FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 38
aprile/giugno 2015

Silenzio

 

NEBBIA E SILENZIO
Uno sfacciato omaggio a John Carpenter

di Stefano Cardinali



- Devi uscire, voglio che tu vada via da qui! Non ascolterò una parola di più!

Emma accompagnò la frase con eloquenti gesti delle mani. La nonna, incurante dell’ordine ricevuto, si sedette di fronte alla nipote.

- Non ci penso neanche! Devi conoscere anche tu l’origine della maledizione che ha colpito la nostra famiglia tanti anni fa. Bisogna che tu sappia tutta la verità, fino in fondo.

- Basta, nonna, ti ho detto che non voglio ascoltarti. Mi è già difficile accettare l’abbandono di Pietro. Non continuare con le tue blaterazioni. Esiste un’unica vera dannazione: alcuni uomini, incapaci di assumersi le loro responsabilità, vicini all’età delle insicurezze sessuali, se ne vanno con la prima puttanella che trovano, basta che sia più giovane di almeno dieci anni. Solo in questo modo riescono a sentirsi di nuovo maschi! Il caso ha voluto che nella nostra famiglia sia successo a tutti: al nonno, a mio padre e adesso al mio compagno. E meno male che lo zio Giuliano si è fatto prete…

- Non puoi parlare di coincidenze. Se conoscessi la storia dall’inizio capiresti cosa si cela dietro le loro sparizioni.

Emma, per tutta risposta, fece una smorfia che negli anni non era mai cambiata: arricciò il naso e socchiuse gli occhi come faceva da bambina quando non voleva sentire i rimproveri. Come se quel semplice gesto bastasse a isolarla dal mondo esterno. Quel vezzo fece sorridere la nonna che si alzò per abbracciarla in un moto di tenerezza. Ma Emma ricominciò a gridare.

- Non voglio sentire un’altra parola su questo argomento! Vattene!

Indifferente alle urla della nipote, la vecchia infilò la mano in una tasca del grembiule e ne trasse una fotografia.

- Guarda questa immagine!

Forse fu per il tono perentorio della vecchia, o forse fu soltanto la speranza che quello fosse l’ultimo atto della discussione, ché Emma prese la foto, quasi strappandola dalle mani della nonna. La sua reazione fu immediata.

- Dove l’hai presa? Chi è questa figura?

Alle domande della nipote, l’anziana donna sentì calare addosso tutto il peso dell’età, non lontana dai novant’anni. Forse aveva sperato che stavolta andasse in maniera diversa, che la maledizione fosse terminata o che saltasse una generazione. Invece la sua impressione fu che la reazione di Emma confermasse che la condanna stava proseguendo.

- Conosci già questa immagine, vero?

- Beh, qualcosa del genere, sì. Da quando Pietro se n’è andato c’è una presenza molto simile che tutte le notti mi compare in sogno, un’apparizione che non parla, che non si muove, una figura irriconoscibile nei lineamenti, immersa in un’aura sfocata. Ho sempre pensato che fosse il mio subconscio che cercava di dare forma e corpo alla stronza che si è portata via il mio uomo, ma adesso che vedo la fotografia…

- Perciò ora devi ascoltare la mia storia.

“Nel 1944, le montagne attorno al nostro paese furono teatro di scontri armati tra i gruppi di partigiani e i nazifascisti che cercavano di rallentare l’avanzata degli alleati verso nord. Per fortuna il nostro borgo, lontano da sentieri e postazioni strategiche, rimase immune alle battaglie che si combattevano qui intorno. Tuo nonno Giovanni, primogenito di due maschi, a quel tempo era poco più che adolescente e non si unì ai gruppi partigiani per volere del padre Ferruccio, il fabbro del paese, che invece partì immediatamente.

- Qui c’è bisogno di qualcuno che badi alla famiglia. Tu, insieme a tuo fratello vi occuperete delle bestie e dell’orto perché vostra madre non può farcela da sola.

Tuo nonno protestò ma il padre fu granitico nella sua decisione e gli fece giurare che per nessuna ragione avrebbe disatteso il suo ordine.

