FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 25
gennaio/marzo 2012

Grumi & Nodi

 

NODI ED ALTRE INTERRUZIONI
Sulla poesia di Sally Read

di Loredana Magazzeni e Andrea Sirotti




REMEDY

I flick the phial with my nail,
hold the suspension to light.
There’s a tremble in my fingers
as I sheath the needle in amber:
a long delicate proboscis, blunting
its tip on the glass.

You’re spellbound, as always,
by the voice in your head,
but today your eyes grasp nothing.
Or something so mighty it could be
an express train forcing
you over:

your boyfriend, the man who gave you
ten cigarettes for sex in the ladies,
knocked you back. You lie on your bed,
pull down grey knickers. I empty
my head (almost close my eyes):
a fist is needed, a stab,

no bruising prevarication.
I plunge the needle into your arse.
A crunch of striated muscle
(you whimper), but I force
the inch of thick oil into flesh.
It sits in a solid mass

so I massage it in, like kneading
yeast into bread, working drink
into a sick kid – sometimes
it dribbles back out, then bleeds.
Now you are collapsed
as a street accident,

eyes swept blank as water.
With the same hand I brush hair
from your face. Half-crushed
you’re still twitching,
silently mouthing
a name.


RIMEDIO

Picchietto la fiala con l’unghia,
sollevo la soluzione alla luce.
C’è un tremito nelle mie dita
mentre infilo l’ago nell’ambra:
una lunga, delicata proboscide, che smussa
la punta sul vetro.

Sei incantata, come sempre,
dalla voce nella tua testa,
ma oggi i tuoi occhi non afferrano nulla.
O a qualcosa di così potente come
un treno rapido che ti trascina
lontano:

il tuo ragazzo, l’uomo che ti ha dato
dieci sigarette per fare sesso nel bagno,
ti ha mollato. Sei stesa nel letto,
hai tolto le mutandine grigie. Sgombro
la mia mente (quasi chiudo gli occhi):
ci vuole mano ferma, un colpo secco,

se esito ti faccio un livido.
Ficco l’ago nella natica.
Il muscolo striato si contrae
(ti lamenti), ma io spingo
il centimetro d’olio denso nella carne.
Si raggruma in un bozzo solido

allora lo massaggio, come impastare
lievito nel pane, o convincere
un bimbo malato a bere – talvolta
ne cola un po’ fuori, poi sanguina.
Ora sei crollata
come un incidente stradale,

gli occhi vacui come acqua.
Con la stessa mano ti ravvio i capelli
dal viso. Mezza ammazzata
hai ancora degli spasmi,
e, in silenzio, articoli
un nome.

(The Point of Splitting)


BROKEN SLEEP

I wake to a residue of milk
playing in your throat.
Through the window starlings
coagulate in the no-colour dawn,

each bird distinct, but utterly
in thrall to formations of twist,
kite, looming bee-swarm.
You single cry’s answered

by a parched breaking in my chest
and a laboured rush
of hot liquid. As I lift you
from your crib, still balled up

and loaded with sleep, I know
soon you’ll uncurl, walk away
to a point I can’t hear you.
The birds rise together as though

on a up-draught. I spread
your outstretched fingers
on the back of my hand as you
work away at one breast –

ears pulling in time, toes curling;
your whole body drinking –
and lost milk from my other breast
grows cold as rain on my nightdress.


SONNO INTERROTTO

Mi sveglio per un rigurgito di latte
che ti gioca in gola.
Attraverso la finestra gli storni
si coagulano nell’alba senza colore,

ogni uccello distinto, ma del tutto
sottomesso alle formazioni di virata,
di aquilone, di sciame minaccioso.
Al tuo unico strillo risponde

una secca screpolatura del mio petto
e un sofferto precipitare
di liquido bollente. Mentre ti sollevo
dalla culla, ancora raggomitolata

e carica di sonno, so che
presto ti sdipanerai, e andrai via
finché non potrò udirti.
Gli uccelli salgono assieme come

su una corrente d’aria. Io stendo
le tue dita allargate
sul dorso della mano mentre tu
ti attacchi a un seno –

le orecchie si muovono a tempo, i piedini s’arricciano;
bevi con tutto il corpo –
e il latte perso dall’altro seno
si raffredda come pioggia sulla veste.

