FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 38
aprile/giugno 2015

Silenzio

 

PAROLE DI CARNE
La poesia di Pascal Truchet

di Viviane Ciampi



«La chiave del senso sta tutta nella poesia. Non mi interessano le etichette ma di certo rifiuto l’idea di una poesia poetante e sconnessa dalla realtà. Sto dalla parte di Paul Valéry che ebbe a scrivere : “ La gente ha una concezione così nebulosa della poesia che alla fine confonde questa nebulosità con la poesia stessa”».
Pascal Truchet è un giovane poeta francese scrittore di due soli libri ma che si mette in luce per la capacità di combinare la sua sete inestinguibile di viaggio, d’avventura, di conoscenza dell’altro con la denuncia del conformismo, intonando quella voce corale che gli conferisce un tono satirico di polemica contro il proprio tempo. Il tema portante del suo lavoro è la lucida consapevolezza della precarietà di ogni soluzione.

Egli alterna la poesia in prosa – spesso frammentaria – alla poesia in rime e l’andamento risulta spesso narrativo, mosso dall’interno da una forte carica evocativa che dona al verso una tonalità di alta suggestione per un alcunché di solenne, che da esso promana e lo ravviva.
Les Chants hérétiques (I Canti eretici), sono i canti messi tra parentesi, che non intendono sottoporsi al dogma, quand’anche dovessero correre il rischio del grottesco, dell’ eccesso.

Pascal Truchet appare profondamente immerso nella realtà del proprio tempo, del quale percepisce tutte le contraddizioni e l’infinita gamma di commedie e tragedie, pur dimostrandosi capace di guardare in se stesso per dirci i suoi riposti dissidi senza mai insistere sul “ je “. La sua è poesia politica, per non dire militante ed è anche il grido di un uomo smarrito nella vastità del mondo. La visione contestata dal poeta è quella di essere (il mondo) fondato sul capitalismo, sui soldi che non fanno senso

      I tuoi poveri canti capitalisti,
      Dalla modernità superata,
      Non producono che danze tristi,
      Amare e disilluse.
e se la prende con quegli uomini – sono tanti – che hanno scacciato la poesia dalla loro vita.
      I pioppi piegati si piegheranno
      E le panchine, disperatamente
      Tralasciate, sguardi moribondi,
      Non proteggeranno più gli amanti.
Confuta il fatto che gli abitanti dei paesi ricchi – Francia compresa – siano totalmente manipolati dai media e dai politici. Come già avrà capito il lettore, egli non si limita a cogliere e registrare gli umori e i colori dell’epoca, a essere il testimone che guarda dalla finestra “aspettando il miracolo” mentre il mondo invecchia e trema nell’attesa del rigor mortis (per dirla col nichilismo di Eugenio Montale) ma esorta i suoi simili ad uscire dal guscio e dalla sinfonia perversa del silenzio.
      Sì, te che amo e che sei il mio doppio,
      Sei complice, ed io
      Ti condanno ad uscire da te stesso,
      A liberarti la mente che hanno tentato di rubarti,
      A mettere la tua vita in pensieri
      E ad urlare.
Tuttavia, Pascal Truchet è poeta in bilico, afferma in una intervista: «[…] sono persuaso dell’inutilità dell’Arte nel mondo attuale e nel contempo della necessità dell’Arte. Quando Houellebecq ha presentato il suo libro polemico sull’Islam, ha detto che nessun libro ha mai cambiato il corso del mondo. Gli do ragione. Percepisco l’Arte come un esercizio fisicamente e intellettualmente sfiancante, che fa sudare, mentre gli effetti di questi sforzi non sono all’altezza degli sforzi medesimi. Detto questo, da un punto di vista intellettuale, scrivere è agire».
Viene in mente una poesia di Carlos Williams: «è difficile / sapere qualcosa dei versi / eppure ogni giorno ci sono uomini che muoiono / per mancanza di poesia».




