FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 28
ottobre/dicembre 2012

Lusso

 

IL LUSSO DI DERIDERSI
Sull'ultimo libro di poesia di Lauren Mendinueta

di Alessio Brandolini



In un precedente numero di Fili d’aquilone avevo presentato la poesia di Lauren Mendinueta, poeta colombiana che da cinque anni vive a Lisbona. Mi aveva molto colpito il libro La vocazione sospesa (2008) per lo scandaglio interno, i riferimenti letterari, il verso asciutto, controllato eppure sempre musicale.
Nella nuova raccolta Del tiempo, un paso (Del tempo, un passo - 2011), nata dopo aver vinto un premio per l’inedito, Mendinueta volge lo sguardo più che all’interno all’indietro, al passato, ai ricordi dell’infanzia. Avviene un ripiegamento, nel desiderio (che è intima necessità) di approfondire immagini e paesaggi lontani nel tempo e nello spazio.
Il tema della nostalgia era presente nei lavori poetici precedenti, ma in questo nuovo lavoro è centrale, decisivo. In “Estantigua”, sezione finale del libro, citando in esergo versi di Alejandra Pizarnik, Mendinueta inizia un dialogo con se stessa bambina, in un tentativo di strapparla al suo irraggiungibile rifugio. Però quel fantasma se la ride e si concede il lusso di rinfrescarle la memoria: “Adesso ridi di me/ e dal tuo spaventoso rifugio inaccessibile / ti permetti il lusso di ricordarmi chi sono stata”.

Una scissione che rende oscuri i versi più chiari: chi era Lauren bambina? Il mistero che avvolge l’infanzia è una palla di gomma che rimbalza da un punto all’altro del tempo, di luoghi e situazioni. Infanzia instabile e sfuggente, fatta di grumi di bene e di male. Quel che resta dell’innocenza è un mistero, un fantasma che ci passa davanti e può deriderci, ferire o inquietare, così come l’anima (cito versi dell’autrice) può trasformasi nel peggiore nemico del corpo.
Questo dualismo crea inquietudine e un movimento oscillante dove la poesia muta rapidamente: da descrittiva si fa quasi mistica (“Perché prima o poi Dio dovrà ricordarsi di me, / prima o poi dovrà ascoltarmi”), o classica come nella bella sezione “Arenarsi nell’Egeo” che, oltre agli antichi maestri greci, onora la memoria di Konstantinos Kavafis.

Se ne La vocazione sospesa c’è un maggior controllo del testo, puntando all’essenziale, al componimento breve e lavorato nei singoli dettagli, qui, in genere, la poesia tende a debordare come se volesse imporre se stessa al poeta.
Cambia, ed è ovvio, anche la musicalità, così importante nella poesia di Mendinueta. E se in molti testi si riascolta la sua voce suadente in altri c’è una frammentazione del tono, dovuta ai cambi temporali, alla ricerca di quella misteriosa infanzia o della “felicità che mai ho avuto”.
La ricerca poetica del libro procedente è più rigorosa e tuttavia i componimenti di Del tempo, un passo hanno il loro fascino segreto: una bellezza conturbante e forse contengono anche un gioco, un “trucco” serio e letterario.

Il “lasciarsi andare”, il far sì che la poesia, intesa come ispirazione o moto dell’animo, risalga in superficie, sulla pagina e detti i suoi versi allo scrivente è anche un esplicito richiamo al libro precedente dove si parla (ed è il perno di quel libro) della possibilità di abbandonare la poesia, che però è “irrinunciabile” e quindi, nella sostanza, una condizione puramente astratta.
Così la poesia palpita e sgambetta in ogni caso e sembra vivere (soprattutto nella sezione “Fantasma” che chiude il libro), al di là dello stesso poeta, così come Lauren bambina sopravvive a Lauren adulta, sebbene rinchiusa nel suo irraggiungibile rifugio.
La memoria è poco attendibile, si deforma col tempo o in base alle circostanze nelle quali ci si sforza di mettere a fuoco i ricordi. La poesia è memoria pulsante, mescolanza d’innocenza e malizia, dubbi e lacerazioni, cronaca dei giorni vissuti e visione astratta, ovvero il profilo d’un futuro che si rivolge al passato, se ne nutre.