(Broken Sleep)


THE SQUANDERING

The orchard isn’t ours, though our new house is in it,
and from the back window I watch oranges come:
green, smelling of nothing. The chilled unsheathing
of the absolutely new. Sometimes, walking home,
I weigh one in my hand. A hardness of many layers,
no bone. The peel a vague mosaic of lime, straw,
coral – it makes the head hurt, trying to decide.
Then, the slow fire to palest lemon, lemon-orange,
and, in days, a fresh sharpness. Virgin essence
that takes away breath. Then branches candle
with unbitten colour and the mouth waters
painfully for liquid inside. Then, trees overladen,
they thud on the turf: surplus, like angels arranged
at its feet. But these short days I witness them
melt: oranges moulding their shapes to the earth, thin
membranes barely containing. How can I tell you
this delicate craving for something to happen?
Our hours are intact, ordered, well-fed, the garden
full of uncashed promises. But our quiet nights
keep me watching – a smatter of town lights
petering so soundlessly they seem to close in me
as each is spent.


LO SPRECO

Il frutteto non è nostro, anche se dentro c’è la nuova casa,
e dalla finestra sul retro vedo spuntare le arance:
verdi, senza profumo. Il fresco svelarsi
dell’assolutamente nuovo. A volte, tornando a casa,
ne soppeso una nella mano. Una durezza dai tanti strati,
senza nocciolo. La buccia un mosaico indeciso verde, paglia,
corallo – da mal di testa, se vuoi decidere.
Poi, la lenta fiamma a un pallidissimo giallolimone, limone-arancio,
e, giorni dopo, una fresca acerbità. Essenza vergine
che toglie il respiro. Poi rami protesi
con colori non morsi e la bocca che dolorosamente
stilla per aver dentro il liquido. Poi, gli alberi sovraccarichi,
tonfano sulle zolle: traboccano, come angeli inginocchiati
ai loro piedi. Ma in questi giorni brevi in cui li osservo
si sciolgono: pomi che impastano le loro forme alla terra, fini
membrane che li contengono appena. Come posso dirti
questo desiderio delicato che qualcosa accada?
Le nostre ore restano intatte, ordinate, sazie, il giardino
pieno di promesse non riscosse. Ma le nostre notti quiete
mi fanno vigile – una spolverata di luci di città
che si smorzano senza suono al punto che le sento
chiudersi in me, una dopo l’altra.

(The Point of Splitting)


BACKLASH

Five years on, I’m reading Carver.
The early tube is packed.
People shut-eyed as if
meditation kept this metal beast
rolling.
                    Like you, Carver knew
he was dying. It’s all there in
the quickly disintegrating roses,
sailboats at night.
                    Five years on
and it hits as it always does –
like a boat that’s smooth
and quiet till the deep swell
that carries it so seamlessly
                    slaps back.


CONTRACCOLPO

Dopo cinque anni, leggo Carver.
Il metrò del mattino è pieno zeppo.
Gente con gli occhi chiusi come se
fosse la meditazione a far scorrere
questa bestia metallica.
                   Come te, Carver sapeva
di stare morendo. È tutto lì, nelle
rose che rapide si sfogliano,
barche a vela nella notte.
                   Dopo cinque anni
e questo accade come accade sempre –
come una barca che va liscia
e quieta finché l’alta marea
che la trasporta così senza sforzo
                   le restituisce lo schiaffo.

