FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 22
aprile/giugno 2011

Miti & Leggende

 

A FRANCISCO RUIZ UDIEL
IN MEMORIAM

di Jorge Boccanera e Alessio Brandolini



¡Dios mío, qué solos   
se quedan los muertos!

Gustavo Adolfo Bécquer

CHI PIANGE NEL SOGNO?
di Alessio Brandolini

L’anno è iniziato male per i poeti. I primi giorni di gennaio 2011 mi giunge la notizia del suicidio del giovane poeta nicaraguense Francisco Ruiz Udiel. Penso a uno scherzo, di pessimo gusto. Ma la notizia rimbalza, si ripete da un paese all’altro del Centroamerica: Nicaragua, Costa Rica, Guatemala... Trovo conferma sui quotidiani on-line di Managua, chiamo alcuni conoscenti di San José. È così, non ci sono più dubbi: dopo aver festeggiato con gli amici le ultime ore del 2010 Francisco torna a casa e all’alba s’impicca.
Poco più che trentenne viveva a Managua e si dedicava interamente alla letteratura. Ai miei occhi sembrava un ragazzo fortunato perché faceva, con impegno, quel che voleva fare: il poeta, lo scrittore, l’editore, il promotore culturale.

L’ultima volta c’eravamo incontrati al festival di poesia di Granada, in Nicaragua, nel febbraio 2010. Si muoveva in casa, tra poeti che conosceva da anni e che apprezzavano la sua poesia, proprio in quei mesi inclusa nella prestigiosa antologia della casa editrice spagnola Visor (La poesía del siglo XX en Nicaragua).
Nel maggio 2009 c’eravamo incontrati al IX festival di poesia del Costa Rica che, essendo meno affollato di quello di Granada, ci aveva permesso di confrontarci, di stare più tempo assieme. Avevo ricevuto la sua raccolta poetica, ristampata per l’occasione da la Fundación Casa de Poesía, Alguien me ve llorar en un sueño (Qualcuno mi vede piangere in un sogno). Un libro molto bello, originale e malinconico che aveva vinto nel 2005 il “Premio Internazionale Ernesto Cardenal per la Poesia giovane”, pubblicato con una nota del poeta argentino Jorge Boccanera. Il destino aveva fatto in modo di farmi conoscere Francisco Ruiz Udiel e Jorge Boccanera lo stesso giorno, il 10 ottobre 2005, al IV festival di Poesia de El Salvador. Francisco era tra i più giovani poeti invitati e con il suo volto sorridente e pulito sembrava ancor più giovane.

Nella sua poesia s’intrecciano diverse influenze. Leggendo i suoi versi mi sono venuti in mente non tanto quelli del suo famoso connazionale, Ernesto Cardenal, ma quelli più ribelli (intimamente ribelli) di Carlos Martínez Rivas (1924-1998) de La insurreción solitaria, del Cesare Pavese di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, (“Per tutti la morte ha uno sguardo. / Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”), di Alejandra Pizarnik (il titolo del libro Qualcuno mi vede piangere in un sogno è un verso dell’autrice argentina) e di Jorge Boccanera per il taglio metrico, il brusco accostamento di realtà e visione onirica.
Ciao Francisco, ci ritroveremo nella poesia. E nei sogni.


PERCHÉ HAI APERTO QUELLA PORTA?
di Jorge Boccanera

Francisco aveva molti amici e di molti luoghi, eppure era solo. Lo ha lasciato scritto nel suo libro di poesie Alguien me ve llorar en un sueño (Qualcuno mi vede piangere in un sogno), di cui ho scritto l’introduzione quando fu pubblicato qualche anno fa.
Non confidava ciò che sentiva dentro, eppure non ho mai pensato a un senso di abbandono così potente da portarlo a togliersi la vita.
Ci siamo incontrati diverse volte. Fin dal primo libro ha mostrato il suo valore poetico sulla base di un colloquio urbano irrigato da immagini inquietanti, molte delle quali relazionate con la solitudine (“La mia solitudine è mia madre impressa in un pugnale”). Francisco era un giovane sveglio, caldo e calmo, per lo meno questo io percepivo. Noi poeti siamo carne di paradosso: mentre rileggo l’ultima e-mail che mi ha inviato qualche giorno prima di morire per sollecitarmi l’invio di alcuni miei testi poetici alla rivista “Carátula”, guardo di sbieco nello schermo una poesia che ho appena finito di scribacchiare: parla della sua morte. Sento che questo tipo di poesie non arrivano nemmeno a sfiorare ciò che vorremmo dire.