POESIE DI PASCAL TRUCHET


*

Voyager, en compagnie du poète, éprouver du corps ce qui résiste. Faire se volatiliser l’illusion, naître l’utopie. L’Espagne aux citadelles délaissées. Neruda qui s’adresse au peuple chilien. La pierre a explosé. « Que la flamme lui rende, par cette fragmentation, la multiplicité des visages, la profondeur des entailles, qu’elle la place tout entière dans le souffle du vent fendu. » Ce vent du nord qui cisèle la lumière et donne la vigueur. Injecter la couleur sang du coquelicot dans l’écriture, au plus proche des rivages.

Approcher « la loi secrète qui provoque la danse des images ». Prendre en Roumanie les trains de la mendicité, rire avec les enfants. Et le chant continue, prend toutes les formes, toutes les voix.


*

Viaggiare in compagnia del poeta, sperimentare del corpo ciò che resiste. Fare sì che l’illusione volatilizzi, che nasca l’utopia. La Spagna dalle cittadelle tralasciate. Neruda che si rivolge al popolo cileno. La pietra è esplosa. «Che la fiamma le restituisca, con questa frammentazione, la molteplicità dei volti, la profondità delle incrinature, che la deponga tutta quanta nel respiro fesso del vento.» Questo vento del nord che cesella la luce e dona il vigore. Iniettare il color sangue del papavero nella scrittura, alla più vicina delle rive.

Accostarsi a «la legge segreta che provoca la danza delle immagini». Prendere in Romania i treni della mendicità, ridere con i bambini. E il canto insiste, assume tutte le forme, tutte le voci.


*

Des feuilles que le vent vient réveiller. Il les prend à pleines mains, les met dans son chapeau, piétine celles qui restent à terre, attend la prochaine saison, les quitte.

Partons. Toi, le poète et moi.

Seulement.


*

Foglie che il vento risveglia. Le afferra a piene mani, le mette nel suo cappello, calpesta quelle che rimangono a terra, aspetta la stagione ventura, le abbandona.

Partiamo. Tu, il poeta ed io.

Soltanto.


*

[…]   Entrer dans le bal incessant des mots et des idées.

Il neige aujourd’hui. La neige monte, monte, monte.

Un bout de relief intact, nu.

La vague couchée à ses pieds.

Relief de l’homme,

Rigueur.

Cet écrit, comme une bande sonore, la rareté d’une voix, un timbre.


*

[…]   Entrare nel ballo incessante delle parole e delle idee.

Oggi nevica. La neve sale, sale, sale.

Un lembo di rilievo inalterato, nudo.

L’onda sdraiata ai piedi.

Rilievo dell’uomo,

Rigore.

Quello scritto, come una colonna sonora, la rarità d’una voce, d’un timbro.


*

Lyon, chaque jour, meurt un peu plus. Le soleil éclipse les étoiles.

La main par la fenêtre du train, en partant. Tout ce que tu laisses derrière toi et qui est si peu. Tu ne le savais pas encore.

Partir, à la recherche du minéral, pour construire notre maison de pierres.

« Où a-t-on mis les morts de New York ?

Où sont donc passés les cimetières de New York ?

Manhattan aussi chasse les étoiles. »

Tu deviens la caisse de résonance du monde.

L’Hudson, l’East River, la rivière de Harlem charrient tant de corps refroidis. Fleuves cendreux.

Nos vies démultipliées.

Voyage ou simple déplacement, le bras levé, la seule rotation d’une hanche, un geste vague, mal interprété ? Non. Plutôt une halte. Un corps à corps. Les mains dans la terre. Figés dans la réalité des pays inconnus. Injecter une nouvelle dose de sang de coquelicot dans l’écriture. Tous ces mots, toutes ces lignes, toute cette mort, ah oui, vraiment.

Il est quelques pas derrière nous et pose sa main sur ton épaule. Il te dit : « il y a des gens qui violent les mots, qui les mettent dans leur poche, et qui les oublient. Un jour, ils les retrouveront, mais les phrases ne seront plus les mêmes. »

Je l’accompagne un moment, j’essaie de calquer ma cadence trop rapide sur la sienne, et il ne le saura jamais.

Il fait lire un texte. Son texte. Parfois, il le lit. Pour laisser jaillir la clarté là où il manque la lumière, pour supplanter des bribes de la mémoire volatile et prouver que sa voix grave et métallique peut, elle aussi, chanter à sa façon.

