FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 38
aprile/giugno 2015

Silenzio

 

RINTOCCHI DI SILENZIO
La poesia di Ricardo Venegas

di Lucia Cupertino



Quelli di Ricardo Venegas sono versi scolpiti, talvolta modellati dalla cadenza ritmica propria di una raccolta preghiera al nostro tempo e della rima quasi perfetta, talaltra volutamente poco lavorati, nudi, capaci di aprire uno squarcio nell’acufene del Mondo, smarrito nel rumorio costante che non permette all’essere umano di nominare chiaramente le cose e gli eventi nella loro ineluttabilità, sia essa tragica o no. Forse per meglio comprendere i versi del poeta messicano dobbiamo mutuare al plurale il titolo di una poesia dello stesso poeta e definirle rintocchi di silenzio. La sua parola è infatti un ondeggiare di sillabe sonore nella pianura di una realtà silenziosa o, per contrasto, tanto chiassosa da creare comunque un’omogeneità acustica di fondo su cui muoversi.

Questa riflessione corre lungo gran parte dell’opera poetica di Venegas e non a caso agli esordi si adagia sulla forma filosofico-poetica dell’haiku, quella propria di una poetica basata sull’esaltazione del momento, del presente e della traccia che può lasciare l’uomo che sa che Siamo nient’altro che vento / vibrando tra le persiane ed è capace di mettersi alle spalle le solitudini, il cumulo di promesse e certezze, cui pure appaiono di tanto in tanto un appiglio. Mai un approdo. La vetta più alta di questa riflessione la ritroviamo nel faccia a faccia intrapreso con le paure fino a giungere davanti al muro più grande della morte, presso il quale è portato ad ammirare lo spirito dell’uomo che vive nel presente per “aggiustare” il mondo, già libero di non temere di finire lì dove già non importa / né il tuo nome né il mio.

Nell’ultimo inedito che Venegas ci regala ci ritroviamo nella geografia di Sotto il vulcano di Malcolm Lowry, dove si compie la visita di Alfonso Reyes, poeta che rifugge il frastuono di Città del Messico per ripararsi nella bella e calma Cuernavaca e lì prendere a lavorare alla sua versione in spagnolo dell’Iliade di Omero. Anche questo lavoro meticoloso con la parola avviene nel bel mezzo di un trambusto infernale e di un mondo in sfacelo.
I versi di Venegas sono preziosi per la loro ruvida presenza, scolpiti – si diceva – ma mai troppo, e per quel messaggio che dischiudono circa l’umanità e, anche, la figura del poeta. Pungente in questo senso Avarizia e l’affondo ai poeti dal verso per l’eternità che perdono invece quell’appuntamento col presente che sta tanto a cuore al poeta messicano.




POESIE DI RICARDO VENEGAS


Da Signos celestes (1995)


CONVICCIÓN

Luna, lunita
Si bajas un momento
Vuelves encinta.


CONVINZIONE

Luna, lunuccia
Se scendi un momento
ritorni incinta.


CLÍMAX

El mar apareció
cuando la tierra
tuvo su primer orgasmo.


CLIMAX

Il mare apparve
quando la terra
ebbe il suo primo orgasmo.


EPITAFIO

Dejo una lápida
con un espejo
como epitafio.


EPITAFFIO

Lasciò una lapide
con uno specchio
come epitaffio.


CERTEZA

Creo en la voz
desamparada,
creo en la limosna,
creo en mi karma,
en mi epidemia,
creo en la noche
desbandada,
creo en lo feo,
en la luna
apalabrada,
creo en mis zapatos,
en el día viernes,
en los miércoles de ceniza,
creo en los sordos,
en la respuesta
que se me olvida.


CERTEZZA

Credo nella voce
senza schermo,
credo nell’elemosina,
credo nel mio karma,
nella mia epidemia,
credo nella notte
ritirata,
credo nella bruttezza,
nella luna
accordata,
credo nelle mie scarpe,
nel giorno venerdì,
nei mercoledì delle ceneri,
credo nei sordi,
nella risposta
che ho scordato.


AZUL MARINO

Mar abierto a su crecer,
en vano esconde la ola,
vierte la sal, agua sola,
labios casi atar de ser.

El mar por dentro anochece,
voz de la llama que adora,
Martín pescador explora
cuando una ola entristece.

El cielo mira un espejo,
abre las puertas del viento,
abre su lluvia en placer,

caracol viejito viejo
guardas un tesoro incierto,
labios casi atardecer.


AZZURRO MARINO

Mare aperto al suo crescere,
invano nasconde l’onda,
versa il sale, acqua vagabonda,
labbra quasi viluppo dell’essere.

Il mare internamente imbrunisce,
voce della fiamma che adora,
Martin pescatore esplora
quando un’onda intristisce.

Il cielo guarda uno specchio,
apre le porte del vento,
apre la sua pioggia in piacere,

nicchio vecchiotto vecchio
conservi un tesoro incerto,
labbra come un tramontare.


Da Caravana del espejo (2000)


TAÑIDO DE SILENCIO

¿Cuánto dura la vida?
He visto la caída de una gota
disipada en el suelo;
efímera,
más que la hormiga que merodea mis pasos.