(The Point of Splitting)


TODDLER

tonight you’re asleep before I can
get your nightie on, your head on my arm,
your half-nude body draped across
my lap. Your thighs are bloomers,
luxurious segments tapering
to round, capable calves, and hanging,
unshod feet, and so still,
                                      but hissing
life in their very heat and weight,
that I think of new-shot phaesant
in the gentle mouths of dogs –
the autumnal, plump silkiness
of throat and chest feathers; the busy
brush and fretwork of red, petrol,
brown, that seem liquid, on
the brink of running. The collapsible
machinery of flight held heavy
in the eye.


BAMBINA PICCOLA

Stasera t’addormenti prima che possa
infilarti il pigiamino, la testa sul mio braccio,
il corpo mezzo nudo che mi drappeggia il
grembo. Le cosce sono piene,
pezzi sontuosi rastremati
agli estremi, polpacci capaci, e penduli
piedini senza scarpe, e così fermi,
                                      che soffiano
vita nel loro pieno calore e peso,
che io penso al fagiano appena ucciso
nelle fauci gentili dei cani –
l’autunnale, morbida sericità
delle piume della gola e del petto; l’indaffarato
spazzolare e traforare del rosso, benzina,
marrone, che sembra liquido, sul
punto di colare. La cedevole
meccanica del volo che si fissa pesante
nell’occhio.

(Broken Sleep)


PROGNOSIS

My stockings are spilt
round my knees, on my thighs blood is staunched

in brown geographical lines.

As you sleep, a playground scar
distorts your left eye with rage,

an army tattoo is a muzz of some other girl

in toxins under your skin.
I still feel you clutching my face as if you were blind.

Wide-eyed I shadow
the fridge’s drone,

the unremarked give of 4am rain,

register the deep-sleep ebb of your grasp.
By 7, slick crimson gallops from me into the loo

adrenaline sifts through me like sand.

I’ve learnt there’s no slowing you
as you pocket cigarettes,

expertly bin the red-streaked condom.
Your expression receding from me swiftly,

till you’re remote and dry as watercolour.


PROGNOSI

Le calze arrotolate
alle ginocchia, sulle cosce il sangue è rappreso

in oscure linee geografiche.

Mentre dormi, la ferita di un parco giochi
rende truce il tuo occhio sinistro,

un tatuaggio dell’esercito è la traccia di un’altra ragazza

in tossine sotto la pelle.
Ti sento ancora che mi afferri il viso come un cieco.

Con gli occhi sbarrati pedino
il ronzio del frigorifero,

la resa inavvertita della pioggia alle quattro del mattino,

registro il riflusso da sonno profondo della tua stretta.
Alle sette, un rosso lucente galoppa da me alla toilette.

l’adrenalina passa come sabbia dal setaccio del mio corpo.

Ho imparato che niente t’impaccia
mentre riponi le sigarette,

e fai sparire abilmente il preservativo striato di rosso.
La tua espressione si ritrae da me veloce,

finché sei remoto e secco come un acquerello.

(The Point of Splitting)


AFTER THE BLOOD TEST

she walks to the harbour, where turquoise
and green fishnet lie piled, all
with the cloudy weightlessness of white
hair. Each morning the fishermen sort
them, glasses at the nose’s tip,
as a seamstress might shuffle fabric,
or a butcher garner the rebellious guts
of a cow. They stand in threes and fours
in the steady sunshine, all watching
their hands, the heaped nets.
The boats are tethered, slick
from the dawn trip, on the brink
of the cables’ clank, the tub-thump
of static collision. She watches them
in the arch discomfort of having
her blood’s casket opened, her blackest
secrets sprung. Who doesn’t conceal
some rank asymmetry? Adrenaline
shoots from her stomach to fingertips.
She sits very still, as for a photograph.
The fishermen don’t see her; they’re looking
for rents (though this fine nylon’s so strong
it wouldn’t rip; so invisible the fish
must ooze in with the current of light).
Or just untangling, preparing
for the saturated bloom, to open
like a parachute under the water.