Nella raccolta c’è una poesia che s’intitola “Il ritorno” , dove vengono evocati il luogo natio e la figura materna (“Allora niente mi spaventava tanto / quanto la possibile tenebra del suo abbandono”). Un testo nostalgico inserito nella sezione intitolata “La vita può non essere qui” dove in esergo si trova una frase di Kundera: «L’uomo che è stato esiliato dal rifugio sicuro dell’infanzia desidera entrare nel mondo, però, allo stesso tempo, lo teme, e per questo ne crea con i suoi versi un altro artificiale, suppletorio.»
Così, in Del tempo, un passo il mondo suppletorio è ricreato, di sezione in sezione, in rapidi movimenti all’indietro, nelle ombre oscillanti dei ricordi, in versi che riportano a un passato più remoto (ellenico) sentito vicino nei sensi che s’espandono a contatto con il mar Egeo. Questo articolato amalgama ha una forte potenza evocatrice e si proietta verso un futuro intravisto come un giardino: “Ho il biglietto per un viaggio che promette il Giardino”.
Il dolore (quella felicità mai avuta) ha tracciato, nella vita e nella poesia di Lauren Mendinueta, un suadente e personalissimo sentiero.




POESIE DI LAUREN MENDINUETA
da Del tiempo, un paso (2011)


DESEO DE NADA

Todavía es temprano.
Mil noches han caído sobre la tierra,
y otras mil cayeron antes,
pero aún no es tarde.
El viento arropa con tanta fuerza la casa
que se diría una madre enloquecida de amor.
Pero el viento no puede amar.
Tengo miedo.
El mar no está lejos de aquí,
y yo soy esa misma arena sobre la que caen
furiosas, incontenibles y enajenadas las olas.
Más allá, en el centro mismo de la tormenta,
mi ojo busca las razones de tanta rabia.
Tengo ganas de azotar a la noche
hasta verla sangrar.
Deseo hasta el infinito
poseer algo que jamás se entregue.


DESIDERIO DI NIENTE

È ancora presto.
Mille notti sono cadute sulla terra,
ed altre mille caddero prima,
però non è ancora tardi.
Il vento avvolge con tanta forza la casa
che si direbbe una madre impazzita di amore.
Ma il vento non può amare.
Ho paura.
Il mare non è lontano da qui,
ed io sono la sabbia sulla quale cadono
furiose, incontenibili ed alienate le onde.
Più in là, nel centro stesso della tempesta,
il mio occhio cerca le ragioni di tanta rabbia.
Ho voglia di frustare la notte
fino a vederla sanguinare.
Desidero all’infinito
possedere qualcosa che mai si arrenda.


RELOJ SIN MANECILLAS

Tengo el boleto para un viaje que promete el Jardín como destino,
la costumbre de rondar sobre cenizas para no olvidar el fuego
y la voz de mi madre que me arropó con rumor de palmas en la tarde.
Tengo también el compromiso de estar viva, de preservar lo intocable
para que el mundo siga siendo aquello que no soy.
Pero vivir en redondo como aguja de reloj termina por cansar.
Cuánta ironía: tener que envejecer para al fin recobrar la infancia,
tener que morir para que ya nadie pueda robármela.


OROLOGIO SENZA LANCETTE

Ho il biglietto per un viaggio che promette il Giardino come destino,
l’abitudine di vagare sulle ceneri per non dimenticare il fuoco
e la voce di mia madre che di sera mi avvolse con un fruscio di palme.
Ho anche l’obbligo di restare viva, di preservare l’intoccabile
affinché il mondo continui ad essere ciò che non sono.
Ma vivere in cerchio come una lancetta di orologio finisce per stancare.
Quanta ironia: dover invecchiare per riprendersi alla fine l’infanzia,
dover morire affinché nessuno possa rubarmela.