Derrière la certitude se tient, en arrêt, prêt à bondir, le doute généralisé. A côté du « je » le « tu », au revers d’un texte, un autre texte.


*

Lione ogni giorno, muore un po’ di più. Il sole eclissa le stelle.

La mano dalla finestra del treno, partendo. Tutto ciò che lasci dietro di te e che è così poco. Ancora non lo sapevi.

Partire alla ricerca del minerale, per costruire la nostra casa in pietra.

«Dove hanno messo i morti di New York?

Dove sono finiti i cimiteri di New York?

Anche Manhattan scaccia le stelle.»

Diventi la cassa di risonanza del mondo.

L’Hudson, l’East River, il fiume di Harlem scaricano tanti corpi raffreddati. Fiumi di cenere.

Le nostre vite demoltiplicate.

Viaggio o semplice spostamento, il braccio alzato, la sola rotazione di un’anca, un gesto vago, male interpretato? No. Diciamo una sosta. Un corpo a corpo. Le mani nella terra. Irrigiditi nella realtà dei paesi sconosciuti. Iniettare una nuova dose di sangue di papavero nella scrittura. Tutte queste parole, tutte queste righe, tutta questa morte, ah sì, davvero.

Rimane indietro a qualche passo da noi e posa la mano sulla tua spalla. Ti dice: «ci sono persone che violano le parole, che le infilano in tasca e che le dimenticano. Un giorno le ritroveranno, ma le frasi non saranno più le stesse.»

Ti accompagno per un istante, cerco di calcare la mia troppo rapida cadenza sulla sua, e lui mai lo saprà.

Fa leggere un testo. Il suo testo. Talvolta, lo legge lui. Per far scaturire la chiarezza laddove manca la luce, per soppiantare briciole della memoria volatile e provare che la sua voce grave e metallica può, anch’essa cantare a suo modo.

Dietro la certezza vi è, fermo, pronto ad avventarsi, il dubbio generalizzato. Accanto all’«io» il «tu», sul risvolto di un testo, un altro testo.

da De Terres et d’Ecumes, Thebookedition


Cueca

Hommage à Diomenia Carvajal

« Alors en cet instant s'achevèrent les livres,
l'amitié, les trésors accumulés sans trêve,
la maison transparente édifiée par nous deux :
tout cessa d'exister, tout excepté tes yeux.»
(Pablo Neruda)


Cueca

Omaggio a Diomenia Carvajal

«Allora in quell’ istante finirono i libri,
l’amicizia, i tesori accumulati senza tregua,
la casa trasparente creata da noi due:
tutto questo cessò di esistere, tutto tranne i tuoi occhi.»
(Pablo Neruda)


*

Ainsi parlait Diomenia… « En Europe comme en Amérique latine vivent des écrivains qui nous livrent leurs sensations, leur émotions, immergés dans cette société globalisée où nous essayons de survivre, où gagner de l’argent vite par tout moyen est devenu le credo de ceux qui se disent modernes. Un monde où l’on joue au poker avec la vie, le travail des plus humbles ployant sous l’injustice. N’en doutons pas, il existe toujours en ce monde un artiste, un écrivain, un poète qui observe, affine sa plume, écrit, interpellant le monde dans lequel nous vivons. »


*

Così parlava Diomenia… «In Europa come in America latina vivono scrittori che ci offrono le loro sensazioni, le loro emozioni, immersi in questa società globalizzata in cui tentiamo di sopravvivere, dove guadagnare soldi in gran velocità attraverso ogni mezzo ed è divenuto il credo di coloro che si dicono moderni. Un mondo dove si gioca a poker con la vita, mentre il lavoro dei più umili piega sotto l’ingiustizia. Non dubitiamone, esiste sempre in questo mondo un artista, uno scrittore, un poeta che osserva, affina la sua penna, scrive, interrogando il mondo nel quale viviamo.»