Dopo un paio di mesi, una staffetta partigiana portò alla famiglia la notizia che Ferruccio era stato catturato e fucilato dai tedeschi. Giovanni, contravvenendo al giuramento fatto, decise di prendere il posto del padre nella resistenza.

Nel giro di poche ore preparò l’indispensabile pronto a lasciare la famiglia, sfruttando le ultime ore di luce ma una violentissima nevicata lo bloccò in casa. La partenza fu rinviata al giorno dopo. Quella sera Giovanni, scosso dalla notizia della morte del padre ed eccitato dall’imminente partenza, non riuscì a prendere sonno. A notte inoltrata gli sembrò di sentire alcuni lamenti provenienti non lontano dalla casa. Svegliò Loriano, il fratello, e insieme uscirono per capire chi avesse bisogno d’aiuto.

Aveva smesso di nevicare e una nebbia fittissima era calata sul borgo. Le lanterne illuminavano uno strato bianco che sembrava impossibile da penetrare. Non riuscendo a vedere nulla, ma conoscendo a menadito la strada che circondava il loro casolare, seguirono le voci che si facevano sempre più flebili. Percorsi un centinaio di metri Giovanni inciampò e cadde. La neve attutì l’impatto ma la spalla destra batté contro qualcosa di solido in un punto che, per quanto ne sapeva, doveva essere libero da alberi o cataste di legno. Disteso a terra si accorse che, fino a mezzo metro, la nebbia era più rada e che permetteva di vedere anche a qualche passo di distanza. Recuperò la lampada e fece accucciare anche Loriano che era rimasto accanto a lui.

Quasi distesi videro un carretto rovesciato e tre corpi non lontani da esso. I ragazzi si avvicinarono e dal vapore che usciva dalle bocche degli sconosciuti, capirono che erano ancora vivi. Si trattava di tre uomini, tre civili a giudicare dagli abiti che sbucavano sotto i loro pastrani. Sempre carponi, Loriano fece il giro del carretto. Alcune casse erano a terra, cadute dopo il ribaltamento del mezzo ma la sua attenzione fu richiamata da un baule che si era aperto. Ciò che ne era fuoriuscito lo fece trasalire: gioielli, collane, monete, bicchieri d’oro, tutto era sparso fra la neve e risplendeva alla luce della lanterna. Il giovane attirò l’attenzione del fratello e, nel silenzio più assoluto, cominciarono a rimettere quel tesoro nel forziere dimenticando i tre distesi a terra. Impiegarono più di un’ora, ma alla fine anche la più piccola delle monete era stata recuperata. Trasportarono verso casa il frutto della loro escursione e lo nascosero nella stalla, tra le balle di fieno. Poi tornarono al carretto. La nebbia si era un po’ diradata e stava riprendendo a nevicare. I corpi degli sconosciuti erano sempre lì, distesi a terra, ma nessun alito usciva più dalle loro bocche. Era ovvio che non c’era più niente da fare. La neve era fitta ma ciò non impedì ai due fratelli di curiosare tra le altre casse. Contenevano per lo più vestiti e documenti. I giovani richiusero i contenitori e tornarono a casa. Da lì a poco sarebbe stato giorno.

Giovanni partì il giorno seguente come aveva deciso ma la sua permanenza tra la resistenza durò poche settimane: si ammalò di polmonite e fu riportato a casa a dorso di mulo da due partigiani. Le cure della madre, il calore della casa e la prospettiva di quel tesoro nascosto nella stalla lo guarirono lasciandogli pochi strascichi.

I corpi dei tre sconosciuti furono ritrovati da alcuni paesani dopo qualche giorno, quando la neve che li aveva ricoperti, grazie alla temperatura più mite, cominciò a sciogliersi. Dissero che si trattava di tre disertori che dopo avere abbandonato le file dell’esercito stavano cercando di unirsi agli alleati. Questa fu la ricostruzione fatta all’epoca. Ma la verità era ben diversa perché mai avrebbero potuto congiungersi agli americani o agli inglesi col tesoro che trasportavano. È invece probabile che i tre avessero abbandonato le divise, rubato quel forziere in qualche villa e che cercassero di nascondersi in una grande città fino alla fine della guerra. Purtroppo per loro la nevicata e la nebbia di quella notte gli fecero perdere l’orientamento.”