L ÁRBOL DE ORO

          Para Marisa y Francisco Torrecillas

El árbol de oro transforma la apariencia del paisaje.
Lo que nosotros llamamos naturaleza está ahí,
pero la vida del árbol le trajo un relieve,
una claridad que antes no tenía.
Crecen en sus ramas resplandores sin sol,
y sus altas luces obligan a mirar hacia arriba,
hacia la amplitud del cielo,
que él, con la delicadeza de sus hojas, resalta.
Su firme presencia
hace visible el espacio invisible del aire.


L’ALBERO D’ORO

          Per Marisa e Francisco Torrecillas

L’albero d’oro trasforma l’apparenza del paesaggio.
Quello che noi chiamiamo natura sta lì,
ma la vita dell’albero gli portò un rilievo,
una chiarezza che prima non aveva.
Sui rami crescono splendori senza sole,
e le sue alte luci obbligano a guardare in alto,
verso la vastità del cielo,
che lui, con la delicatezza delle foglie, mette in risalto.
La sua ferma presenza
rende visibile lo spazio invisibile dell’aria.


ESTUARIO

El agua sube.
La ballena vuelve un costado a este mundo.
Me interesa la parte suya que no veo,
la piel que ondula cual sombra y escapa.
Me interesa
lo que no pertenece a lo visible,
rayo de luz que persigo en el fondo.
Llueve,
la mente se desborda.
Me interesa esa parte de mí invisible,
la que quizás sin saber me representa,
esa que no ven los otros cuando aparezco.
¿Llegaré a una edad en la que seré
indiferente al tiempo?
¿Si perdurara en el tiempo, huiría?
¿Realmente existo
o porque no existo
busco esa otra parte y emerjo?
Llueve.
Llueve sobre la ballena pensada.


ESTUARIO

L’acqua sale.
La balena rivolge un fianco al mondo.
Mi interessa la parte che non vedo,
la sua pelle che freme come un’ombra e fugge.
M’interessa
quello che non appartiene al visibile,
raggio di luce che inseguo nel fondo.
Piove,
la mente deborda.
M’interessa la parte di me invisibile,
quella che forse senza saperlo mi rappresenta,
quella che non vedono gli altri quando appaio.
Arriverò a un’età nella quale sarò
indifferente al tempo?
Se durassi nel tempo, fuggirei?
Realmente esisto
o perché non esisto
cerco quell’altra parte ed emergo?
Piove.
Piove sulla balena pensata.


ENCALLAR EN EL EGEO

Vi mi rostro reflejado en las aguas del Egeo.
Cada rasgo con su trazo único, apenas mío,
la imagen de una exactitud inquietante.
Esos eran por fin mis ojos. Mi boca. Mi nariz.
Mis pómulos. La inclinación exacta de mi barbilla.
Así estuve atenta días y noches
deseosa de que el reflejo intentara hablarme.
Desde entonces no importa a dónde vaya
en ese mar me quedé yo, temblando entre rocas y olas:
muda, idéntica a la felicidad que nunca tuve.


ARENARSI NELL’EGEO

Vidi il mio volto riflesso nelle acque dell’Egeo.
Ogni strappo col suo tratto unico, appena mio,
l’immagine di un’inquietante esattezza.
Quelli erano finalmente i miei occhi. La mia bocca. Il mio naso.
I miei zigomi. L’esatta inclinazione del mio mento.
Così fui attenta giorno e notte
impaziente che quel riflesso provasse a parlarmi.
Da allora non m’interessa dove vado
restai in quel mare, tremando tra rocce ed onde:
in silenzio, identica alla felicità che mai ho avuto.


ÁNFORA GRIECA

A simple vista un jarrón cualquiera,
algo estropeado, una oreja quebrada,
modelado con delicadeza antigua y ática.
Pero las escuetas cenizas
que ese trozo de arcilla contiene
alguna vez fueron hombre o mujer,
cuerpo que mereció el sutil artificio de volver al barro.
Ánfora fúnebre
decorada con motivos ecuestres
perfecta metáfora del amor:
dos caballos enfrentadas,
crin contra crin, en ella lloran.