*

Tu as traduit mes poèmes en espagnol et tu les as envoyés aux quatre coins du monde. De ton exil en France te parviennent les textes d’autres qui te ressemblent. Ta revue poursuit le dialogue engagé dans la conscience d’un rassemblement nourri des différences qui sont des histoires millénaires. Je n’écris pas ce texte parce que tu m’as rendu la voix, cela ne regarde que moi. Je veux dire au monde ton parcours insouciant et meurtri, libérateur et captif, évident et masqué, au moment où tant d’esprits malveillants cherchent à nous faire reculer, où les banques gouvernent, où des massacres se perpétuent quand chantent faux sur nos écrans des jeunes épris de célébrité et de gloriole.


*

Hai tradotto le mie poesie in spagnolo e le hai spedite ai quattro angoli del mondo. Dal tuo esilio in Francia ti arrivano i testi di altri che ti somigliano. La tua rivista prosegue il dialogo avviato nella coscienza d’un assembramento nutrito dalle differenze che sono storie millenarie. Non scrivo questo testo perché mi hai ridonato la voce, questo non riguarda che me. Voglio dire al mondo il tuo percorso spensierato e straziato, liberatore e prigioniero, evidente e celato, nel momento in cui tanti spiriti malevoli tentano di farci indietreggiare, in cui le banche governano, dove i massacri si susseguono quando cantano stonando sui nostri schermi giovani avidi di celebrità e di gloria.


*

Dans la conviction inébranlable que la littérature relève de l’art, qu’elle n’échoue pas là où les hommes butent, qu’elle a la puissance du cargo qui fend la glace, qu’elle réduit au silence les voix de stentor, qu’elle incarne les vérités âpres et douloureuses tout en maintenant les inflexions du cœur, qu’elle accomplit le prodige de traîner derrière elle les corps refroidis des siècles passés tout en dessinant un futur possible en décuplant les tambours du présent.
Puisse mon chant se mêler au tien et approcher, dans la conscience de l’échec assuré, une part essentielle de la grandeur de l’Homme !


*

Nel convincimento ineluttabile che la letteratura rientri nel campo dell’arte, che non fallisca laddove gli uomini inciampano, che abbia la potenza della nave rompighiaccio, che riduca al silenzio le voci stentoree, che incarni verità aspre e dolorose mantenendo le inflessioni del cuore, che compia il prodigio di trascinare dietro di sé i corpi raggelati dei secoli scorsi pur disegnando un futuro possibile e decuplicando i tamburi del presente.
Possa il mio canto mischiarsi al tuo e avvicinare, nella coscienza del fallimento assicurato, una parte essenziale della grandezza dell’uomo!


*

Petite chilienne, née à Valparaiso, tu dansais la cueca déclarée danse officielle de ton pays le 18 septembre 1979, tu sentais les vibrations de ton corps minuscule et maîtrisé, tu avais la précision de l’argentin et la fougue de l’espagnol, mais ton sang était chilien. L’est-il toujours, quarante années plus tard sur un sol qu’on nomme abusivement français mais dont nous savons bien qu’il n’appartient pas, qu’il est parcelle de terre et bien commun ? Tu étais la grande séductrice des garçons aux yeux idiots. Ils voulaient de toi, ils imaginaient les scènes les plus torrides, celles vues dans les films interdits, ils te lançaient leurs visages les plus avides mais ta concentration, sans faille, les renvoyait à leur propre solitude et te rendait davantage désirable.


*

Piccola cilena, nata a Valparaiso, ballavi la cueca dichiarata danza ufficiale del tuo paese il 18 settembre 1979, sentivi le vibrazioni del tuo corpo minuscolo e controllato, avevi la precisione dell’argentino e la foga dello spagnolo, ma il tuo sangue era cileno. Lo è sempre, quarant’ anni dopo su un suolo che chiamiamo abusivamente francese ma di cui sappiamo bene che non ha appartenenza, che è parcella di terra e bene comune? Tu eri la grande seduttrice dei maschi dagli occhi ebeti. Volevano te, immaginavano le scene più torride, quelle viste nei film proibiti, ti proiettavano i loro volti più avidi ma la tua concentrazione senza tentennamenti, li rimandava alla loro stessa solitudine e ti rendevano ancor più desiderabile.

Cueca, Ed. Jeunes voix


*

Tant que les ombres du pouvoir,
Dragons chaotiques et rampants,
Ces Eternels souffleurs des soirs,
Vomiront les désirs sanglants,

Les peupliers pliés ploieront
Et les bancs, désespérément
Délaissés, regards moribonds,
N’abriteront plus les amants.