DOPO L’ESAME DEL SANGUE

lei cammina verso il porto, dove reti
verdi e turchesi sono ammucchiate, tutte
con la vaporosa leggerezza dei capelli
bianchi. Ogni mattina i pescatori le
sistemano, con gli occhiali sulla punta del naso
come farebbe una sarta col tessuto,
o un macellaio che doma gli intestini ribelli
di una mucca. Stanno a gruppi di tre, quattro
nel sole costante, guardandosi
le mani, le reti accatastate.
Le barche sono legate, ancora lucide
per l’uscita all’alba, sull’orlo
dello sferragliare dei cavi, il martellare
della collisione statica. Lei li guarda
col piccolo disagio d’avere
svelato lo scrigno del sangue, i suoi più neri
segreti rivelati. Chi non nasconde
qualche scompenso innominabile? L’adrenalina
schizza dallo stomaco alla punta delle dita.
Siede immobile, come per una fotografia.
I pescatori non la notano; stanno cercando
gli strappi (sebbene questo bel nylon sia così
robusto da non lacerarsi; così invisibili i pesci
possono fluire nella corrente della luce).
O solo stanno sbrogliando, preparando
la piena fioritura, da aprire
come un paracadute sott’acqua.

(Broken Sleep)


THE WAITING

You quietened when they held your face to mine,
as though you’d entered a house, out of the wind.
Your scrunched eyes waxed to black,
did the telescopic slide as you took me in.
My arms were dead so it was left to them
to rub your cheek to mine, and back again.
Then they took you away to scream.
Two hours of waiting. They tugged up the skin
of my legs to mend the rent you made;

wheeled me to a room on my own, my thoughts
lobbed off by morphine, my body half-gone.
I want you to know I was an amnesiac
in those hours. My old life was yesterday’s
clothes: ill-fitting, redundant with blood.
My sappy nerves revved under the weight
of dead legs, but there was no beginning.
I waited without expectations or any way out,
as though I waited for my own name.


L’ATTESA

Ti sei calmata quando ti hanno tenuto il viso contro il mio,
come se fossi entrata in casa, al riparo dal vento.
Le tue pupille si inceravano di nero,
mi misero a fuoco come telescopi mentre mi guardavi.
Le mie braccia erano addormentate così fu compito loro
strofinare più volte la tua guancia con la mia.
Poi ti portarono fuori a strillare.
Due ore di attesa. Mi tirarono su la pelle
delle gambe per riparare lo strappo che avevi fatto;

mi spinsero in una stanza da sola, i miei pensieri
mozzati dalla morfina, il corpo mezzo andato.
Voglio che tu sappia che ero senza memoria
in quelle ore. La mia vecchia vita come abiti
di ieri: fuori taglia, consumati di sangue.
I miei nervi vigorosi imballati sotto il peso
di gambe addormentate, ma non c’era avvio.
Aspettavo senza speranze o vie d’uscita,
come se stessi aspettando il mio nome.

(Broken Sleep)


AFTER THE FACT

The sails hang, spent as an emptied gut;
the boom knocks, drunkenly.
Our ears are brim with wind,
its grit dug in our pores,

but the black water is flat now,
carries disjointed conversations
from the shore, and a silence,
like the rope, dead in our hands.


DOPO IL FATTO

Le vele pendono, stremate come un addome svuotato;
bussa il rimbombo, ebbro.
Le orecchie traboccano di vento,
la sua polvere fin dentro i nostri pori,

ma l’acqua scura è calma ora,
porta brandelli di conversazione
dalla riva, e un silenzio,
come la corda, senza vita nelle nostre mani.

