Pubblicato nel 2013 Annapurna è l’ultimo lavoro del poeta venezuelano Igor Barreto, un viaggio virtuale presso il massiccio montuoso lungo cinquantacinque chilometri situato nel Nepal centrale e che fa parte della catena dell’Himalaya. La sua vetta più alta (Annapurna I) raggiunge gli 8.091 metri ed è considerata una delle più pericolose, anche per via degli incidenti mortali accaduti nei vari tentativi di ascensione. Annapurna è un massiccio alto e largo, non a caso il suo nome significa (in sanscrito) “dea dell’abbondanza”.
Nel giugno 2011, di passaggio a Caracas, avevo letto una prima versione di Annapurna che ora, a opera stampata, trovo mutato non nell’idea, nel progetto di scrittura che gli sta dietro, ma nel desiderio di fondersi il più possibile con la cultura del luogo: il parlante del libro compie un percorso sì virtuale eppure tangibile, sentito in modo intenso (il sottotitolo del libro è “La montagna empirica”). Un viaggio non in una natura romantica e pura, ma rappresentata, riprodotta in versi, che è poi il modo di procedere di altri libri dell’autore venezuelano a partire da El Duelo (2010), Carreteras nocturnas (2010) e, più indietro nel tempo, nelle prose poetiche contenute in Tierranegra (1993/2007). In Annapurna la poesia si mescola alla prosa e molti testi si chiudono con una “coda” che, come in musica, prolunga il brano e lo conclude, lo chiosa con versi o motti provenienti, in apparenza, dalla cultura popolare tibetana, in realtà creati dall’autore. L’opera è corredata dalle foto di Ricardo Jiménez (come nei due libri precedenti) che ritraggono l’autore nel suo ambiente di lavoro (altro sottotitolo del libro è “Favole di un funzionario”), i suoi colleghi (come la poeta Yolanda Pantin, alla quale il libro è dedicato) o mentre osserva fotografie della sua montagna e degli scalatori stremati dalla fatica, come a voler tracciare – anche con le immagini e non solo in versi – la nascita e lo sviluppo di Annapurna. In un’intervista rilasciata a Fili d’aquilone (numero 16) il poeta venezuelano concludeva un ragionamento sulla poesia con questa frase: «Per me il fine di un testo poetico è quello di creare un documento su qualcosa che si possa conoscere e testimoniare».
Pur muovendosi in “luoghi immaginari del Tibet e del Nepal” la poesia di Igor Barreto ci trasporta in spazi immensi dove predomina il bianco e il senso di vuoto e smarrimento è amplificato dal silenzio. Condizione perfetta per comprendere la bellezza e la complessità della natura, la luce che all’alba torna a scolpire il Duomo di Firenze o i grattacieli di Shangai. Allora si entra in punta di piedi in “una cavità più profonda” dove il reale si fonde con il sogno, la vita di tutti i giorni con la poesia e la serenità di un massiccio himalayano. Benché stando lontani, a Caracas, con le mani congelate sulla carrozzeria di un auto che non parte, aspettando il crepuscolo del tropico.
POESIE DI IGOR BARRETO da Annapurna (2013)
ICARO–ESCALADOR
Desde aquí puedo ver la crisálida del Annapurna gobernando la zona de muerte de los ochomiles. Digo, que ahora vuelo como cualquier otro aro niquelado de la esfera terrestre, a 10.000 kilómetros de altura, mientras fijo mi vista en la montaña que es una epifanía de la Diosa de las cosechas. Ella sega la cabeza de los escaladores, la corona de trigo con las semillas germinadas y las arroja al final de laderas y despeñaderos. Una montaña es un emblema del reino mineral –eso me han dicho– pero la soledad y el vacío del espacio a esta altura ha reinventado la tristeza por la ausencia de lo orgánico. Creo que se trata de un pattern síquico. Deseo ver a la tierra como una bellota, como un fruto empujado desde su interior por una semilla que es la cresta himalayística del Annapurna, bordeando imaginarios lugares del Tíbet y Nepal.
ICARO – SCALATORE
Da qui posso vedere la crisalide dell’Annapurna che domina la zona di morte degli ottomila. Dico che ora volo come un qualsiasi anello nichelato della sfera terrestre, a 10.000 chilometri di altitudine, mentre fisso lo sguardo sulla montagna che è un’epifania della Dea dei raccolti. Lei falcia la testa degli scalatori, la corona di grano coi semi germinati e li scaglia oltre pendii e strapiombi. Una montagna è un emblema del regno minerale – questo mi è stato detto – ma la solitudine ed il vuoto dello spazio a una simile quota ha reinventato la tristezza per l’assenza di ciò che è organico. Credo che si tratti di un pattern psichico. Voglio guardare la terra come una ghianda, un frutto spinto dal suo interno da un seme che è la cresta himalayana dell’Annapurna, rasentando luoghi immaginari del Tibet e del Nepal.