- E cosa c’entra questa storia col fatto che Pietro mi ha lasciata?

- Abbi ancora un po’ di pazienza. - Rispose la vecchia che cominciava a dare evidenti segni di stanchezza.

“Tre anni dopo conobbi tuo nonno. Fu subito amore, tanto che ci sposammo dopo sei mesi di fidanzamento. La guerra era finita e l’Italia era in piena ricostruzione: la nuova repubblica aveva subito impresso fiducia nella popolazione. Giovanni aveva ripreso il mestiere di fabbro del padre insieme al fratello e la nostra vita procedeva senza sacrifici anche se il lavoro scarseggiava per mancanza di materie prime.

Un giorno mi rivelò della notte della nebbia e di come, per assicurarsi quel tesoro, lui e Loriano avessero lasciato morire i tre uomini. Mi disse che dopo la fine della guerra avevano smontato i gioielli mettendo da parte le gemme e squagliando tutto l’oro. Per non dare nell’occhio, ogni tanto andavano a vendere qualcosa lontano dal nostro borgo e sempre in luoghi diversi.

Dal momento di quella rivelazione un’immagine silente iniziò a ricorrere nei miei sogni: un’indefinibile figura simile a quella della foto veniva a trovarmi ogni notte. Soltanto dopo qualche apparizione mi parlò:

- La tua stirpe sarà formata di sole femmine che nel corso dei secoli patiranno tutte il dolore che tuo marito ha provocato alle mie due sorelle e a me. Gli uomini che amerete vi verranno sottratti e piangerete per sempre la loro scomparsa.

Dopo quell’ultima visita la mia ospite notturna non si mostrò più e per un po’ dimenticai quelle visioni.

Nel frattempo, lentamente, tutta l’Italia si stava riprendendo dai danni causati dalla guerra. Grazie a quella crescita – e alla nostra riserva aurea – la famiglia cominciò a dedicarsi all’allevamento e alle coltivazioni acquisendo terreni, bestiame e vendendo l’attività di fabbro.

Dopo due anni esatti dal matrimonio nacque tua madre. Fu un parto difficile e il medico mi sconsigliò di avere altri figli. La notte seguente ebbi di nuovo l’inquietante visita di quella figura. Come le prime volte non parlò, bastava la sua presenza a ricordarmi che la prima parte del suo presagio si stava avverando: La tua stirpe sarà formata di sole femmine...

Poi la nostra vita riprese serena e senza intralci: tua madre cresceva sana e il lavoro del nonno andava benissimo. Dopo la morte dell’anziana madre, Giovanni aveva acquistato un altro casale non lontano da quello di famiglia dove viveva Loriano rimasto scapolo. L’attività andava talmente bene che tuo nonno aveva ordinato altro bestiame e si accingeva a trattare alcuni terreni anche nel comune vicino. Dopo vent’anni ci eravamo davvero sistemati riuscendo anche a far studiare tua madre che aveva quasi concluso il liceo.

Una notte di febbraio nevicò tanto da bloccare la porta di casa. Al mattino tuo nonno fu costretto a uscire dalla finestra del primo piano per spalare quel metro e mezzo di neve che ci imprigionava. Ma dopo due ore non era ancora rientrato in casa. Fuori, un silenzio inviolabile rendeva ancora più terrificante l’atmosfera. Lo chiamai dal terrazzo ma una coltre di ovatta bianca sembrava respingere la mia voce. Allora scesi e aprii la porta d’ingresso: lo stesso muro di nebbia impenetrabile mi ricacciò in casa. Era come nel racconto di Giovanni, come nella notte del ribaltamento del carretto.

Quando finalmente quell’appannamento si diradò uscii e vidi che lo spazio davanti alla porta era stato liberato. Tuo nonno aveva portato a termine il lavoro ma poi era scomparso, solo la pala era rimasta a terra. Non ebbi mai più notizie di lui, e quella notte, solo quella notte ebbi la solita apparizione.”