(The Point of Splitting)


HOTEL HESPERIA, VENICE
(September, 2001)

Rain hammers the canals,
the shutters are breached.
Behind glass, muslin, it’s night at 3pm,
thunder discharging, discharging
as if it could never empty itself.
Our pale faces, teeth, are lucid
in the dark. Mouths collide,
feed rhythmically,
fall apart; babies grasping
in scattergun surges of need.
The future is clean of prediction,
rain a maelstrom sealing off exits.
Above us, a swansong
of a chandelier: slim reflections
of glass wings, shot petals,
counterpoised
with cherubims’ posies.
It gives in the draught
with the strength, suspension
of a wire fine bridge.
Exhausted, we continue searching
each other with murmurs,
oblivious of any duration.
I follow your eyes tracing
the delicate architecture of glass;
if this room were razed in the storm
they’d find nothing but this,
unshattered, angular, in the rubble.


HOTEL HESPERIA, VENEZIA
(Settembre, 2001)

La pioggia martella i canali,
le persiane sono spaccate.
Dietro il vetro, la mussola, è notte alle 3 del pomeriggio,
e il tuono scarica, scarica
come se non riuscisse mai a svuotarsi.
I nostri volti pallidi, i denti, brillano
nel buio. Le bocche collidono,
si nutrono ritmicamente,
crollano; bambini che s’afferrano
in ondose raffiche di necessità.
Il futuro è senza previsioni,
la pioggia un maestrale che sbarra le uscite.
Sopra di noi, un canto del cigno
di lampadario: esili riflessi
di ali di vetro, petali spampanati,
bilanciati
da bouquet dei cherubini.
Cede alla corrente
con la forza, la sospensione
di un fine ponte di filo.
Esausti, continuiamo
a cercarci in sussurri,
immemori di ogni durata.
Seguo i tuoi occhi che investigano
la delicata architettura di vetro;
se questa stanza fosse rasa al suolo dalla tempesta
non troverebbero nient’altro che questo,
intatto, puntuto, nelle macerie.

(The Point of Splitting)





INTERVISTA A SALLY READ
I corpi, le voci, le parole come nodi di senso


Nella tua poetica l’attenzione spesso si addensa attorno a punti cruciali, nuclei dell’esistenza (erotismo, gravidanza, malattia, morte, infanzia) che ruotano attorno a un “punto di rottura” (The Point of Splitting è, infatti, il titolo del tuo primo libro di poesia, edito da Bloodaxe). Cosa ti trattiene al di qua del punto di rottura? È in questa tensione che si traduce la poesia?

Mi interessa molto il nostro comportamento quando perdiamo il controllo - in amore, nel sesso, nella malattia, nell’intimità, nella violenza. Scopriamo molto della condizione umana in queste situazioni e quanto siamo ‘carne’, quanto anima. Oltre, c’è una tensione in questi ‘punti’ che è drammatica, cioè qualcosa si trasforma, qualcosa cambia o si rompe. Per me è importante che una poesia contenga movimento, che non sia statica. Per esempio, c’è una poesia in The Point of Splitting che descrive l’iniezione che l’infermiera fa a una ragazza schizofrenica. Volevo parlare della paura dell’infermiera, della tensione e della forza che ci vogliono per fare questa tipo di puntura (intramuscolare) ma anche della tenerezza che esiste dopo l’evento, quando l’infermiera diventa più materna. Questi ‘nodi’ coinvolgono sempre un paradosso - tenerezza con violenza o, nel caso della poesia “Instruction”, che parla del trattamento di un corpo morto, immobilità e movimento, cioè la vita che esce pian piano da un corpo immobile, l’anima che vola. Ogni poesia ha questo movimento - possiamo vederlo anche nei sonetti dove c’è una tesi, un'antitesi e una conclusione. Ogni poesia, come ogni storia, esiste nel conflitto e nella risoluzione del conflitto. Forse nella mia poesia questo conflitto è più fisico.

I corpi nella tua poesia sono spesso presenti come “handful of bones”: corpi malati o abbandonati o che ricadono nella rigidità della morte, ma anche corpi che salutano la vita nell’amore o nella gravidanza. Quanto il corpo ha casa nella tua poesia?

