FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 28
ottobre/dicembre 2012

Lusso

 

IL TEMPO È UN LUSSO ESTREMO
Sul romanzo di Alberto Cavanna
L'uomo che non contava i giorni

di Viviane Ciampi



Vi sono libri di cui sentiamo l’esigenza. Libri che sembrano nati apposta per colmare una lacuna e crescono dentro di noi a distanza di tempo. E proprio questo accade per il nuovo romanzo di Alberto Cavanna L’uomo che non contava i giorni (Mondadori 2012).
Lo scrittore ligure (già finalista al Premio Bancarella 2011 per A piccoli colpi di remo, ed. Arte Navale 2011) ha vinto il prestigioso Premio Anthia di Peagna narrando di due destini che s’incrociano, di due culture che si confrontano, di due solitudini che si uniscono facendo scoccare la scintilla della solidarietà che diventerà, nel susseguirsi dei giorni, profonda amicizia.

Ma chi sono i protagonisti? Il primo a entrare in scena è Mohamed, un giovane tunisino che come tanti altri disperati approda in Italia (nello specifico, in un non ben definito luogo della riviera ligure) in cerca di sopravvivenza e riscatto sociale. Il giovane, logorato da un terribile segreto, posa per puro caso il suo giaciglio davanti alla bottega di un vecchio maestro d’ascia in pensione, per niente filantropico in apparenza. Cristoforo preferisce farsi chiamare baccan che in dialetto significa padrone. Unendo le loro esperienze, il ragazzo e il baccan costruiranno un gozzo. Ma lo faranno come si usava una volta, col gusto del lavoro ben fatto, con i rituali collaudati nel tempo ma senza calcolarlo, appunto, il tempo; senza bisogno di orologi o calendari.
Il vecchio trasmette e il giovane assorbe, tra profumi di olio di lino, vernici e focaccia nella luce viva del paesaggio ligure dove soffia sempre un vento che asciuga tutti i pianti.
Ciascuno dei protagonisti essendo straniero per l’altro cerca un linguaggio per andargli incontro: un linguaggio fatto di gesti, di sguardi, di complicità. E molte altre cose accadranno in queste pagine che non possiamo svelare.

Lo scrittore ligure (che ha lavorato a lungo nella lavorazione del legno a bordo di navi e velieri) ci regala un testo avvincente, di alta umanità dove spesso i silenzi sono più importanti delle parole. La sua è una voce schietta che giunge al nocciolo delle cose, laddove la vita brucia nel bene e nel male. Il mare, sempre presente «che non divide ma unisce» può essere il grido che inghiotte la notte o la presenza rassicurante che conduce al termine dell’ombra. Comunque resta l’interlocutore ideale suscettibile di evocare le più appaganti suggestioni spirituali.
È un vero conteur, Alberto Cavanna o un griot – se preferite – come ne esistono in Africa dove la gente va sotto gli alberi per ascoltare delle storie. A tratti distilla il dialetto con i suoi intriganti svoli caricando le piccole cose di un senso ulteriore.

A Peagna, nell’entroterra Ligure dove il 2 settembre 2012 è venuto a presentare il libro e a ritirare il premio, si stava abbattendo il primo temporale vero di fine estate, coi fulmini che minacciavano i microfoni e i teloni di protezione gonfi d’acqua. Lui, fradicio e sorridente era arrivato in vespa da La Spezia (un’ora e un quarto di percorso) sfidando le previsioni. Ma il pubblico se ne stava lì ad ascoltare la moderna favola di Mohamed e del baccan senza curarsi della pioggia.
È fatto così, Alberto Cavanna. Empatico e generoso. Ma senza fronzoli. Fa pensare ai suoi personaggi che badano all’essenziale e si permettono il lusso di non contare il tempo.


Alberto Cavanna, L’uomo che non contava i giorni, Mondadori 2012, pp. 152, euro 10




INTERVISTA AD ALBERTO CAVANNA


Come è avvenuta la gestazione de L’uomo che non contava i giorni?

Fulminea. Ho visto un servizio sul cimitero dei barconi e lì è nato l’incubo di Mohamed. Per chi ama le barche una simile visione non può lasciare insensibili… la stesura del libro è venuta di getto, meno di due settimane.