Impotenza e domande: “Perché hai aperto quella porta? / La compagnia di nessuno ti faceva sentire nessuno? / Chi intrecciava abbandono con dita che dicono addio?”.
Qualcosa chiedeva Francisco, che qualcuno lo ricevesse nel suo viaggio, nel suo stare, nel suo fare. Leggo nuovamente il suo libro dove campeggia la morte: “Siamo luce morta strofinata / con piccoli pezzi di cielo / su sonnambuli specchi”.
Qui c’è tutto. Nella mia prefazione ho parlato, tra le altre cose, dell’atmosfera della sua poesia in relazione a “uno stato di perdita” in un tempo di asfissia e “ciò che è succhiato dal nulla”. Anche del fantasmagorico, un’aria da incubo e un personaggio “Andrés” (Francisco stesso?) circondato da “alcuni” che vogliono (secondo il poeta) “divorare le sue spoglie, accarezzare la sua solitudine con acidi e metalli fusi” (secondo me).

Ormai non posso più dialogare con Francisco di questa e tante altre cose.
Sarebbe di qualche conforto pensare, unendosi ai versi di Luis Cordoza y Aragón, che soltanto la morte conosce la strada di casa?
Non ho dubbi che Francisco era una persona cara, ma chi può misurare l’affetto, le sue amputazioni, i suoi travasamenti. Qualcuno sa perché la morte lavora?
Se riuscissi a scrivere il poema per Francisco mi piacerebbe finirlo con questo verso: “Quella mattina hai fatto colazione?”




CINQUE POESIE DI FRANCISCO RUIZ UDIEL


DEJA LA PUERTA ABIERTA
        A Claribel Alegría
Deja la puerta abierta.
Que tus palabras entren
como un arco tejido por cipreses,
un poco más livianos
que la ineludible vida.
Lejos está el puerto
donde los barcos de ébano
reposan con tristeza.
Poco me importa llegar a ellos,
pues largo es el abrazo con la noche
y corta la esperanza con la tierra.
Donde quiera que vaya
el mar me arroja a cualquier parte,
otro amanecer donde la imaginación
ya no puede convertir el lodo
en vasijas para almacenar recuerdos.
Me canso, de despertar,
la luz me hiere cuando ver no quiero,
el viaje a Ítaca nada me ofrece.
Si hubiera al menos un poco de vino
para embriagar los días que nos quedan
       embriagar los días que nos quedan
               que nos quedan.


LASCIA LA PORTA APERTA

        A Claribel Alegría
Lascia la porta aperta.
Che le tue parole entrino
come un arco tessuto dai cipressi,
un po’ più leggeri
dell’ineludibile vita.
Lontano è il porto
dove le barche di ebano
riposano con tristezza.
Poco m’importa arrivare a loro,
perché lungo è l’abbraccio con la notte
e breve la speranza con la terra.
Dovunque io vada
il mare mi scaglia da tutte le parti,
un’altra alba dove l’immaginazione
ormai non può trasformare il fango
in vasellame per immagazzinare ricordi.
Mi stanco, di svegliarmi,
la luce mi ferisce quando vedere non voglio,
il viaggio a Itaca nulla mi offre.
Se ci fosse almeno un po’ di vino
per ubriacare i giorni che ci restano
       ubriacare i giorni che ci restano
               che ci restano.



ALGUIEN ENTRA A LA MUERTE CON LOS OJOS ABIERTOS

Déjenme limpiar esta herida,
apesta mi cuerpo,
déjenme secar con mi vieja camisa de fuerza
la dúctiles paredes donde se rompen mis sueños.

Por favor, cuando yo parta,
no me cierren los ojos,
no me maquillen el rostro como un cadáver
que aparenta estar vivo,
no me disfracen con saco y corbata
pues la muerte no compra etiquetas,
no me vistan de honor, no lo necesito,
no me pongan mordazas en la boca
ni algodones en la nariz;
no me dejen sin sentidos.

Por favor, les ruego,
no me dejen ir con este peso
que me obliga a mirar hacia abajo.


