FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 18
aprile/giugno 2010

Aquiloni

 

I BAMBINI SENZA L'AQUILONE

fotografie e testo di Gianluca Tullio



Sono le 5:00 del mattino nel Mercado Oriental di Managua. L’aria è ancora fresca ma si cominciano a sentire gli odori forti e i suoni confusi tipici del mercato. Si avverte un principio di disordine che di lì a pochi minuti diventerà vero e proprio caos. Con me c’è Riccardo, il ragazzo che mi guiderà in queste strade dove ragazzi e bambini hanno scelto di vivere, anzi, di sopravvivere. Sono i “quinchos”, come Quincho Barrilete un bambino che amava far volare i sui aquiloni e che fu ucciso durante la rivoluzione. Riccardo è un “professore di strada”, così vengono chiamati anche gli altri ragazzi che come lui vengono tutti i giorni a quest’ora per parlare, giocare e intrattenere i bambini nel tentativo di sensibilizzarli e “dis-toglierli” dalla strada. Lui più di chiunque altro può capirli, poiché fino a qualche anno fa faceva la loro stessa vita. Così, tenta di spiegare e io tento di capire.



Quali sono i problemi che spingono questi bambini sulla strada?

Molto è dovuto alla situazione di estrema povertà di buona parte della popolazione del mio Paese. Le famiglie vivono in condizioni di grande disagio, spesso i bambini vengono mandati in strada per vendere qualsiasi cosa. Tanti di loro tra le mura domestiche subiscono violenze psichiche e fisiche. Rimangono affascinati dalla libertà che c’è fuori dalla porta di casa e per questo si rifugiano nella strada, lì si sentono liberi.

Mi parli un po’ della colla?

È una droga sintetica che ha fatto la sua comparsa alla fine degli anni ottanta. È un allucinogeno molto forte che non ti fa sentire né la fame né la sete, ti toglie la paura di vivere e di morire. Costa pochi cordoba l’oncia, dai tre ai sei, un buon prezzo per poter sopravvivere.
Una volta inalata o col naso o con la bocca, la colla ha un effetto di circa quindici minuti, quindi per prolungarlo bisogna inalarla di continuo.




Crea dipendenza?

Si, soprattutto per i più piccoli il rischio di una dipendenza psicologica è molto alto. La maggior parte ne fa uso per affrontare la strada, che gli si presenta ancor di più come un’alternativa affascinante, allettante.



Puoi raccontarci la tua esperienza personale?

Anch’io sono stato un bambino di strada, stavo proprio qui, al Mercado Oriental, in questo angolo che viene chiamato “Gancho Camino”. Avevo cinque anni quando sono andato via di casa . Mi ricordo la prima volta che incontrai Zelinda, la donna che mi ha tirato fuori dalla strada. Aveva appena cominciato a svolgere questo lavoro. Adesso ha fondato vari centri di recupero. Quando la conobbi ancora non esisteva nulla , era ancora tutto solo un’idea. Dopo poco tempo mi invitò a partecipare al progetto. Io all’inizio ero diffidente, ero già stato in altri posti e pensavo che in fondo si trattasse sempre della stessa solfa: vengono, ti offrono un piatto da mangiare e se ne vanno , così il giorno dopo e il giorno dopo ancora. Poi, un mio amico dopo aver provato, mi ha convinto. Fu un momento un po’ critico ma con il tempo il progetto ha preso forma. Ho imparato a leggere, ho cominciato a studiare e mi hanno insegnato anche piccoli mestieri.

È stato difficile scegliere di cambiare vita?

No, devo dire la verità, per me è stato abbastanza semplice. Vivere in strada era stata una scelta temporanea, sapevo che prima o poi avrei cambiato. Mi piaceva sentirmi libero, “vagabondare” rispettando le poche regole della strada , per altri non è stato così.




Anche tu, come altri ragazzi, avevi problemi in famiglia?

La mia situazione non era poi così drammatica rispetto ad altri ragazzi.
Certo, anch’io vivevo in condizioni di povertà, ma non a livelli estremi. Eravamo in tre: io, mia madre e mia sorella. Io ero molto solo, non condividevo nulla con mia sorella poiché ci separano dieci anni. Per questo penso che la noia e l’assenza di stimoli abbiano inciso parecchio sulla scelta di andarmene di casa, sono sempre stato una persona iperattiva!

Quante persone, come te, hanno lasciato la “strada” e ora lavorano per l’Associazione?

Parecchie, oggi il 97% dei promotori che lavorano nel Centro sono ex bambini di strada. L’obiettivo dell’ associazione è quello di creare nel bambino una coscienza nuova affinché la sua integrazione avvenga in maniera consapevole e volontaria, senza alcun tipo di forzatura. Si viene ad innescare, così, un sentimento di solidarietà “a catena”. Il bambino non si sente abbandonato, viene seguito durante tutto il percorso di recupero e di ricerca personale cosicché, una volta cresciuto, abbia consapevolezza di quanto il suo contributo possa essere utile ad altri bambini. Per quanto mi riguarda, l’Associazione mi ha dato la possibilità di conoscere nuove culture poiché con essa collaborano molti volontari provenienti da tutto il mondo. Ciò mi ha permesso di trovare nuovi interessanti stimoli per crescere e confrontarmi. Un percorso che ancora non si è arrestato, per fortuna.




Riccardo con due Quinchos


Non avrei mai pensato di incontrare tanta speranza e voglia di vivere in un posto apparentemente dominato dalla disperazione, in cui ci sono donne e uomini che stanno dedicando la loro vita agli altri
Purtroppo il mio tempo qui è finito.
Riccardo deve prendere l’autobus per Granada. Il suo lavoro continuerà lì. Ci salutiamo e lo ringrazio.
Mentre aspetto l’autobus mi scorrono in mente tutti quei volti e tutti quegli occhi così sicuri e forti ma allo stesso tempo così fragili e impauriti.
Bambini costretti a diventare uomini troppo in fretta. Non mi era mai capitato di incrociare gli occhi di un bambino e di distogliere lo sguardo dopo pochi secondi. Questa mattina mi sono sentito indifeso e impotente di fronte alla loro determinazione. Spero tanto di rincontrarli ancora, magari dietro un banco di scuola, mentre cercano di riprendere la propria vita.