CICLOS
Antes de llegar la luz del día a la Piazza del Duomo en Florencia, o a la retícula de un rascacielos en el Financial Center de Shanghai, se ilumina la cresta del Annapurna y el sol calibra su cromaticidad con la montaña: de un color neutro a otro más saturado: del blanco al rojo. Simplemente amanece entre juegos ambiguos. Perfilo el papel para la copia de mis sueños himalayísticos. Escribo la arista, las flores del hielo que se desploman, la fuerza de gravedad que me conduce al cuerpo que no será econtrado.
CICLI
Prima che giunga la luce del giorno a Piazza del Duomo in Firenze, o al reticolo di un grattacielo del Financial Center di Shanghai, s’illumina la cresta dell’Annapurna e il sole regola la sua cromaticità sulla montagna: da un colore neutro a un altro più saturo: dal bianco al rosso. Semplicemente albeggia tra giochi ambigui. Decoro la carta per la copia dei miei sogni himalayani. Compongo il bordo, i fiori del ghiaccio che crollano, la forza di gravità che mi conduce al corpo che non sarà incontrato.
IÑAKI
La esperanza fue lo que guió a Iñaki a ninguna parte. Sacó el pañuelo para decir adiós al espolón de la cumbre, a las cornisas de hielo que le parecían simples regrets éternels. Ahora bien: –¿Cómo tirar la toalla a 7.400 m de altura, sobre el entarimado nuboso de la montaña? Fueron secuencias oníricas: el escarabajo de la muerte daba vueltas en el aire premórbido y agramatical. La dexametasona puede salvarte del edema, si la tienes, si no escucharás la trompeta de los monjes trajeados en púrpura y amarillo.
CODA
Frase póstuma:
El coraje sin miedo es una estupidez..
IÑAKI (*)
La speranza condusse Iñaki in nessun luogo. Tirò fuori il fazzoletto per dire addio allo sperone della cima, ai cornicioni di ghiaccio che gli sembravano semplici regrets éternels. Dunque: Come gettare la spugna a quota 7.400, sul rannuvolato parquet della montagna? Furono sequenze oniriche: lo scarabeo della morte si rigirava nell’aria premorbosa e sgrammaticata. Il desametasone può salvarti dall’edema, se ce l’hai, oppure ascolterai la tromba dei monaci vestiti di porpora e di giallo.
CODA
Frase postuma:
Il coraggio senza paura è una stupidità.
(*) Iñaki Ochoa de Olza, scalatore spagnolo morto sull’Annapura nel 2005, a 7400 metri di altitudine. Aveva 41 anni e 12 ottomila all’attivo.
URGENTE
Muchos cuerpos piden ser reconstruidos: ¡Es un clamor! Pero hay que seguir, hay que seguir, aunque el corazón haga mutis por sus recuerdos «imprecisos». Los fantasmas se deprimen y se apartan.
URGENTE
Molti corpi chiedono di essere ricomposti: È uno strazio! Ma dobbiamo proseguire, dobbiamo proseguire, anche se il cuore fa scena muta dei suoi «imprecisi» ricordi. I fantasmi si rattristano e si allontanano.
UNA LECCIÓN
En el caserío Khabang –luego de puentes que flotan sobre ríos de plata cruda– hay un templo y un Buddha tallado en madera. Los años mutilaron algunos dedos, incluso una mano, y continúa con idéntica expresión sonriente: Silenciemos el ruego y pacifiquemos al que interroga. Al principio, el Buddha de Khabang era famoso por sus colores, hasta que su piel se blanqueó mostrando una cavidad más profunda. La madera se abría en aristas rectas y dejaba ver su fibra: El hastío que conduce a la serenidad.
UNA LEZIONE
Nel piccolo villaggio di Khabang – luogo di ponti che oscillano su fiumi di argento grezzo – c’è un tempio e un Buddha intagliato nel legno. Gli anni mutilarono alcune dita, persino una mano, ma conserva la stessa sorridente espressione: Tacciamo la supplica e pacifichiamo colui che interroga. All’inizio, il Buddha di Khabang era famoso per i suoi colori, fino a quando la sua pelle sbiancò mostrando una cavità più profonda. Il legno si apriva in angoli retti e lasciava percepire la sua fibra: La ripugnanza che conduce alla serenità.