Tes pauvres chants capitalistes,
A la modernité passée,
Ne produisent que danses tristes,
Amères et désillusionnées.

Qui espères-tu dompter ?
Les cris, les taux, les chiffres ?
Les courbes, les cours, ta folie ?
Que dissimulent tes sous-fifres ?

Est-ce le silence perdu,
L’oubli des idéaux perdus,
Le corps fraternel et perdu,
L’énergie vitale perdue ?

O hideux renoncement !
O Affreuse résignation
Aux étoiles du firmament
Qu’a supplantée l’ambition !

La course de fond infernale
Que tu imposes au genre humain,
Jouissance haineuse animale,
A jeté ton enfance aux chiens.

Tu lèches sur tes mains le sang
Des maraîchers, des producteurs,
Des consommateurs décadents,
Esclaves ligotés de peurs.

Du haut des buildings acérés,
Juché sur les tas de mourants,
Mégalopole lacérée,
Tu spolies les agonisants.

Tant que les ombres de tes cris
Embrumeront les horizons,
La nuit glacée des endormis
Résonnera d’un puits sans fond.


*

Finché le ombre del potere,
Draghi caotici e striscianti,
Questi Eterni ansimanti delle sere,
Vomiteranno i loro desideri sanguinanti,

I pioppi piegati si piegheranno
E le panchine, disperatamente
Tralasciate, sguardi moribondi,
Non proteggeranno più gli amanti.

I tuoi poveri canti capitalisti,
Dalla modernità superata,
Non producono che danze tristi,
Amare e disilluse.

Chi speri di domare?
Le grida, i tassi, i numeri?
Gli inchini, i corsi, la tua follia?
Che cosa dissimulano i portaborse?

Che cos’è questo silenzio svanito
La dimenticanza degli ideali svaniti,
Il corpo fraterno e svanito
L’energia vitale svanita?

Oh l’orrenda rinuncia!
Oh tremenda rassegnazione
Alle stelle del firmamento
Soppiantate dall’ambizione!

La corsa di fondo infernale
Che imponi al genere umano,
Godimento rabbioso animale,
Ha gettato ai cani la tua infanzia.

Lecchi sulle tue mani il sangue
Degli ortolani, dei produttori,
Dei consumatori decadenti,
Schiavi incatenati dalle paure.

Dall’alto dei grattacieli acuminati,
Ammassata su mucchi di moribondi,
Megalopoli lacerata,
Tu spogli gli agonizzanti.

Finché le ombre delle tue grida
Annebbieranno gli orizzonti,
La fredda notte dei dormienti
Avrà il suono d’un pozzo senza fondo.


*

Les sombres pelages des charognards déments,
Corbeaux du désert, solitaires, fiers et forts,
Tournoient inlassablement autour des milans,
Accomplissent leur rite et fondent sur l’aurore.

Nark-nark-nark, gueulent ces solitaires malades
Tandis que de leurs vastes ailes déployées,
Le regard aiguisé sur de micro-peuplades,
Ils couvrent les vivants insectes condamnés.

Kah-kah-kah, supplient-ils, du haut de leur perchoir.
Du nid terreux, fortifié, inaccessible,
Des Dieux colériques céleste crachoir,
Monte funestement la plainte irrépressible.

Inquiet, ils comptent les rares subsistances
Des terres appauvries par l’insatiable envie
De toujours posséder toujours plus de pitance,
Impétueux élans, élans inassouvis.

Lentement déplumés, ils n’ont plus la noirceur
Terrifiante des ombres froides de la mort.
Ridicules aves, squelettiques farceurs,
Pantins dégingandés, ils pleurent sur leur sort.


*

Gli scuri pelami di sciacalli invasati,
Corvi del deserto, solitari, alteri e forti,
Roteano senza sosta attorno ai nibbi,
Compiono il loro rito e piombano sull’aurora.

Nark-Nark-Nark, urlano questi solinghi malandati
Mentre le loro vaste ali dispiegate,
Lo sguardo acuminato su micro popolazioni,
Coprono i vivi insetti condannati.