ANFORA GRECA

A prima vista un vaso qualsiasi,
una cosa malridotta, un orecchio rotto,
plasmato con delicatezza antica e attica.
Ma le schiette ceneri
che quel pezzo di argilla contiene
una volta furono uomo o donna,
corpo che meritò il sottile artificio di tornare fango.
Anfora funebre
decorata con motivi equestri
perfetta metafora dell’amore:
due cavalli si fronteggiano,
crine contro crine, su di lei piangono.


*

El pasado va siempre por delante
marcando no el ritmo sino el tono de nuestra vida.
Por eso las caras repudiadas insisten en volver
para quedar fijas en mi temor de estar viva
aun en contra de la misma voluntad.
¿Cómo me he convertido en Estantigua?
Cada noche sacudo el aire,
sacudo el aire al pasar con el grito pavoroso de mi existencia.
Presente en un tropel fantasmal,
ignoro a los que no contentos con trancarme la puerta del día
se cubren el rostro para no verme pasar de noche,
aunque bien saben que me escucharán correr por las calles.
Así me he formado, de procesiones absurdas
y bofetadas que no pude devolver a tiempo.
¿A dónde te fuiste? Te necesité más que nunca
cuando dejaste de ser niña para convertirte en la que soy.
Lugares, conciencias, corazones y afectos,
todo lo abandonaste de golpe. Ahora te ries de mí,
te das el lujo de recordarme quién era
desde tu espantoso refugio insalvable.


*

Il passato va sempre avanti
marcando non il ritmo ma il tono della nostra vita.
Per questo i volti ripudiati insistono nel tornare
e restano stabili nella paura di essere viva
anche contro la mia volontà.
Come mi sono trasformata in Fantasma?
Ogni notte scuoto l’aria,
scuoto l’aria passando col grido spaventoso della mia esistenza.
Presente in un’accozzaglia spettrale,
ignoro coloro che non contenti di sbarrarmi la porta del giorno
si coprono la faccia per non vedermi passare di notte,
per quanto ben sappiano che mi ascolteranno correre per strada.
Così mi sono formata, con processioni assurde
e schiaffi che non potei restituire in tempo.
Dove te ne sei andata? Avevo bisogno di te più che mai
quando hai smesso di essere bambina per trasformarti in ciò che sono.
Luoghi, coscienze, cuori ed affetti,
all’improvviso abbandonasti tutto. Adesso ridi di me
e dal tuo spaventoso rifugio inaccessibile
ti permetti il lusso di ricordarmi chi sono stata.


Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini




Lauren Mendinueta
è nata a Barranquilla, in Colombia, nel 1977. Ha vissuto nel 2005 in Messico, poi in Spagna e da alcuni anni vive a Lisbona. Ha pubblicato le raccolte poetiche:

  • 2011   Del tiempo, un paso (Spagna, Premio César Simón)
  • 2008   La vocación suspendida (Spagna, Colombia 2009)
  • 2007   Poesía en sí misma (antologia, Colombia)
  • 2006   Autobiografía ampliada (Spagna, Messico)
  • 2004   Donde se escoge el pasado (Colombia)
  • 1999   Inventario de Ciudad (Colombia, introduzione di Álvaro
             Mutis)
  • 1998   Carta desde la aldea (Colombia)

I suoi libri hanno ricevuto importanti riconoscimenti. Suoi testi sono stati tradotti in diverse lingue e inseriti in antologie sulla poesia colombiana e latinoamericana.
Nel 2004 ha pubblicato una biografia di Marie Curie (Maria Curie, dos veces Nobel, Colombia) e nel 2012 è uscito a Lisbona Um país que sonha (cem anos de poesia colombiana), prima antologia della poesia colombiana pubblicata in portoghese.


alexbrando@libero.it



Vedi anche, sul numero 15,
La poesia di Lauren Mendinueta
di Alessio Brandolini