FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 28
ottobre/dicembre 2012

Lusso

 

L'ANGOLO DI ED

a cura di Giuseppe Ierolli


Sontuoso istante


J414-F425

'Twas like a Maelstrom, with a notch,
That nearer, every Day,
Kept narrowing it's boiling Wheel
Until the Agony

Toyed coolly with the final inch
Of your delirious Hem -
And you dropt, lost,
When something broke -
And let you from a Dream -

As if a Goblin with a Gauge -
Kept measuring the Hours -
Until you felt your Second
Weigh, helpless, in his Paws -

And not a Sinew - stirred - could help,
And sense was setting numb -
When God - remembered - and the Fiend
Let go, then, Overcome -

As if your Sentence stood - pronounced -
And you were frozen led
From Dungeon's luxury of Doubt
To Gibbets, and the Dead -

And when the Film had stitched your eyes
A Creature gasped "Reprieve"!
Which Anguish was the utterest - then -
To perish, or to live?

    Fu come un Maelstrom, con un solco,
Che più vicino, ogni Giorno,
Continuasse a stringere la sua Ruota rovente
Finché l'Agonia

Si trastullò freddamente con l'ultimo frammento
Del tuo Orlo delirante -
E ti lasciasti cadere, perduta,
Quando qualcosa si spezzò -
E ti fece uscire da un Sogno -

Come se uno Spirito maligno con un Calibro -
Continuasse a misurare le Ore -
Finché sentisti il tuo Istante
Pesare, inerme, fra i suoi Artigli -

E neanche un Nervo - stimolato - poteva giovare,
E i sensi s'intorpidirono -
Quando Dio - si ricordò - e il Demonio
Fuggì, allora, Sopraffatto -

Come se la Sentenza fosse - pronunciata -
E tu condotta raggelata
Dalla lussuosa Segreta del Dubbio
Al Patibolo, e ai Morti -

E quando il Velo avesse cucito i tuoi occhi
Una Creatura boccheggiasse "Tregua!"
Quale Angoscia sarebbe più assoluta - allora -
Perire, o vivere?

Il vortice dell'angoscia descritto con una serie di immagini, ora fisiche, ora oniriche, sempre sostenute da una immaginifica fantasia in crescendo, e concluse da quel "Reprieve!" che sembra una catarsi ma si rivela momentanea e subito dopo si tramuta in un angoscioso dubbio senza risposta. Moltissimi spunti per un'analisi dei versi. Prima c'è il Maelstrom, il nome nordico dei gorghi marini che, nella loro forma più estrema, trascinano in fondo anche le navi più resistenti. La Ruota è un'immagine quasi pittorica del mulinello, con il nucleo centrale che si stringe sempre più e si tramuta in un'Agonia senza più sentimenti che si trastulla con malcelata crudeltà con le estreme propaggini del nostro "orlo", ovvero con le nostre ultime difese, ormai deliranti. Il sogno è un'immagine ambigua: potrebbe essere il sogno della vita (che non è che un sogno) o il sogno/incubo della morte che diventa realtà quando qualcosa si spezza.
Ecco che entra in scena il maligno, con un "gauge" ("unità di misura") ovvero il tempo, che misura e nello stesso tempo consuma le nostre ore, fino a lasciarci un ultimo istante che si accascia inerme fra i suoi artigli prepotenti. Davanti a lui non abbiamo difesa, nemmeno un "sinew" (nervo, ma anche forza, vigore, muscolo), pur stimolato che sia, riesce ad opporsi. Solo Dio, se ci fa il piacere di ricordarsi qualche volta del polverume che ha creato, può sconfiggere il Demonio.
Ma non quello che segue. La sentenza immutabile, eterna, il raggelamento della morte, l'abbandonare la vita (la lussuosa segreta del dubbio - qui c'è la contrapposizione fra il sostantivo "Dungeon" - "carcere sotterraneo, segreta" e l'aggettivo "luxury", che crea un corto circuito sulla parola "dubbio", alfa-segreta - e omega-lusso - della vita), il velo che copre, oscura, cuce gli occhi. Non possiamo più vedere, ma riusciamo a sentire, lontana, la voce di una creatura (qualsiasi essa sia - probabilmente noi stessi) che chiede una tregua, un protrarsi. Ma ci conviene questa tregua? È meglio l'angoscia del vivere o l'angoscia di morire? Ovvero: il protrarsi del vivere non sarà forse un protrarsi dell'angoscia, che solo la morte può sconfiggere?
Nella prima e seconda strofa, e poi analogamente nella terza e quarta, ho usato prima il congiuntivo passato e poi il passato remoto, per dare l'idea di un'azione/causa che si protrae nel tempo (per questo ho tradotto "kept" con "continuasse") e di una reazione/effetto còlta invece nel suo accadere in un momento preciso. Il Maelstrom continua a vorticare, e tutti via via, ma ciascuno in un momento preciso, arrivano all'estremo orlo della propria esistenza. Il tempo continua a misurare i nostri istanti, finché arriva, per ciascuno di noi, l'ultimo. Insomma, in breve, l'incommensurabile e metafisico "continuum" universale, che diventa poi il concreto e misurabile istante individuale.