Molto! Per me TS Eliot vedeva il “correlativo oggettivo” nel corpo. Personalmente sento ogni emozione e pensiero nel mio corpo - una specie di somatizzazione. Credo che il corpo, la mente e l’anima siano molto legati. Spesso uso il corpo come punto di riferimento nella stessa maniera in cui i ‘Romantici’ inglesi usavano il tempo, cioè un’emozione o una situazione che hanno per risultato un effetto fisico. Per esempio, la poesia “Seduction” descrive sentimenti complessi con sensazioni corporee: “a lizard of sweat darted between her shoulders oblivious - una lucertola di sudore le sfrecciò improvvisa tra le spalle, ignara”.
Nello stesso modo, la malinconia del pensare che la propria figlia dovrà per forza lasciare la mamma un giorno viene mostrata con l’immagine del latte che è scappato dal seno e “grows cold as rain on my nightdress. - diventa freddo come pioggia sulla mia camicia da notte” Come persona e come scrittrice devo usare tutti i sensi per fare esperienza: gusto, tatto, vista, udito e olfatto. Da quando ero molto più giovane noto che in una poesia manca qualcosa se manca un senso; ogni poesia si esprime attraverso un senso più importante, e spesso è importante usarli tutti, i sensi.

Sei stata definita una poeta capace di “sophistication and control”: condividi questa definizione che vuole la tua misura poetica nel controllo della violenza delle emozioni?

L’uso del ‘controllo’ è più importante quando una scrittrice scrive di emozioni forti. Altrimenti rischiamo di perdere significati, dettagli, ragioni… E come un attore usa la sua voce nelle scene emozionanti - non è quasi mai consigliabile gridare, perché si perde il senso e le cadenze. La poesia è una forma di controllo. Non abbiamo lo spazio della narrativa; ogni parola costa. Ted Hughes ha scritto che le parole si uccidono l’un l’altra, si soffocano. Quindi la scelta della parola ha molta importanza, c’è molto lavoro da fare. È sempre meglio usare una parola, non due; un’immagine, non due. Certo, ci sono eccezioni (Wallace Stevens, per esempio, usava tante immagini di buon effetto) ma io devo fare attenzione alla forza di ogni parola per darle ossigeno.

Nel tuo secondo libro, Broken Sleep, le poesie della prima parte sono dedicate alla relazione con la figlia, dal primo istante del concepimento allo svezzamento e, assieme al tema della relazione madre/figlia, si sviluppa il tema della lingua materna che le consegni: come hai vissuto il passaggio verso la lingua del paese dove ora vivi, l’Italia?

Con difficoltà! Parlo in inglese, scrivo in inglese, leggo in inglese, penso e sogno in inglese. Sono innamorata della lingua inglese e non ho realizzato tutto quello che vorrei scrivere in questa lingua. All’inizio qui in Italia non capivo niente e mi veniva mal di testa e (addirittura) male agli occhi durante le lunghe cene con i miei suoceri italiani che non parlano una parola di inglese. Adesso mia figlia va a scuola e sto spesso con le altre mamme italiane, quindi sono più sciolta! Mi rendo conto anche che i ritmi della lingua italiana hanno penetrato il mio modo di esprimermi. Non sono esperta, ovviamente, ma ho notato grandi differenze tra la lingua quotidiana italiana e la lingua quotidiana inglese. Come ho già detto, per noi in inglese l’uso di meno parole è preferibile, e non solo in poesia. Mi sembra che qui in Italia ci sia un apprezzamento per l’uso di tante parole belle, anche nella conversazione al bar. Per noi, in inglese c’è anche la validità di ogni parola. Diciamo “Tu hai la mia parola” quando facciamo una promessa. Non diciamo mai “Ti odio”, se non è vero. Io ho notato che qui in Italia queste parole vengono usate con più scioltezza, ma sono dimenticate in fretta. Queste sono generalizzazioni, ovviamente, ma cerco di dimostrare che non è semplice sostituire una lingua con un’altra. C’è una psicologia all’interno di ogni lingua.

Qual è per te la lingua dell’esperienza e quella del desiderio? Possono convivere nella poesia?