Vengo también de un cielo espeso.

Como gota vigía que se esfuma
me detengo a esperar ese momento.


RINTOCCO DI SILENZIO

Quanto dura la vita?
Ho visto la caduta di una goccia
dissipata nel suolo;
effimera,
più che la formica aggirandosi tra i miei passi.

Vengo pure da un cielo carico.

Come una goccia sentinella che sfuma
mi arresto aspettando quel momento.


VISITAS

Las cortinas danzan en diáspora lunar,
desbandadas las nubes se sostienen.

Podrían ser los sueños que se avecinan en ventanas,
podrían ser los parientes que dejamos conversando solos,
y aún no advierten
que ni los escuchamos
y que ya no existen.
No somos más que viento
vibrando en las persianas.


VISITE

Le tende danzano in diaspora lunare,
nubi allo sbando si sorreggono.

Potrebbero essere i sogni che si avvicinano alle finestre,
potrebbero essere i parenti che lasciamo a conversare soli,
e ancora non hanno avvertito
che neppure li ascoltiamo
e che da tempo non esistono.
Siamo nient’altro che vento
vibrando tra le persiane.


Da La sed del polvo (2007)


AVARICIA

He visto a los poetas
guardar materias intangibles,
celosos de sus verbos
los entierran,
guardan hasta el final
el último fragmento
del poema.

En su lápida dice:
Copy right.


AVARIZIA

Ho visto poeti
serbare materiali intangibili,
gelosi dei loro verbi
li interravano,
serbavano fino alla fine
l’ultimo frammento
della poesia.

La loro lapide dice:
Copy right.


LA SED DEL POLVO

I

Atrás lo que podría recordar
en una aparición de escenas
donde las soledades se reunieron,
atrás es vida eterna para mis muertos,
los más amados en el viento
y en la congregación de los venenos.
A esta cita del presente he asistido
con la puntualidad de un marcapasos
y no hay mirada vasta que precise
por qué sigo creyendo que somos
los que estamos vivos.


LA SETE DELLA POLVERE

I

Alle spalle ciò che potrei ricordare
in una apparizione di scene
in cui le solitudini si riuniscono,
alle spalle c’è la vita eterna per i miei morti,
quanto di più amato nel vento
e nella congregazione dei veleni.
A quest’appuntamento con il presente sono giunto,
con la puntualità di un pacemaker
e non vi è sguardo vasto di cui necessiti
perché continuo a credere che siamo
quelli che restiamo in vita.


II

Queda el ondear
de sílabas perdidas en la lluvia,
el cuerpo viejo que se despide
como fruto caído
del árbol más vital.
Contemplo al que se va
con esa necedad de quien arregla el mundo
antes de no volver,
antes de irse
a donde ya no importa
de qué tiempo venimos,
a donde ya no importa
ni tu nombre ni el mío.


II

Resta l’ondeggiare
di sillabe perse nella pioggia,
il corpo invecchiato che si congeda
come frutto caduto
dal più vitale tra gli alberi.
Contemplo chi va via
con quella necessità di chi aggiusta il mondo
prima di non tornare,
prima di andarsene
lì dove già non importa
da quale tempo veniamo,
lì dove già non importa
né il tuo nome né il mio.


III

Nos quedamos varados bajo el árbol
y sentimos un aire de distancia,
descanso acompañado sin saberlo
y es la primera vez que veo al viento.


III

Restiamo varati sotto l’albero
e sentiamo un’aria di distanza,
riposo accompagnato senza saperlo
ed è la prima volta che vedo il vento.


Da Turba de sonidos (2009)


XIV

Regresa de los vientos del otoño.
El niño en la ventana de hospital
recuerda el día en que lo aislaron,
desde el octavo piso
les mostró a sus hermanos
el cartel de un ratón.
Último día en casa,
su espalda dormitaba
en agua tibia.
La madre llegó tarde
con su frasco,
el alivio bendito
del templo de las llagas.
Usamos el rosario para dejarlo ir.
La casa oscureció.
Pasaban el fariseo y el morboso
a contemplar al muerto,
a tomar café,
a bendecir lo que no habían perdido.
Aquella tarde
dejé una bolsa de dulces
en el brazo de mi hermano.
El viaje hacia la luz
podría ser la ensoñación de un caramelo.


XIV

Ritorna dai venti autunnali.
Il bambino alla finestra da ospedale
ricorda il giorno in cui lo isolarono,
dall’ottavo piano
mostrò ai suoi fratelli
il poster di un topo.
Ultimo giorno in casa,
le sua spalla sonnecchiava
in acqua tiepida.
La madre arrivò tardi
col suo vasetto,
il beato sollievo
del tempio delle piaghe.
Usammo il rosario per lasciarlo andar via.
La casa si oscurò.
Passavano il fariseo e il morboso
a contemplare il morto,
a prendere il caffè,
a benedire ciò che non avevano perso.
Quella sera
lasciai una sporta di dolci
tra le braccia di mio fratello.
Il viaggio verso la luce
potrebbe essere la fantasia di un caramello.


