FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 26
aprile/giugno 2012

Botteghe

 

LA BOTTEGA DELLA SCRITTURA

di Giuseppe Ierolli



Ogni volta che ho cominciato un nuovo libro, ho sempre preparato un diario, diviso in settimane, e ho preso appunti per tutto il periodo che mi sono concesso per completare il lavoro. Vi ho annotato, giorno dopo giorno, il numero delle pagine scritte [...] Mediamente è stato di circa 40. Andava da un minimo di 20 a un massimo di 112. E poiché il termine pagina è ambiguo, quelle che scrivevo io contenevano 250 parole; e poiché le parole, se non vengono controllate, tendono ad aumentare disordinatamente, mentre procedevo con il lavoro le contavo tutte. [...] Mi è stato detto che un uomo di genio non prende in considerazione sistemi del genere. Non ho mai pensato di essere un uomo di genio, ma se lo fossi stato credo che mi sarei potuto assoggettare lo stesso a queste pastoie.
(Anthony Trollope, Un'autobiografia, trad. di Antonio Manserra, Sellerio, Palermo, 2008, pagg. 137-138)


Così Trollope descrive il suo metodo di scrittura, con una concezione, che viene comunemente chiamata "artigianale", confermata subito dopo:


... c'è chi crede che l'uomo che lavora con la propria immaginazione debba concedersi di aspettare finché l'ispirazione non lo sproni. Quando ho sentito predicare questa dottrina, a stento sono riuscito a frenare il mio disdegno. Per me non sarebbe più assurdo se il calzolaio dovesse attendere l'ispirazione, o il fabbricante di candele il divino momento della fusione.
(pag. 139)


La questione della prevalenza del mestiere o dell'ispirazione nella creazione artistica è una di quelle che si trascinano da sempre e che non possono avere una risposta univoca. Trollope, nel dare la sua risposta personale, è probabilmente anche stato influenzato dagli umori della sua epoca, come scrive Francesco Marroni nella nota che chiude il libro: "Per lo scrittore non si trattava semplicemente di spiegare alla società vittoriana che la sua popolarità era il risultato di una grande dedizione e di un grande impegno...", ma l'estrema puntigliosità nella descrizione del suo metodo di lavoro, e la probabile pignoleria nel rispettare le regole che si era imposto, sono una testimonianza interessante, e di prima mano, dell'indiscutibile prevalenza, nel suo caso, del "mestiere", ovviamente accompagnato da un talento che nessuna regola può donare.

C'è anche una seconda questione, in un certo senso legata alla prima, che Trollope tratta con molta decisione: quella dei soldi:


... agli scrittori viene detto che non dovrebbero badare alla ricompensa del loro lavoro, ma essere contenti di dedicare le loro menti disinteressate al benessere dei lettori. Le menti disinteressate non serviranno mai molto ai lettori. Si portino via i diritti d'autore agli scrittori inglesi, e vedrete che ben presto avrete eliminato anche gli scrittori dell'Inghilterra. [...] Naturalmente ho sempre tenuto in considerazione anche il fascino della fama. Al di là e oltre la questione dei soldi, sin dall'inizio desideravo essere qualcosa di più che un impiegato delle Poste. [...] Ma confesso che il mio primo scopo nel dedicarmi alla letteratura come professione era lo stesso dell'avvocato quando va in tribunale e del panettiere quando prepara il forno. Volevo procurarmi un reddito con cui poter vivere agiatamente insieme alla mia famiglia.
(pagg. 126-127)


Sono parole che fanno riflettere, in particolare quando si sente parlare, in ambito letterario ma non solo, di scrittori o editori che ormai guardano solo al profitto (facendo intendere che "prima non era così"); Trollope scrisse la sua autobiografia nel 1875, ma anche sessant'anni prima si poteva leggere qualcosa di simile, in alcune lettere di una scrittrice sicuramente più famosa, adesso, di lui: Jane Austen, che forse non era altrettanto metodica, ma, parlando di soldi, scrisse:


Walter Scott non ha il diritto di scrivere romanzi, specialmente belli. - Non è giusto. - Ha abbastanza Fama e Profitti come Poeta, e non dovrebbe togliere il pane di bocca agli altri.
(lettera del 28 settembre 1814 alla nipote Anna Austen)

Sarai lieta di sapere che la prima edizione di Mansfield Park è esaurita. - Tuo Zio Henry vorrebbe che andassi a Londra, per mettere a punto una 2a edizione - ma dato che questo non è un momento adatto per andarmene da casa, gli ho fatto sapere ciò che vorrei fosse fatto, e a meno che non insista ancora, non andrò. - Sono molto avida e voglio ricavarci il più possibile; - ma dato che tu sei così al di sopra dei problemi di soldi, non ti annoierò con i particolari.
(lettera del 18 novembre 1814 alla nipote Fanny Knight)

La gente è più propensa a prendere in prestito ed elogiare, che a comprare - cosa che non mi meraviglia; - ma anche se mi piacciono gli elogi come a tutti, mi piace anche quello che Edward chiama la Grana.
(lettera del 30 novembre 1814 alla nipote Fanny Knight)


Per dirla in altre parole, va bene la gloria e la fama, va bene la purezza e l'inviolabilità dell'ispirazione, ma un po' di grana non fa mai male.


ierolli@hotmail.com