Kah-Kah-Kah, supplicano, dall’alto del trespolo.
Dal nido terroso, fortificato, inaccessibile,
Dagli Dei collerici celeste sputacchiera,
Sale, funesto l’irreprimibile lamento.

Inquieti, contano rari sostentamenti
Delle terre impoverite dall’insaziabile voglia
Di possedere rancio a volontà,
Impetuosi slanci, slanci inappagati.

Lentamente spiumati, non hanno più la nefandezza
Terrificante dell’ombre fredde della morte.
Ridicoli uccelli, scheletrici buffoni,
Fantocci disarticolati, piangono sulla loro sorte.


*

Le travailleur qui ne sait plus ni lire, ni écrire,
A renoncé.
Des siècles qu’il n’a plus livré bataille,
Qu’il ne sort plus de la carapace corporelle,
Prisonnier complice,
Claustrophobe de lui-même.
« Divertis-toi, divertis-toi »
Scandent les promoteurs de la honte
Quand tout en lui a besoin de lenteur,
De retenue et de tenue.
« Regarde-toi, regarde-toi »
Exigent les vendeurs de tissus
Quand tout en lui devrait se désaxer.

Arrachement,
Déracinement,
Extraction,
Projection,
Saillie,
Sortie,
Détour,
Oblique.

Va voir ailleurs si tu y es
Et reviens
Dans la joie de ton absence,
Là-bas,
Dans la certitude
Que tu peux respirer
A nouveau,
Qu’il n’est pas trop tard,
Qu’il n’est pas de modèle auquel se conformer,
Que tu ne rattraperas jamais ce après quoi tu cours,
Qu’il n’y a pas d’utopie possible,
Que seul le réel rude et entier peut être appréhendé,
Que rien ne vaut la force d’une image
Nette,
La chaleur d’un repas,
Le rire d’une chanson,
Le délire d’un imprévu,
La stupéfaction d’une rencontre
Et tu n’es plus seul.
Nous sommes des milliers comme toi
A ne pas savoir
Où vont les heures,
Pourquoi toujours l’herbe sauvage revient,
Ce qui plaît aux hommes à se reproduire,
Comment les nénuphars grandissent,
D’où viennent les astres,
Ce que nous gagnons à vouloir gagner,
Quand nous serons capables d’inventer,
Si les capturés attachés aux tronçons des forêts dorment encore,
Si les saigneurs de coquelicots dorment encore,
Jusqu’où les peintres lanceront leurs regards perçants,
Combien de kilomètres de papiers indéchiffrables et de plastiques décolorés nous produirons,
Quelle est la mesure humaine des choses et des étoiles,
De quel bois les enfants des ghettos se chauffent,
Qui inventera le dictionnaire universel,
Tout ce que l’infini recèle de mystères qui ne sont pas toi.

Oui, toi que j’aime et qui es mon double,
Tu es complice, et je
Te condamne à sortir de toi-même,
A libérer l’esprit qu’on a tenté de te voler,
A mettre ta vie en pensées
Et à crier.

Toi que j’aime et qui acceptes le sacrifice impossible,
Je t’accuse et te condamne
A lire, contempler et donner.
Que résonne dans les silences peuplés
La mélopée de tes larmes
Et le lexique que tu ne juges pas assez digne d’être entendu.

Toi que j’aime et qui a le regard fuyant,
Je t’accuse et te condamne
A te planter dans le siècle naissant
Pour que tu décides enfin
Des visages des lois.

Toi que j’aime sans t’avoir jamais rencontré,
Je t’accuse et te condamne
A retrouver les respirations de ton langage
Pour qu’enfin tu puisses exercer une colère millénaire
Et juste.


*

Il lavoratore che non sa più né leggere, né scrivere,
Ha rinunciato.
Da secoli non ha più dato battaglia,
Non esce dal suo guscio corporeo,
Prigioniero complice,
Claustrofobo di se stesso.
«Divertiti, divertiti»
Scandiscono i promotori della vergogna
Quando tutto in lui ha bisogno di lentezza,
Di ritegno e di tenuta.
«Guardati, guardati»
Esigono i venditori di stoffe
Quando tutto in lui dovrebbe sfasarsi.