BITÁCORA PARA CUAUHNÁHUAC (inédito)

Se oyen los cuacos de la otra tierra
cruzando el empedrado de las calles,
cruzando la Plazuela
como una procesión de trashumantes heridos de la noche.

Sigue hospedado Alfonso Reyes en una habitación del Bella Vista
y escribe Homero en Cuernavaca mientras deambula
en su premonición del griego antiguo,
lanza los versos del viajero y la Visión de Anáhuac,
escarba Lowry en el volcán y en sus andanzas,
en esta cruz nos embriagamos hasta perder el juicio
a la salud de los ancestros,
brinda en El Farolito,
pasa una turba de lenguajes en medio de su sombra
y en un dibujo de Montenegro deambula la Llorona,
“todo será posible menos llamarse Carlos”,
escribe Pellicer en La Parroquia.

En el Casino de la Selva
los murmullos de bardos y bohemios,
la ópera perpetua,
murales de la raza cósmica,
giros de la ruleta en el pincel,
bajan las musas del bronce espiritual.
Es el Cantar de los Cantares en alcobas,
huellas tatuadas como flores,
Ricardo Garibay conversa con los muertos
en medio del oleaje de una voz
donde la Sulamita corta el tiempo.

En su bitácora terrestre
Humboldt escucha la primavera eterna,
-eterna balacera, gritan las ánimas de los esteros,
pasan los trenes de la Estación –que ya es desierto de las almas-
con una carga de nostalgia por un reloj que ya no marca
las horas de las horas,
entran los pasajeros en diligencias sin rumbo,
suben airados por el polvo de alguna sed que avanza.


CHIESUOLA (*) PER CUAUHNÁHUAC (inedito)

Si odono i cavalli dell’altra terra
attraversare l’acciottolato delle strade,
attraversare la Plazuela
come una processione di transumanti feriti della notte.

Continua a soggiornare Alfonso Reyes in una stanza del Bella Vista
e scrive Omero a Cuernavaca mentre deambula
nella sua premonizione dal greco antico,
lancia i versi del viaggiatore e la Visione di Anáhuac,
scava Lowry nel vulcano e nelle sue traversie
in questa croce ci inebriamo fino a perdere il giudizio
la salute degli antenati,
brinda en El Farolito,
passa una turba di lingue a metà della sua ombra
e in un disegno di Montenegro deambula la Llorona,
“tutto sarà possibile meno chiamarsi Carlos”,
scrive Pellicer in La Parrocchia.

Nel Casinò de la Selva
il borbottìo di bardi e bohémien,
l’opera perpetua,
murales della razza cosmica,
giro di roulette nel pennello,
discendono le muse dal bronzo spirituale.
Nel Cantico dei Cantici in alcove,
impronte tatuate come fiori,
Ricardo Garibay conversa con i morti
nel mezzo dell’ondata di una voce
in cui la Sulamita taglia il tempo.

Nella sua chiesuola terrestre
Humboldt ascolta la primavera eterna,
- eterna sparatoria, gridano le anime dalle guazze,
passano i treni della Stazione – che già è deserto delle anime –
con una carica di nostalgia per un orologio che già non dà
l’ora delle ore,
entrano i passeggeri in diligenze senza direzione,
salgono irati a causa della polvere di un po’ di sete che incalza.

(*) Nel linguaggio marinaresco indica la custodia e colonna che ha la
funzione di proteggere e sostenere la bussola magnetica navale.





Ricardo Venegas (San Luis Potosí, Messico, 1973)
poeta messicano. Suoi testi sono apparsi nelle riviste Siempre!, Tierra Adentro, Ulrika, Casa Silva e Arquitrave (Colombia), Agulha (Brasile), Siete culebras (Perú), Contratiempo (Stati Uniti), La Pájara pinta (Spagna) e in Messico in Blanco Móvil, Periódico de poesía, Cantera Verde, Los Universitarios (Unam), Alforja, La Otra, Casa del tiempo (Uam), nei giornali Crónica, El Financiero, Excélsior (all’interno dei supplementi El Búho e Arena) e ne La Jornada Semanal (supplemento del quotidiano nazionale La Jornada), su cui cura la rubrica Bitácora bifronte.
Ha pubblicato i seguenti libri di poesia: El silencio está solo (1994); Destierros de la voz (1995); Signos celestes (1995); Caravana del espejo (2000); Turba de sonidos (2009, Premio Efraín Huerta 2008); La sed del polvo (2007) e La sed del polvo. Antología personal (1995-2013). È autore anche di una interessante antologia sui poeti dello stato di Morelos, Estaciones bajo el volcán (2013) con prologo di Sergio Mondragón.
È stato borsista presso il Centro Mexicano de Escritores avendo come guida Carlos Montemayor e Alí Chumacero (2003-2004), si è aggiudicato anche la borsa del Fondo Nacional para la Cultura y las Artes (2005-2006). È direttore della rivista Mala Vida, Mester de Junglaría e dirige la casa editrice Ediciones Eternos Malabares.


luciacupertino@email.it