FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 22
aprile/giugno 2011

Miti & Leggende

 

RAPERONZOLA E ALTRE POESIE

di Annelisa Alleva



*

Il tempo che ci separa
scorgete sulle pagine ingiallite delle fiabe,
contate i suoi reperti nei timbri incerti
che noi grandi abbiamo sulle braccia.
Uno la madre, due il padre e la maestra.


*

È arrivata la signora, ma la chiave
le sfugge due volte giù dal muro,
e cadendo produce un tintinnio sonoro.
Come nella fiaba di Perrault, a te, Isabella
Morra, era proibito usare solo una chiave,
penetrare solo in una certa stanza,
pena: il sangue. Invece schiudesti l’amore.
Lei, nella fiaba, fu salvata dai fratelli;
tu in loro, dai nomi shakespeariani,
trovasti i tuoi guardiani efferati.
Invocavi il padre, il suo cavallo o battello,
ma lui non ti rispose. Non accorse, non usò
da messo il polverone degli zoccoli ferrati.
Mai capisti che era lui il tuo Barbablù.


*

Allo stesso modo in cui mi raccontavi
la fiaba dei sette cigni fratelli
avvolti in maglie d’ortica, adesso,
attraverso la tua voce, la morte della nonna
acquista sfumature di cronaca, di tragedia
antica, di leggenda secolare.
Spezzato il filo da cucire con i denti,
per la prima volta seduta a capotavola,
rievochi le ultime battute balbettate
prima della caduta del sipario,
l’alternarsi degli spettatori
al capezzale, i fiori al funerale.
E il tuo debutto inaspettato sulla scena,
il tuo salto da spalla a primadonna,
è un pianto sommesso, un canto sconsolato.


*

Non capisco perché la fatina
che ti prenota i biglietti d’aereo
nella sotterranea agenzia di un grattacielo
non sia capace di trasformarmi
in un oggetto tascabile, ridurmi
al punto da annullare la tariffa.
Entrerei nelle fodere strappate,
mi confonderei coi resti di filtro e di tabacco.
In business class bisbiglieremmo di nascosto;
le mie frasi somiglierebbero a uno scalpiccio
di passi sulle scale, che t’inseguono veloci.
E se a un tratto ti sembrassi impertinente
e mi prendessi in mano, sentiresti
fra due dita il palpito di un cuore.


CAPPUCCETTO ROSSO

- Nonna, dov’è il sacchetto delle provviste?
- Per la notte, Cappuccetto, l’ho calzato in testa.
- Nonna, dov’è l’amato cacciatore?
- Dentro la mia pancia, che vuole farmi fuori.
- Nonna, che parole senza per favore!
- È per sentirmi meglio imperatore.
- Nonna, che lamenti lunghi!
- Ho ingoiato velenosi funghi.
- Nonna, che sonno leggero!
- Di controllare tutto spero.
- Nonna, non mi chiami più nipote!
- Sono il lupo, da quando non ho più salute.
- Nonna, chi ha mangiato il pranzo?
- Non te ne ho lasciato neppure un avanzo.
- Nonna, non eri tu che mi preparavi le torte?
- Sì, ma adesso penso solo alla mia morte.


*

Hanno impacchettato le statue
nel giardino d’Estate,
le pozzanghere si son fatte di vetro,
e gli alberi del viale
se ne stanno in fila con le punte intrecciate
come carte da mischiare divise in due mazzetti.
La nonna porta a spasso
Cappuccetto Rosso.
Le segue un lupo infreddolito.


*

Il fiume s’impiglia, il biancospino
buca le calze, il filo spinato –
le dita, come se qualcuno
cercasse dappertutto una Bella
da addormentare. E tu, Signora,
che ci hai preparato questo castello.
Le lampade che pendono un po’
troppo, pronte a cadere, una certa
sproporzione fra il tavolo e le sedie,
che riempiamo coi cuscini sottratti
a letti troppo alti, e quei piccoli
bicchieri, piccoli coltelli, cucchiai,
quelle piccole forchette con cui
hai apparecchiato la nostra tavola,
come se volessi ricordarci
ogni momento che questa, la vita
del castello, sarà corta per noi
come una favola.


