire, perché non parteciperei a un altro corso”, “smetto di parlare per non piangere”. Uniti dallo spago del gomitolo che era circolato fra di noi mentre realizzavamo le valutazioni personali, consapevoli di aver vissuto un’esperienza unica, avvertimmo che la finalità del corso era stata raggiunta.

La valigia quasi non mi si richiudeva più. Vi avevo riposto una voluminosa nostalgia. Ogni tanto spunta fuori, speciale, unica. Riesce a colmare ed abbellire vuoti interiori.


Loretta Emiri, Amazzone in tempo reale, Andrea Livi Editore, 2013, pagg. 136, euro 13.




Loretta Emiri
è nata in Umbria nel 1947. Nel 1977 si è stabilita in Roraima (Brasile) dove ha vissuto per anni con gli indios Yanomami. In seguito, organizzando corsi e incontri per maestri indigeni, ha avuto contatti con varie etnie e i loro leader.
Ha pubblicato il Dicionário Yãnomamè-Português, il libro etno-fotografico Yanomami para brasileiro ver, la raccolta poetica Mulher entre três culturas, i volumi di racconti Amazzonia portatile e Amazzone in tempo reale (Andrea Livi Editore, Fermo, 2013), quest’ultimo si è meritato il Premio Speciale della Giuria per la Saggistica, del Premio Franz Kafka Italia 2013, il romanzo breve Quando le amazzoni diventano nonne.
È anche autrice dell’inedito A passo di tartaruga, mentre del libro Se si riesce a sopravvivere a questa guerra non si muore più, anch’esso inedito, è la curatrice.


luciacupertino@email.it