Ricordo le botteghe dove acquistavo la musica, prima che inventassero gli mp3, prima che i CD si potessero ordinare via internet. Ricordo, insomma, i negozi di dischi.
Ricordo i piccoli negozi di dischi che si trovavano nello stesso quartiere dove abitavo quando ero ragazzino. Il negozio gestito da una signora che era stata vicina di casa di mio padre quando entrambi erano bambini (con quanta sorpresa si erano riconosciuti, a distanza di decenni, quella volta che mio padre mi accompagnò lì per comprare chissà quale musicassetta). E l’altro, a pochi isolati dalla mia scuola elementare, dove entrai con un mio compagno di classe per comprare un 45 giri da portare in regalo a una festa di compleanno. Ricordo che il mio amico disse al proprietario: noi il disco lo compriamo, ma prima lei ci deve assicurare che la puntina non salti. E il proprietario, senza scomporsi, estrasse il vinile dalla copertina, lo appoggiò sul piatto del suo giradischi e ci fece ascoltare tutto il disco, lato A e lato B.
Ricordo che nei negozi più forniti i dischi in vinile erano disposti in grandi raccoglitori. Ma di ogni disco c’era solo la copertina (per evitare furti, mi spiegarono). Quando volevi comprare un disco prendevi la copertina e la portavi alla cassa. Il commesso scompariva nel magazzino e ne riemergeva dopo aver imbottito la copertina con il vinile corrispondente. L’idea di quell’antro inaccessibile, dove vinili senza copertina erano allineati in quantità, mi provocava al tempo stesso inquietudine e desiderio. I CD, invece, quando cominciarono a esserci i CD, erano custoditi dentro teche appese al muro, sfogliabili come le grandi pagine di un libro di plastica. Le teche erano chiuse a chiave e quando volevi comprare un CD dovevi chiamare il commesso alla cassa, indicare il CD che intendevi acquistare, farti aprire la teca, prelevare la custodia, pagare e finalmente uscire dal negozio con il tesoro tra le mani.
Per i vinili come per i CD la domanda che mi ponevo, prima di comprarli, era sempre la stessa: «Dentro ci saranno i testi delle canzoni?». Quando ero ragazzino mi sembrava di fondamentale importanza sapere cosa dicessero esattamente le canzoni che mi piacevano (ricordo che i miei amici non capivano questa mia fissazione). Adesso che sono grande la musica mi sembra più importante delle eventuali parole cantate.
Ricordo il settore dischi della libreria Rinascita, che prima si trovava nel seminterrato e poi divenne un negozio a se stante. Mi piaceva di più la prima posizione. Mi piaceva scendere le scale e immergermi, a volte anche per ore, tra quegli scaffali pieni di dischi e CD.
Ricordo Revolver, altro mitico negozio di dischi della capitale, meta di tantissimi pomeriggi. La musica sempre ad alto volume all’interno, le ore passate a scartabellare copertine con un punk alla destra e un metallaro alla sinistra, tutti in fila come polli in batteria cercando il disco che assolutamente non poteva mancare nelle nostre personali collezioni. Ricordo che i proprietari del negozio a un certo punto si separarono. Uno di loro “spostò” Revolver in un altro quartiere, un altro aprì un nuovo negozio, Pink Moon, che si sviluppava più in altezza che in larghezza. Ricordo che alcuni anni fa mi capitò di vedere in TV uno dei proprietari di Revolver che partecipava come concorrente a un noto quiz musicale, uno di quei giochi in cui bisogna indovinare il titolo della canzone ascoltandone solo pochi secondi. «È il gioco perfetto per un proprietario di un negozio di dischi», ho pensato.
Ma più di tutti ricordo Disfunzioni Musicali, parnaso dei negozi di dischi di Roma, un negozio enorme nel quartiere San Lorenzo. Arrivare lì da casa mia era un viaggio. Poi, quando ho cominciato a frequentare l’università, diventò improvvisamente vicino. Molto spesso, tra una lezione e l’altra ne approfittavo per infilarmi lì dentro tra la gioia di poter rovistare tra tutti quei dischi e il dolore di non avere mai abbastanza soldi per comprare tutto quello che avrei voluto.
Che le abitudini cambino, mi sembra normale. Altrettanto normale mi sembra che io oggi preferisca navigare tra un sito di vendite on line (con la certezza di trovare pressoché tutto quello che cerco) anziché uscire di casa, parcheggiare, impiegare tempo in un negozio, scegliendo tra un’offerta che non può che essere limitata. Non voglio entrare nel dibattito tra nostalgici e sostenitori del web. Almeno in una cosa, però, i vecchi negozi di dischi erano migliori degli attuali negozi on line. E per quanto possa sembrare paradossale, questo punto di forza era costituito da un loro difetto.
Per ovvi motivi, anche il più fornito negozio di dischi non poteva avere tutto. Ciò faceva sì che, spesso, io uscissi di casa con l’intenzione di comprare un disco ben preciso e poi, una volta arrivato in negozio, scoprivo tristemente che non l’avevano. C’erano due possibilità: tornare a casa a mani vuote (eresia) oppure comprare qualcos’altro. A volte, questo “qualcos’altro” era qualcosa di totalmente non preventivato. Spesso ripiegavo su un artista o un album di cui sapevo poco o nulla. Come è facile supporre, molta bella musica l’ho scoperta per caso, così.
federico.platania@samuelbeckett.it
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