L’inglese rimane la lingua della memoria e anche del futuro. Però è anche vero che la conoscenza di un'altra lingua è sempre utile, ingrandisce sempre la comprensione della mia lingua e anche il mio lessico. E devo dire che non posso prevedere il futuro - è sempre possibile che ad un certo punto io cominci a scrivere in italiano. Ma vorrei avere scioltezza e intimità con la lingua molto meglio di adesso, prima di usarla per le poesie. La situazione a oggi è che penso ancora in un modo molto inglese. La lingua del mio prossimo libro, The Day Hospital, gioca molto con l’inglese colloquiale, le frasi, anche le rime dell’infanzia, perché le voci dentro il libro appartengono a persone affette da Alzheimer, schizofrenia, eccetera, quindi il modo di esprimersi è rotto, ma usano la poesia della lingua istintivamente. La lingua che desidero è una lingua un po’ così, colloquiale, vivida, connaturata alla persona.

Quando è nata in te l’idea di scrivere in poesia?

Scrivo in poesia da quando ero piccola e scrivevo anche di più quando ero una teenager, ma i risultati erano pessimi! A un certo punto ho cominciato a leggere tutto WB Yeats e anche Sylvia Plath, e ho deciso di seguire i loro stili per perfezionare la mia tecnica. Ma ancora non mi piaceva la poesia contemporanea (parlo della poesia inglese degli anni 1980-1995). Anche adesso, quando leggo la poesia di quell’epoca non mi sento molto ispirata. Secondo me (e forse mi sbaglio in questo, è sempre una questione di gusto) le poetesse stavano ancora combattendo le forme ‘patriarcali’ e proseguivano con forme troppe libere. Poi il mio ragazzo di quel periodo mi regalò un libro di Sharon Olds, per il mio 25° compleanno. Ero incantata dalla ricchezza della lingua, i temi, l’onestà. Da quel momento ho cominciato a scrivere in una voce più moderna. Però solo dopo la morte del mio papà, quando avevo 26 anni, ho scritto proprio poesia. La mia voce è diventata più forte - non era più quella di una bambina. Dovrei dire però che questo processo di trovare la propria voce in poesia continua. Forse, con l’età, è solo adesso che non mi sento più molto influenzata dai poeti del passato.

Quali poeti ritieni tuoi modelli?

Certamente Sylvia Plath e Sharon Olds, come ho detto. Secondo me, ogni poetessa ha un debito con Sylvia Plath. Purtroppo ci siamo dimenticati l’impatto del linguaggio di lei negli anni Sessanta. Era scioccante. Usava un vocabolario e immagini mai visti prima. È notevole come si possa ancora vedere la sua influenza diretta nella poesia contemporanea. Ho avuto ‘rapporti’ con tanti altri poeti però, inclusi Yeats, TS Eliot, Anne Sexton, John Keats, Ted Hughes. Generalmente mi interessa molto di più la letteratura del XX secolo. Sono una modernista, profondamente - cioè non sono molto colpita delle forme troppo chiuse, anche se le uso ogni tanto anch’io. Mi chiedo che cosa hanno i poeti che amo di più e la risposta è che loro scrivono dei temi fondamentali della vita - la morte, l’amore, la nascita. Non ho pazienza con la poesia che parla di cose triviali.

Racconta un’esperienza personale significativa per la tua poesia.

Ogni evento della vita fa crescere l’anima della persona - e nel caso di una poeta fa maturare anche la poesia. Come ho detto, la morte di mio padre ha rotto qualcosa in me e mi ha forzato a essere adulta. In un certo senso, mi ha dato una voce più matura nel declamare emozioni e nel descrivere come vedo il mondo. Però lo sviluppo di una poeta non è lineare e sono andata ogni tanto anche indietro riguardo alla qualità della mia poesia. Un'altra esperienza che mi ha dato una voce più forte è stata la gravidanza. Quando ho scoperto che ero incinta mi sentivo scioccata come un dio che ha dato la spinta di vita a una creatura e poi non ha più controllo sugli eventi o il futuro. Ero convinta della divinità delle mamme, che noi partecipiamo della creazione della vita in modo impressionante - per il feto siamo un tipo di divinità, una voce senza corpo, un mondo intero. Mi sentivo in rapporto forte con Dio - anche se, a quel punto, ero ancora atea e non gli davo quel nome.