Strappo,
Sradicamento,
Estrazione,
Proiezione,
Sporgenza,
Uscita,
Obliquo.

Vai a vedere altrove se ci sei
E torna
Nella gioia della tua assenza,
Laggiù,
Nella certezza,
Che puoi respirare
Di nuovo,
Che non è troppo tardi,
Che non è il modello al quale adeguarsi,
Che non raggiungerai mai la mèta per cui corri,
Che non vi è utopia possibile,
Che solo il reale grezzo e totale può essere paventato,
Che nulla vale la forza di una immagine
Nitida,
Il calore di un pasto,
La risata di una canzone,
Il delirio di un imprevisto,
La meraviglia di un incontro
E tu non sei più solo.
Siamo migliaia come te
A non sapere
Dove fuggono le ore
Perché torna sempre l’erba selvatica
Perché piace agli uomini riprodursi,
Come crescono le ninfee,
Da dove provengono gli astri,
Ciò che noi guadagniamo a voler guadagnare,
Quando saremo capaci d’inventare,
Se i rapiti legati ai tronchi delle foreste dormono ancora,
Se i salassatori di papaveri dormono ancora,
Fin dove i pittori lanceranno il loro acuto sguardo,
Quanti chilometri di carte indecifrabili e di plastica scolorita produrremo,
Qual è la misura umana delle cose e delle stelle,
Con che legno i bambini dei ghetti si scaldano,
Chi inventerà il dizionario universale,
Tutto ciò che l’infinito possiede di misteri che non sono te.

Sì, te che amo e che sei il mio doppio,
Sei complice, ed io
Ti condanno ad uscire da te stesso,
A liberarti la mente che hanno tentato di rubarti,
A mettere la tua vita in pensieri
E ad urlare.

Te che amo e che accetti il sacrificio impossibile,
Ti accuso e ti condanno
A leggere, contemplare e donare.
Che risuoni nei silenzi popolati
La melopea delle tue lacrime
E il lessico che tu non giudichi abbastanza degno di essere ascoltato.

Te che amo e che hai lo sguardo sfuggente,
Ti accuso e ti condanno a radicarti nel secolo nascente
Affinché tu decida finalmente
Dei volti delle leggi.

Te che amo senza averti mai incontrato,
Ti accuso e ti condanno
A ritrovare le respirazioni del tuo linguaggio
Affinché tu possa esercitare una collera millenaria
E giusta.


*

Nous ne célébrons pas un passéisme vide !
Les technologies permettent des connexions
Et rapprochent parfois les peuples intrépides
Mais pourquoi renoncer aux splendeurs d’autrefois,
Aux techniques fulgurantes et lumineuses,
Aux intuitions sensibles, aux savants émois
Qui élevaient les âmes aux vérités joyeuses ?
Pourquoi abandonner à l’oubli de l’Histoire
Les forces des esprits qui contemplaient les astres,
Bâtissaient les cités, forteresses d’espoir,
Pyramides sauvées des plus furieux désastres,
Théorèmes puissants, symphonies radieuses,
Inventions patientes, beautés spectaculaires,
Ingéniosité de l’œil prodigieuse,
Unions salvatrices, croyances millénaires ?
Ephèse, Halicarnasse, Alexandrie, Memphis,
Vos statues rient de nos dérisoires travaux.
Ô jardins suspendus, ô fragiles esquisses,
Ô phare évanoui, vous n’êtes que tombeaux.
Je préfère cent fois la plus simple demeure
Aux immeubles de fer qui entassent les êtres,
La matière forgée par des mains de rameur
Aux douces logorrhées aliénantes des spectres,
Les fumées opiacées des faubourgs de Paris
A l’air climatisé des sinistres mouroirs,
Les jurons vivifiants de camaraderie
Aux courbettes des gens des salons illusoires,
Le pain honnêtement pétri au petit jour
Aux fausses promotions, aux caddies à roulettes,
La boulangère amie qui donne le bonjour
Aux caissières épuisées, aux bonjours d’opérette.
Modernité, l’homme sacrifie tout pour toi !
Fausse modernité creusée de trous béants !
Nous régressons, nous régressons ! Combien de fois
Avons-nous contemplé sur l’autel des vivants
La lenteur en lambeaux, le dollar triomphant,
La paresse anoblie, l’effort discrédité ?
Allons, le temps n’est plus où l’homme spéculant
Assurait l’avenir, justifiait la corvée.
Aux ceinturons muets ne pendent plus les armes
Des grèves, des slogans porteurs de vie meilleure.
Entendez-vous dehors le sinistre vacarme
De la contestation, inutile sueur.
Syndicats corrompus, décideurs oublieux
Des idéaux premiers, des lois et des progrès,
Des clairvoyants émois quand, jeunes et fougueux,
Vous modeliez le temps et rêviez de palais.