 

J815-F819

The Luxury to apprehend
The Luxury 'twould be
To look at Thee a single time
An Epicure of Me

In whatsoever Presence makes
Till for a further Food
I scarcely recollect to starve
So first am I supplied -

The Luxury to meditate
The Luxury it was
To banquet on thy Countenance
A Sumptuousness bestows

On plainer Days, whose Table far
As Certainty can see
Is laden with a single Crumb
The Consciousness of Thee.

    Il Lusso di concepire
Il Lusso che sarebbe
Guardarti un'unica volta
Un'Epicurea di Me

In Presenza di chiunque fa
Fino a che d'altro Cibo
A malapena rammento di aver fame
Tanto il primo m'ha saziata -

Il Lusso di meditare
Il Lusso che fu
Banchettare sul tuo Volto
Una Sontuosità conferisce

Ai più comuni Giorni, la cui Tavola per
Quanto la Certezza possa vedere
È riempita da un'unica Briciola
La Consapevolezza di Te.

Uno sguardo all'amato, anche un solo sguardo, trasformerebbe chi ama in un'epicureo, dimentico di qualsiasi altro cibo all'infuori di quello. E anche dopo quello sguardo, la semplice consapevolezza del ricordo di essersi cibata di quel volto riesce comunque a colmare totalmente la tavola di tutti i giorni.
Il "Luxury" usato nei due versi iniziali della prima e terza strofa ha il senso di godimento, estremo piacere, che in questo caso, anche per assonanza fonica, può essere reso bene con "lusso".

 

J1125-F1186

Oh Sumptuous moment
Slower go
That I may gloat on thee -
'Twill never be the same to starve
Now I abundance see -
Which was to famish, then or now -
The difference of Day
Ask him unto the Gallows led -
With morning in the sky
    Oh Sontuoso istante
Rallenta
Ch'io possa cibarmi di te -
Non sarà più lo stesso aver fame
Ora che l'abbondanza vedo -
Cosa sia morir di fame, dopo o adesso -
La diversità del Giorno
Chiedi a chi al Patibolo è condotto -
Col mattino in cielo

Un istante di felicità, di appagamento, ci lascia poi un senso di vuoto, come chi è affamato e vede davanti a sé una tavola imbandita dalla quale non può prendere che una briciola. Quale differenza ci sia fra il morire prima o dopo questa sia pur fuggevole visione, in cosa è diverso il luminoso giorno dall'oscura notte, può dirlo soltanto chi si avvia al patibolo mentre il cielo si illumina degli splendenti colori della vita.
Al verso 3 "gloat" significa "guardare, fissare, con intenso desiderio o ammirazione". Credo che "cibarmi" possa rendere l'idea del desiderio di appropriarsi, anche se per poco, del "sontuoso istante", anche in relazione alle metafore successive, legate alla fame (to starve, to famish).

 

J1626-F1594

Pompless no Life can pass away -
The lowliest career
To the same Pageant wends it's way
As that exalted here -

How cordial is the mystery!
The hospitable Pall
A "this way" beckons spaciously -
A Miracle for all!

    Senza sfarzo nessuna Vita può sparire -
La carriera più modesta
Verso lo stesso Spettacolo muove i tuoi passi
Di quella esaltata qui -

Com'è cordiale il mistero!
L'ospitale Sudario
Un "da questa parte" accenna con larghezza -
Un Miracolo per tutti!

La cerimonia funebre è l'ultimo e inevitabile sfarzo che conclude ogni vita, la più modesta come quella che ha avuto gli onori della fama. Entrambe saranno protagoniste di uno spettacolo che le avvia verso un mistero che si ammanta di cordialità, come se il sudario c'invitasse benevolo verso la sicurezza di un miracolo riservato a tutti.
L'ultimo verso è tipicamente dickinsoniano: una sorta di grido da imbonitore che la dice lunga su quel miracolo promesso.

 


Le poesie di Emily Dickinson non hanno un titolo, a parte rarissime eccezioni. I numeri che le precedono si riferiscono alla numerazione attribuita nelle due edizioni critiche, curate rispettivamente da Thomas H. Johnson nel 1955 ("J") e da R. W. Franklin nel 1998 ("F").


ierolli@hotmail.com
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