Come ha influito su di te l’esperienza di infermiera psichiatrica?

Durante il mio lavoro come infermiera, e per dieci anni dopo, non ho potuto scrivere quasi nulla dell’esperienza. Lavoravo con gente anziana che soffriva di malattie psichiatriche e tanti erano ebrei che arrivarono a Londra durante la seconda guerra mondiale, lasciando genitori in pericolo in Germania o in Polonia. Da anziani questa gente soffriva ancora - della tragedia, del dolore personale, del senso di colpa che avevano portato con loro per cinquant’anni. Avevo una paziente in particolare che aveva lasciato la sua mamma in Germania, mentre lei era segretaria a Londra. La madre venne uccisa certamente, ma la mia paziente non sapeva in quale modo, in quale campo. Lei non parlava e aveva allucinazioni forti, delle voci che sentiva le comandavano di uccidersi. Alla fine ho avuto un rapporto molto bello con lei - mi parlava un po’ e mi confidava la sua paura e la storia del suo trauma. Quando è morta, io ho lasciato il lavoro per andare negli Stati Uniti e volevo fortemente scrivere una poesia su di lei e sulla sua storia. Ho scritto un paio di poesie, ma erano deboli. Per dieci anni ho scritto poesie su questa donna, che non mi convincevano. Poi, nel 2010, dieci anni dopo la sua morte, finalmente ho scritto un monologo con la sua voce. E poi sono arrivate altre voci, forti, insistenti, e ho scritto altri undici monologhi, tutti ispirati alle mie pazienti - irlandesi, tedesche, polacche, russe, londinesi… Questi monologhi sono stati da poco pubblicati nella raccolta dal titolo The Day Hospital.




Sally Read
è nata nel Suffolk (Regno Unito) nel 1971 e da qualche anno si è trasferita in Italia, prima in Sardegna e poi a S. Marinella, in provincia di Roma. Tra il 1993 e il 1998 ha lavorato a Londra come infermiera psichiatrica e contemporaneamente ha conseguito la laurea in Lettere presso l’Open University. Ha poi perfezionato i suoi studi negli Stati Uniti, nel Sud Dakota, conseguendo un Master in Scrittura Creativa. Nel Regno Unito ha pubblicato le raccolte poetiche The Point of Splitting (Bloodaxe Books, 2004) e Broken Sleep (Bloodaxe Books, 2009), e le sue poesie sono apparse in numerose riviste letterarie e diversi quotidiani. Il suo terzo libro di poesia, The Day Hospital è uscito lo scorso ottobre, sempre per Bloodaxe. Nel 2001 le è stato assegnato il prestigioso premio Eric Gregory Award. Alcune delle sue opere sono state presentate alla BBC, Radio 3 e alla Rai Regione Sardegna e ha appena finito di incidere un CD contenente una selezione di alcune delle sue poesie per conto del “The Poetry Archive” del Regno Unito. Riveste la carica di Poet in Residence nell’eremo “The Hermitage of the Three Holy Hierarchs”. Sue poesie sono state incluse nell’antologia generazionale di Roddy Lumsden, Identity Parade (2010) e in The Picador Book of Love Poems (2011) e, tradotte in italiano, pubblicate su alcune riviste e nell’antologia Gatti come angeli. L’eros nella poesia femminile di lingua inglese (Medusa, Milano 2006). Fa parte della Compagnia delle Poete, una cooperativa teatrale di poetesse migranti fondata da Mia Lecomte.

(foto di Emidio Gorgoretti)

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