QUALCUNO ENTRA NELLA MORTE AD OCCHI APERTI

Lasciatemi pulire questa ferita,
appesta il mio corpo,
lasciami asciugare con la mia vecchia camicia di forza
le duttili pareti dove si frantumano i miei sogni.

Per favore, quando me ne andrò,
non chiudetemi gli occhi,
non truccatemi il volto come un cadavere
che finge di esser vivo,
non mascheratemi con abito e cravatta
perché la morte non compra etichette,
non mi vestite di onore, non ne ho bisogno,
non mi mettete bavagli sulla bocca
né cotone nel naso;
non mi lasciate privo di sensi.

Per favore, vi prego,
non mi lasciate andare con questo peso
che mi obbliga a guardare verso il basso.


PROCESO PARA OLVIDAR A DIOS

        Elevó las manos y separó
        todos los dedos

                            F. KAFKA
De nada te servirá, Andrés,
separar lo dedos en el aire
romperte las uñas contra la pared
o mirar por última vez
hacia la oscura calle
sabiendo que nada hay
que nadie te espera
que a nadie falta la harás
en este fútil teatro.

Tu memoria Andrés
son blancos pellejos tendidos
con sal en un inmenso patio.


PROCESSO PER DIMENTICARE DIO

        Alzò le mani e separò
        tutte le dita

                       F. KAFKA
A nulla ti servirà, Andrés,
separare le dita nell’aria
spezzarti le unghie contro la parete
o guardare un’ultima volta
verso l’oscura strada
sapendo che non c’è nulla
che nessuno ti aspetta
che non mancherai a nessuno
in questo futile teatro.

La tua memoria Andrés
sono bianche pelli tese
con sale in un immenso patio.


ALGUIEN PRONUNCIA MI NOMBRE

Cuando Andrés dice
que yo ando perdido, volando,
como si estuviese en las nubes,
voy corriendo a reprocharle,
pero no encuentro a nadie
acá abajo.


QUALCUNO PRONUNCIA IL MIO NOME

Quando Andrés dice
che cammino smarrito, volando,
come se fossi tra le nuvole,
vado di corsa a rimproverarlo,
ma non incontro nessuno
qui sotto.


ALGUIEN SIENTE OLOR A MUERTE

          A Ovidio Ortega
Lo terrible cuando alguien parte
es asirse nuevamente
a los monstruos vacíos.

Esta tarde Andrés quedó estampado
en su vieja silla de madera,
a esta hora la soledad empezó
a comerle los pies.

Andrés en su silla permanece
sabe que la muerte llegará
y dejará los ojos
para que él pueda seguirla.


QUALCUNO SENTE ODORE DI MORTE

          A Ovidio Ortega
La cosa terribile quando qualcuno parte
è afferrarsi nuovamente
ai mostri vuoti.

Questa sera Andrés è rimasto attaccato
alla sua vecchia sedia di legno,
a quest’ora la solitudine ha iniziato
a mangiargli i piedi.

Andrés resta nella sua sedia
sa che la morte arriverà
e lascerà gli occhi
affinché lui posa seguirla.


Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini


I testi sono tratti (tranne il primo pubblicato su riviste on-line) da Alguien me ve llorar en un sueño (Qualcuno mi vede piangere nel sogno, Nicaragua 2005; Costa Rica 2009).




Francisco Ruiz Udiel
è nato a Estelí, Nicaragua, nel 1977, ed è morto tragicamente a Managua il primo gennaio 2011. Nel 2005 ha ricevuto il “Premio Internazionale Ernesto Cardenal per la Poesia giovane” con la raccolta Aguien me ve llorar en un sueño (Qualcuno mi vede piangere nel sogno). Con Ulises Juárez Polanco ha curato due antologie sulla giovane poesia nicaraguense.
Postumo è stato pubblicato Memorias del agua.
Poeti e critici hanno scritto della sua poesia, tra gli altri: Claribel Alegría, Jorge Boccanera, Waldo Leyva e Sergio Ramírez. Ha rappresentato il suo paese in diversi festival di poesia e i suoi testi sono tradotti in inglese, francese e portoghese. È stato editore, promotore di attività culturali e redattore della rivista web "Carátula", diretta da Sergio Ramírez.


alexbrando@libero.it
yacubumapu@yahoo.com.ar