In questo libro ha raccontato una bella storia d’amicizia. Un’amicizia, in un certo senso ‘attiva’, in una speciale compartecipazione d’esperienze. Eppure i protagonisti (il giovane Mohamed, ribattezzato in seguito Mimmo, e il vecchio Cristoforo detto baccan (il padrone), sono due persone in apparenza distanti.

In realtà sono personaggi speculari, stessa esperienze di vita, stesso senso del lavoro come valore etico, stessa concezione di una spiritualità quotidiana. Diversa è la loro emarginazione: quella del tunisino in quanto immigrato clandestino, quella del vecchio Cristoforo come uomo tagliato fuori dai nuovi valori della nostra società. Medesima la condizione di non contare i giorni, cioè non voler ricordare il passato, non avere futuro e concepire il presente come una somma di istanti da superare uno per uno, come la focaccia che spezzetta Mohamed.

Parlando della focaccia che Mohamed spezzetta e di cui il lettore indovina il profumo, vi sono altri profumi e odori ricorrenti in questa storia: legno, olio di lino, trucioli e segatura. Sono anche i profumi della sua infanzia?

Ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia patriarcale dove ci si tramandava il mestiere da generazioni ininterrotte. Il senso degli avvenimenti, degli anni, delle generazione e del succedersi ciclico degli eventi assume un aspetto molto più limpido di chi non ha simili radici che per me sono quelle della vecchia officina che oggi non c’è più ma vive nelle mie memorie e nelle mie parole. La memoria ha un valore superiore alla storia perché include già un giudizio che non è politico o etico ma semplicemente umano.

Cito un passaggio emblematico: «Prese il trapano e fece un foro all’esterno dello scafo su una tavola del fasciame, in corrispondenza dello scalmo dove l’ordinata finisce tra cinta e dormiente». I ferri del mestiere sono poesia per le orecchie del lettore. Li descrive infatti con speciale coloritura emotiva. Si capisce che prova molto gusto a nominare le cose…

Trasmettere un mestiere (non parlo di una professione o di un’occupazione ma di quella che i romani chiamavano ‘ars’) è l’ultima attività che nella nostra civiltà avviene per tradizione orale e per mimesi. È un gesto antico e reiterato che si accompagna quasi sempre con le medesime parole «guarda come faccio io», ossia «attingi alla mia esperienza, alla mia vita». Le parole sono dunque una parte essenziale di questa continua rigenerazione. Mia figlia mi guardava mentre lavoravo e un giorno mi ha detto: «mi fai vedere come si piantano i chiodi»?

Lei si definisce carpentiere e scrittore. Che legame c’è tra i due mestieri?

È un gioco di parole preso dall’inglese dove ‘Shipwright’ è il maestro d’ascia e lo ‘ship writer’ è colui che scrive di navi. Io non vedo nella differenza delle lingue un ostacolo se si considera il libro un prodotto artigianale, dunque realizzabile con gli strumenti che si riescono a trovare. Un libro può anche essere scritto in inglese, in genovese o in arabo ma deve essere scritto per tutti, lo stile non deve necessariamente essere quello del madre lingua: Cristoforo, Mimmo e Gibran ce lo insegnano con la semplicità concessa alla loro condizione.

Il vecchio baccan (il padrone) è Ligure nel senso più profondo del termine. Che rapporto ha con la ligusticità? Ha significato oggi essere orgogliosi di un luogo di nascita anziché in un altro? Georges Brassens diceva: «ces imbéciles qui croient être nés quelque part… ».

«Nessun vento è favorevole se non hai un porto di arrivo» diceva Seneca. Vale lo stesso se non hai un porto di partenza. Ogni provenienza è una radice. Oggi purtroppo spostarsi, trasferirsi, significa sopratutto sradicarsi che è ben differente. Perderle significa non avere più la capacità di vedere significati profondi nelle cose. Solo chi è vissuto in Liguria può capire l’assoluta assonanza tra The old man and the sea e Il Pescatore di De Andrè.
La differenza sta nella gestione di questo ‘orgoglio’ o ‘awardness’: se si cerca di trasmetterla è positiva, differentemente è una chiusura di elite come tante.

Sempre a proposito di Liguria, nel romanzo fa largo uso del dialetto, dialetto che però ha bisogno talvolta di traduzione per arrivare a un pubblico non necessariamente ligure. Si è posto il problema di usare o meno questo accorgimento?