*

Non celebriamo un passatismo vuoto!
Le tecnologie permettono connessioni
E avvicinano talvolta i popoli intrepidi
Ma perché rinunciare agli splendori di un tempo,
Alle tecniche folgoranti e luminose,
Alle intuizioni sensibili, alle sapienti commozioni
Che elevavano gli animi alle allegre verità?
Perché abbandonare alla dimenticanza della Storia
Le forze degli spiriti che contemplavano gli astri,
Costruivano città, fortezze di speranza,
Piramidi salvate dai più furiosi disastri,
Teoremi potenti, sinfonie radiose,
Pazienti invenzioni, bellezze spettacolari,
Ingegnosità dell’occhio prodigiosa,
Unioni salvatrici, credenze millenarie?
Efeso, Alicarnasso, Alessandria, Memphis,
Le vostre statue ridono delle nostre irrisorie opere.
Oh giardini sospesi, oh fragili abbozzi,
Oh faro svanito, non siete che tombe.
Preferisco cento volte la più semplice dimora
Ai caseggiati di ferro che impilano gli esseri,
La materia forgiata da mani di rematore,
Alle dolci logorree alienanti degli spettri,
Le fumate oppiacee dei sobborghi di Parigi
All’aria climatizzata dei tremendi mortori,
Le bestemmie vivificanti dell’amicizia
Agli inchini della gente da salotti illusori,
Il pane onestamente impastato all’alba
Alle false promozioni, ai carrelli della spesa,
La panettiera amica che dà il buongiorno
Alle cassiere stremate, ai saluti da operetta.
Modernità, l’uomo sacrifica tutto per te!
Falsa modernità, scavata da buchi giganteschi!
Noi regrediamo, noi regrediamo! Quante volte
Abbiamo contemplato sull’altare dei vivi
La lentezza a brandelli, il dollaro trionfante,
La pigrizia resa nobile, lo sforzo screditato?
Andiamo, non è più il tempo in cui l’uomo speculatore
Assicurava l’avvenire giustificava la fatica.
Ai cinturoni muti non pendono più le armi
degli scioperi, degli slogan portatori di vita migliore.
Sentite fuori il cupo chiasso
Della contestazione, inutile sudore.
Sindacati corrotti, Decisori distratti
Dei primi ideali, delle leggi e dei progressi,
Delle lucide emozioni quando, giovani e focosi,
Voi modellavate il tempo e sognavate palazzi.

Ed. Les Muses




Pascal Truchet
Nato il 31 marzo 1976 in Francia, Pascal Truchet si è laureato in lettere moderne a Lione, sua città di nascita, con una tesi sull’opera di Louis-René des Forêts e la scrittura frammentaria. Attualmente insegna lettere nella regione della Franche-Comté, a Vesoul. Poeta, scrittore e viaggiatore, trova nel viaggio il nutrimento per la sua scrittura. Altro nutrimento lo trova nell’impegno sociale nei confronti di giovani studenti libanesi ai quali insegna il linguaggio cinematografico permettendo loro di partecipare al Cultural Resistance International Film Festival. Questa manifestazione è nata per dire a questi giovani che non sono soli, che non esistono solo le bombe e la minaccia e che hanno un ruolo da svolgere nella costruzione del paese. Tutto ciò passa attraverso la riflessione e la costruzione di se stessi, con l’apertura al mondo attraverso il prisma dell’Arte.


viviane.c@alice.it