FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 19
luglio/settembre 2010

Eros

 

EROS
domestico e divino

di Armando Santarelli



Ho conosciuto Eros non appena sono nato. Prima del linguaggio di Amore, è stata la mia lingua, insieme alle labbra, ad assaporarlo: ero il florido seno di mia madre, dal quale sgorgava il latte della vita.
Come voi, come tutti gli esseri umani, è mia madre che ho amato per prima, e che continuo ad amare: perciò, almeno con riguardo a una creatura vivente, ho sempre posseduto Eros nel mio cuore. È per questo che penso con tristezza a chi è stato privato dell’amore materno: perché Eros ha molti padri, ma sua madre è sempre Afrodite, l’unica divinità dotata di un ascendente su di Lui.
Il bello e il buono del seno di mia madre ha rappresentato per me, e per voi, l’ascesa del primo gradino della scala dell’eros, il percorso che guida ogni uomo a riconoscere la bellezza astratta e quella interiore di ogni creatura, di ogni oggetto. È un dono e al contempo una conquista, un regalo e una sfida, un cammino spesso accidentato, ma sempre esaltante, attraverso il quale misuriamo la nostra capacità di dare alla vita il senso più autentico.
Vedo gli occhi indagatori e pieni di amore di mia madre, ancora lei: vogliosa di alimentare l’eros a me riservato, di aiutarmi a salire ancora qualche gradino, per poi lasciarmi libero di fare da solo.

I suoi doni: di ogni tipo, ma mai inutili, perché, come la mamma di Marcel Proust, non amava farmi regali da cui non si potesse trarre un profitto intellettuale, “quello che ci procurano le cose belle insegnandoci a cercare il nostro piacere lontano dalle soddisfazioni del benessere e della vanità”. Così mette dinanzi ai miei occhi oggetti d’ogni tipo, e poi disegni, fotografie, pupazzi, fogli di carta; mi parla, mi fa ascoltare brani musicali, aprendo la mia mente alla percezione dell’armonia e della bellezza del mondo. Mi legge le favole, e piange alle scene più toccanti, facendo piangere anche me. Per un istante, perché subito affonda le sue labbra nelle mie guance, sorride e mi dice che non è niente, che si può anche piangere quando il bene è offeso, ma che non bisogna mai stancarsi di cercarlo e di donarlo.
Mia madre, in questo modo, mi ha insegnato a ragionare e ad agire in vista del bene, della solidarietà, della compassione, sentimenti che non abbandoneranno mai l’animo di una persona che li ha sperimentati da bambino. Base imprescindibile per preparare il cuore all’influsso di Eros. Perché non c’è alcun dubbio: come afferma il filosofo José Ortega y Gasset, è ciò che siamo, è la nostra essenza a determinare il tipo di amore che saremo in grado di praticare:

Poiché l’amore è l’atto più delicato e totale dell’anima, esso rifletterà lo stato e la natura dell’anima medesima. Le caratteristiche della persona innamorata devono essere attribuite all’amore stesso. Se l’individuo non è sensibile, come può esserlo il suo amore? Se la persona non è profonda, come può esserlo il suo amore? Il nostro amore è esattamente come siamo noi. Per questa ragione troviamo nell’amore il sintomo più significativo di quel che una persona è veramente.

Parole splendide, che si accordano perfettamente col mito. Socrate, forse il più grande teorico dell’Amore, afferma che Eros “è la fonte del nostro desiderio di amarci l’un l’altro”. Ma Eros non interviene direttamente negli affari degli uomini; siamo noi a decidere come far uso di questa fonte, e dunque se soddisfare l’eros nelle forme più elevate - quelle che conducono al bene individuale e collettivo - oppure in modi grossolani e volgari.
Eros, infatti, è anche desiderio sensuale.
Una brama assolutamente naturale, un impulso fondamentale per la specie umana, al quale nessuno resta immune. Se tutto è opera di Dio, se sentiamo il bisogno di mangiare, bere, dormire, ma anche di godere dei piaceri del corpo, perché dovremmo negarceli?