Emma aveva ascoltato in silenzio il racconto della nonna. Si chiese come avesse potuto sopportare per tanti anni il peso di quell’incubo. Cercò una risposta nel suo sguardo oramai quasi spento, lontano dall’intensità che l’aveva convinta ad ascoltare la storia. C’erano però alcune cose da chiarire: come spiegava la scomparsa del padre avvenuta d’estate senza neve e, da quanto ne sapeva, senza nebbie improvvise a fare da scenografia. E la madre, perché non le aveva mai raccontato nulla?

Come se le avesse letto nel pensiero la nonna riprese a parlare.

“Per fortuna il fratello di tuo nonno si occupò di me di tua madre. Ero rimasta solo io a possedere la verità sulla condanna che si era abbattuta su di noi. Loriano non seppe mai niente per volere di Giovanni. Anche tua madre rimase sempre all’oscuro di tutto. Quando tuo padre sparì, non feci in tempo a raccontarle della pena che stavamo scontando perché si ammalò e morì pochi giorni dopo, logorata dal dolore. Tu, allora adolescente, rientrasti precipitosamente da Londra dove stavi studiando, appena in tempo per darle l’ultimo saluto. Come avevo fatto con lei anche a te non raccontai nulla, neanche della coltre che nel silenzio avvolse tuo padre portandoselo via.”

La ragazza si avvicinò alla nonna e l’abbracciò, concedendole il gesto d’affetto che le aveva negato poco prima. Adesso non provava più rabbia ma solo pena e tenerezza per quella donna che aveva sopportato da sola, per così tanto tempo, il carico di quelle visioni notturne.

Anche Emma, tra poco si sarebbe ritrovata da sola a elaborare l’abbandono del fidanzato. Ma sapeva di essere forte e che presto se ne sarebbe fatta una ragione. Invece, per quanto quel pensiero la rendesse felice, era un po’ spaventata dalla grande responsabilità di cui solo Pietro era a conoscenza: la crescita della creatura che portava in grembo. Mentre si staccava dall’abbraccio disse alla nonna:

- Non mi hai ancora spiegato da dove proviene quella fotografia.

- La scattò tuo zio Giuliano, il fratello di tuo padre. Era insieme a lui quando scomparve. Stavano facendo dei rilievi per un’area da lottizzare quando la cappa di nebbia li colse in mezzo al terreno che stavano visionando. Tra le tante foto scattate quel giorno ritrovò anche quell’immagine. Dopo quell’episodio Giuliano, nonostante avesse più di trent’anni entrò in seminario e dopo qualche tempo fu ordinato sacerdote.

Il racconto ora era davvero terminato e l’anziana donna aveva rimesso a posto tutte le tessere del puzzle nel quale era vissuta per quasi settant’anni.

- Ora vai, sei molto stanca – disse Emma mentre aiutava la nonna ad alzarsi. Uscirono e l’accompagnò fino alla porta d’ingresso del casale dove la salutò con un affettuoso bacio. Poi ritornò alla sua abitazione.

La storia appena sentita era davvero di grande impatto e la foto che aveva visto le aveva provocato una sensazione d’agitazione. C’era solo un modo per uscire dall’inquietudine che il racconto le aveva provocato. Salì in camera e si diresse verso il grande comò a fianco al letto. Aprì il cassetto di mezzo e ne trasse una busta bianca con l’intestazione del laboratorio dove aveva fatto l’ecografia. Tirò fuori quelle minuscole immagini e lentamente quella mostratale dalla nonna scomparve dai suoi pensieri. Le tornarono in mente le parole del medico:

- Non deve preoccuparsi signora, la creatura sta bene e ci ha voluto mostrare subito il suo sesso: è un bel maschietto, ben proporzionato rispetto alla sedicesima settimana di gravidanza. Le faccio i miei auguri!

Emma finalmente sorrise, certa che da quel momento niente più sarebbe stato facile ma con una nuova sicurezza: l’unica maledizione per le donne della sua famiglia era il talento che avevano avuto tutte nel mettersi accanto a dei gran maiali, pronti, nel silenzio più assoluto, ad abbandonare le proprie famiglie.


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