*

Corrono verso il palco per l’ultima volta,
prendendosi per mano con il sorriso in volto:
lei, Stella, le mani tornate ai polsi mostra
per intervento dell’Avvocata nostra,
e l’altra, la gelosa, perfida matrigna,
si sfila la corona – torna lucida castagna
senza riccio intorno, l’arrosto della penitenza –
e con questa il suo ruolo di plumbea eminenza.
Corrono, corrono avanti e indietro gli attori,
mentre applaudono caldamente gli spettatori
non l’antica storia, ma la sua fine liberatoria.


RAPERONZOLA

La strega ti piantò su, in cima alla torre.
E le tue radici crebbero solitarie, lunghe
fino a toccare il suolo in trecce.
Il principe, con la formula della strega,
te le fece calare giù dalla finestrella.
Si trasformò in piacere il dolore del tiro.
Ma la strega scoprì l’intrigo, e te le recise.
Le afferrò come redini e le srotolò posticce.
Il principe cadde a precipizio nel tranello.
I rovi bucarono i suoi occhi innamorati.
Le tue lacrime gli restituirono la vista.


LA PERINA

Nascosta in un sacco insieme con le pere,
e offerta al Re dal padre, che aveva altre bocche
da sfamare, usciva ogni notte nella ricca dispensa
e si dava al libero mangiare e al bere.
Il dispensiere, spiando dal buco della serratura,
la colse sul fatto e la portò dritta dal Re.
Crebbe lavando e stirando da guardarobiera,
ma le compagne gelose l’accusarono di darsi arie.
Il Re volle metterla alla prova, e il Principe in segreto
le affidò una bacchetta magica per sbrigare il daffare.
Bastava batterla, perché allo scadere di una notte
tutta la biancheria di Corte fosse sistemata,
una notte per lucidare tutti i pavimenti,
una notte per rubare il tesoro della Fata
Morgana, che invano si era gettata al suo inseguimento.
La Perina vinse e perdonò le compagne gelose
dopo aver sposato il Principe e fatto un mese di festa.


CENERENTOLA

Cenerentola, Cenerentola, su, dacci
il pettine e il profumo; su, lucida
le scarpe, e fa’ diventare d’oro
le fibbie: andiamo al ballo del Re!
Tu al ballo? Con tutta quella cenere
addosso? Con quegli zoccoli, stracci?
Potrai venire solo se fra due ore avrai
raccolto il sacchetto di lenticchie,
che ho buttato or ora nella cenere!
Colombi, tortorelle, uccelli cari,
presto, accorrete! E tutti assentirono
col capino: pic pic, pic pic, pic pic,
e le ammucchiarono nella scodella,
e lei tornò dalla matrigna per il ballo.
Quella disse che non aveva un vestito,
e allora Cenerentola scongiurò il nocciolo
cresciuto presso la tomba della mamma,
e ebbe ai suoi piedi un abito d’argento e d’oro.
Cenerentola si presentò a corte, ballò
tutta la sera, e il principe le riportò la piccola
scarpa che aveva smarrito sulle scale,
stretta come una cruna, dentro la quale
le sorellastre non erano riuscite a passare,
neppure tagliandosi l’alluce col coltello.



Il tempo che ci separa”, inedita, 1997.
È arrivata la signora, ma la chiave”, da Astri e sassi, 1999.
Allo stesso modo in cui mi raccontavi”, da Aria di cerimonia, 2000.
Non capisco perché la fatina”, da L’oro ereditato, 2002.
“Cappuccetto rosso”, inedita, 2002.
Hanno impacchettato le statue”, da Istinto e spettri, 2003.
Il fiume s’impiglia, il biancospino”, da La casa rotta, 2010.
Corrono verso il palco per l’ultima volta,”, da La casa rotta, 2010.
“Raperonzola”, inedita, 2011.
“La Perina”, inedita, 2011.
“Cenerentola”, inedita, 2011.



Annelisa Alleva a Capri nel 1976              
Foto di Dario Biocca                      


annelisa.alleva@gmail.com