Tuttavia, se Eros è anche amore sensuale, non è mai amore libero, perché non c’è individuo che ignori l’importanza di dominare i propri impulsi sessuali, di soddisfarli nel modo e per i fini più giusti. Eros può esistere anche in assenza di amore, ma è un eros volgarizzato, attraverso il quale non si arriva mai a un’autentica unione con gli altri.
Dunque, c’è bisogno del nostro contributo per salire lungo la scala dell’eros, una scala i cui gradini si chiamano storghé (l’amore per i famigliari), xenìa (l’amore per lo straniero, per il diverso da sé), philìa (l’amore fondato sull’affinità e l’amicizia), e, al culmine di tutto, l’agape, l’amore incondizionato e votato al sacrificio.
È di questa somma espressione di Amore che vorrei parlare, dell’eros che si concretizza nella capacità di concepire e vivere forme di bellezza sempre più eminenti ed elevate. La Bellezza assoluta che Socrate, come mostra il Simposio platonico, aveva ben chiara, e che incitava a perseguire: “Credi forse che possa ancora essere vuota la vita di un uomo che abbia fissato sulla Bellezza il suo sguardo, contemplandola pur nei limiti dei mezzi che possiede, ed abbia vissuto in unione con essa? Non pensi che solamente allora, quando vedrà la Bellezza con gli occhi dello spirito ai quali essa è visibile, quest’uomo potrà esprimere il meglio di se stesso?”.

Negli stessi anni in cui Socrate diffondeva il suo pensiero, un filosofo orientale, il cinese Mozi, coniava il termine ai, che significa “amore universale”. Mozi indicava nella semplice regola della benevolenza verso i nostri simili, nel trattarli come se fossero nostri amici, la strada per avanzare lungo la via del ren (equivalente del concetto greco di areté), cioè la conquista di un’autentica umanità.
L’eros universale caratterizza la vita e l’insegnamento di Guru Nanak, il fondatore della fede dei sikh. Guru Nanak era nato in una famiglia indù di casta elevata, e avrebbe potuto condurre una vita ricca di opportunità e privilegi. Però voleva essere giusto, voleva migliorare il mondo, per questo predicò e applicò per tutta la vita la devozione disinteressata e amorevole verso i propri simili.
Come vediamo, in ogni tempo, e ovunque, l’eros universale penetra i cuori pronti ad accogliere i carismi divini, plasmando la volontà del soggetto per farla coincidere con quella del mondo, di ogni creatura, del tutto.
È l’esperienza di comunione con l’energia universale che hanno chiaramente raggiunto figure storiche come Mosè, Socrate, Confucio, Lao Tzu, Gesù, Maometto, San Francesco, Santa Teresa d’Avila, Krishnamurti, Thich Nhat Hanh, Gandhi e molti altri. Un salto di coscienza notevole, e che perciò ha riguardato, sinora, pochi individui. Ma come fa notare lo psichiatra e scrittore Richard Maurice Bucke, tutti i salti evolutivi della razza umana sono emersi in persone singole, prima di diventare un patrimonio universale.

Quando ho preso coscienza delle vette cui l’eros divino può innalzare alcuni individui, mi sono messo sulle loro tracce, perché volevo conoscere e pregare insieme a quelli, fra i miei simili, che in virtù dell’incessante perfezionamento interiore si trasformano in veri e propri veicoli dell’espressione divina.
Così sono andato in cerca degli eremiti che vivono nel deserto verticale del Monte Athos, gli atleti di Cristo “che si nutrono solo di erbe, di Dio e delle stelle”. Uomini normali, ex studenti, impiegati, ingegneri, fotografi, persone come me e voi, che l’eros divino ha chiamato a una reazione totale dinanzi alla vita, ad una scelta assoluta.
“Siamo perfettamente consapevoli di essere un mistero, per voi”, mi ha detto uno di loro, un asceta della località athonita denominata Karoulia. “Lasciamo il mondo, e per voi viviamo come morti. Sì, in un certo senso è vero, siamo morti, per certe cose. Ma chi nel mondo vive come morto, è triste, depresso. Noi, invece, siamo felici. Ci seppelliamo, come il seme, per dare origine a una nuova vita. Se non demolissimo tutto ciò che avevamo costruito prima, non potremmo ricostruire noi stessi”.

Felici nonostante la vita di privazioni e di sofferenza, in virtù dell’eros divino che li ha penetrati, della luce che risplende nell’intimo del loro essere. Vivono nel dolore del corpo, ma da loro emana una dolcezza consolatoria, una sconfinata serenità. Al cospetto di alcuni di essi, ho avuto la certezza di trovarmi dinanzi a una teofania: l’eros divino incarnato in un mio simile, una luce interiore che trascendeva lo spazio e il tempo.
“Chiunque si ponga la questione”, ha scritto Al-Ghazali, “arriva a vedere che la felicità è necessariamente collegata al nostro rapporto con Dio”.
Ho conosciuto la più alta forma di eros in uno dei luoghi più remoti del mondo, dal quale, ogni anno, ritaglio e porto con me una preziosa riserva di preghiera e di spiritualità, provvista indispensabile per combattere la battaglia per essere un uomo migliore, per cercare l’armonia col mondo e col mio prossimo.


armando.santarelli@inwind.it