DECLARACIÓN FINAL DE UN FUNCIONARIO
Yo estaba sobre el Annapurna y su peine negro y blanco o quizás en mi oficina con los ojos congelados en la pantalla del ordenador. Huí a 10.000 a 20.000 m de altura y me aparté hacia el estancado desierto del Paquistán: o era mi rostro sobre papeles administrativos y la tarde alcanzada en los informes. Por los pasillos del Ministerio del Poder Popular para la Cultura trotaban los rinocerontes de la anteguerra civil. Todos sabemos lo bien que el diablo recita las escrituras. Nada que hacer, nada que hacer como no sea viajar con Google Earth. Y si el salario se va por una zanja inmunda juro no descender jamás del Annapurna: –a las colinas del tedio torritremebundo–. Amo la subjetividad de la copia, los stándards de luz a distintas horas del día, el cromatismo de un ordenador de buena marca, su resplandor bien calibrado. Para colmo (…) al salir del edificio no pude encender mi amado Ford Thunderbird. Y mis dos manos congeladas sobre su carrocería mansa aguardaron el ocaso del trópico.
DICHIARAZIONE FINALE DI UN FUNZIONARIO
Stavo sull’Annapurna e il suo pettine nero e bianco o forse nel mio ufficio con gli occhi congelati sullo schermo del computer. Fuggii a10.000 a 20.000 m di altitudine e mi spostai verso lo stagnante deserto pakistano: o era il mio volto su carte burocratiche e il pomeriggio arrivato tra i comunicati. Nei corridoi del Ministero del Potere Popolare per la Cultura trottavano i rinoceronti dell’anteguerra civile. È molto bravo il diavolo a recitare le scritture, lo sanno tutti. Nulla da fare, nulla da fare se non viaggiare con Google Earth. E se il salario se ne va in un fosso immondo giuro che mai discenderò dall’Annapurna: – alle colline del noioso terribilmundo – (*) Amo la soggettività della copia, i modelli di luce a distinte ore del giorno, il cromatismo di un computer di buona marca, il suo splendore ben calibrato. E oltretutto (...) uscendo dall’ufficio non riuscii a mettere in moto il mio amato Ford Thunderbird. E le mie due mani congelate sulla mite carrozzeria aspettarono il crepuscolo del tropico.
(*) Riferimento alla poesia giocosa e nonsense dell’inglese Edward Lear (1812-1888), gran viaggiatore che visse i suoi ultimi vent’anni in Italia.
| I testi sono tratti da:
Igor Barreto, ANNAPURNA – La montaña empirica (Fábulas de un funcionario), Fotografías Ricardo Jiménez, Ediciones Sociedad de amigos del Santo Sepulcro, San Fernado de Apure (2013, Venezuela). Annapurna è stato considerato dalla stampa venezuelana il libro di poesia più importante pubblicato nel 2013.
Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini
IGOR BARRETO è nato a San Fernando de Apure (Venezuela) nel 1952. Ha studiato teoria dell’arte nell’Università di Bucarest, dal 1973 al 1979. Laureatosi nel 1982 per poter partecipare al laboratorio poetico del Centro di Studi Latinoamericani Rómulo Gallegos, nello stesso anno pubblica la raccolta poetica ¿Y si el amor no llega? e qualche anno dopo vince il premio municipale con Soy el muchacho más hermoso de esta ciudad (1986), seguita da Crónicas llanas (1989).
Nel 1993 riceve il premio dell’Università Centrale del Venezuela per la raccolta poetica Tierranegra, poi ampliata e pubblicata in Spagna nel 2007 e in Italia nel 2010 (Terranera, con cinque testi inediti, traduzione di Alessio Brandolini, Raffaelli Editore). Nel 2001 pubblica Carama, seguita nel 2006 dai libri di poesia: Soul of Apure e El llano ciego. Nel 2010 pubblica El Duelo e Carreteras nocturnas e nel 2013 Annapurna (La montaña empirica). È in uscita in Spagna una vasta antologia della sua opera con la casa editrice Pre-Textos.
Nel 2008 gli è stata assegnata la borsa di studio dalla fondazione Guggenheim. Professore universitario di letteratura all’Università Centrale di Caracas e all’Università Metropolitana, ed editore (in collaborazione con altri poeti) della collana di traduzioni Luna Nueva. Ha tradotto dal rumeno le poesie di Lucian Blaga e pubblicato libri per l’infanzia. Collabora come giornalista a testate nazionali e a varie riviste letterarie. Suoi testi poetici sono stati inclusi nelle più importanti antologie sulla poesia contemporanea venezuelana e tradotti in inglese, francese e italiano.
alexbrando@libero.it
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