No, per tutti i motivi che ho esposto. Molte volte la parola non è importante quanto il contesto, i gesti che la seguono e le emozioni che suscita. Eppoi certe espressioni sono intraducibili: l’intercalare ‘belin’ per un ligure è come il ‘men’ e ‘de’ delle versioni dal greco… Ci dicevano quasi sempre di non tradurlo.

Il nonno di Mimmo gli diceva che il mare unisce e non divide.

Vero. Una volta la vita sulle città di costa era più o meno uguale su tutte le sponde: cambiavano le lingue, la religione ma le attitudini erano le stesse. La perdita di alcune attività come la piccola navigazione costiera e il commercio al minuto che le era legato hanno fatto dimenticare questo.

Altro protagonista di questo romanzo è il tempo. Vi è soprattutto il tempo «come lusso da dimenticare per chi è costretto a badare quotidianamente alla sopravvivenza».

Oggi si dice che «il tempo è denaro» e tutto nella nostra società spinge a questo estremo: si diventa ricchi o poveri in termini di secondi, basti pensare al veleno del messaggio borsistico. Ma così la vita diventa un insieme di secondi. Mio nonno piantava alberi che sapeva avremmo tagliato noi: se non succede più non è perché sono cambiati i tempi ma i tempi sono mutati perché abbiamo smesso di farlo.

Nella bottega del baccan non vi è nulla che ricordi il passare del tempo. Ciò che conta è solo il lavoro ben fatto. Anche questo è un lusso, ormai.

Il mestiere e non la professione e l’occupazione aveva un diverso metro di misura che non il semplice valore aggiunto, ossia il profitto. Un lavoro fatto bene era una cosa che restava, parlava delle proprie capacità ed era assolutamente legata al valore dell’individuo, dunque al suo ruolo in una società che non esiste più. Oggi la misura è il guadagno indipendentemente dalle modalità del suo realizzo.

Quando guarda nel suo ipotetico retrovisore che cosa vede?

Una vita breve ma bella, con tante difficoltà ma nessun rimpianto. Se dovessi lasciarla ora sarei felice così.

Nella quarta di copertina leggo che lei dipinge. Quando si dipinge il tempo pare sospeso?

Il tempo è sempre sospeso quando si vive nelle dilatazioni del proprio io. Possiamo chiamarle come vogliamo: cultura, arte, religione. Credo Sant’Agostino in merito ci abbia detto molto ed è assai attuale.

Questo libro indica la direzione del successivo, come già è avvenuto per i precedenti?

Ci sono libri che sono prodotti occasionali, momentanei: vivono di vita propria e l’autore scompare dietro di essi. Altri sono il prodotto di un modo di vivere e non possono essere considerati a prescindere dalla personalità e dalla vita dell’autore. Pensate a Hemingway e a quello che avrebbe voluto dirci con il vecchio e il mare… Dopo le critiche di Al di là del fiume e tra gli alberi, considerato l’ennesima esibizione delle sue personali esperienze di guerra, dietro Santiago lui apposta nasconde un veterano dimenticato, uno spagnolo lasciato a marcire a Cuba dopo la guerra ispano americana del ’98… Un uomo come sconfitto ma non domato, proprio come l’autore. Chi legge bene nella trama della sua vita lo capisce.

Al di là del suo modo di vivere dove abbiamo capito che il mare non solo lo ama, ma addirittura lo ‘abita’, in un futuro più lontano può immaginare di scrivere racconti o romanzi che abbiano come sottofondo la montagna o la miniera?

Le montagne e le miniere sono in noi: dobbiamo aspettare che le nostre braccia siano abbastanza forti da scalarle o i nostri occhi abbastanza acuti da vedere nel buio. Scrivere non vuol dire essere uno scrittore ma un ‘wanderer’.
E uno così sa che il domani è buono per ogni cosa…
Anche per morire.




Alberto Cavanna
è nato a Savona nel 1961. Figlio d’arte – la sua famiglia ha per oltre quattro generazioni operato nel campo della lavorazione del legno a bordo – dall’età di quindici anni ha avuto l’occasione di lavorare per molti cantieri intervenendo su importanti barche, navi e sugli ultimi velieri in legno.
Ha esordito con il romanzo Bacicio do Tin (Mursia 2004), cui sono seguiti Da bosco e da riviera (Rizzoli 2008) e la raccolta di racconti A piccoli colpi di remo (Arte Navale 2011), finalista al Premio Bancarella 2011. Si dedica inoltre all’arte della pittura.


viviane.c@alice.it