FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 13
gennaio/marzo 2009

Nutrimenti

SUL REQUIEM DI LÊDO IVO

di Alessio Brandolini



Vedo la morte nascosta in un raggio di sole
i resti dell’aurora, nido di nessun uccello
l’abolizione del volo su ogni landa deserta.

                Lêdo Ivo


Lêdo Ivo e Alessio Brandolini                 

È uscito in Italia Requiem (Besa, 2008), del grande poeta brasiliano Lêdo Ivo, per la cura, meticolosa e amorevole, di Vera Lúcia de Oliveira. Oltre al Requiem un lungo e struggente poema diviso in otto parti, qui ci sono - in chiusura e riuniti nella sezione “Altre poesie” - dieci testi selezionati dagli ultimi due libri usciti in Brasile: Il rumore della notte (2000) e Plenilunio (2004) che certo non stonano accanto al Requiem. De Oliveira, che conosce a fondo la poesia del maestro, ha selezionato poesie (v. “La mia patria” e “Verso la spiaggia”) che ben si legano alle tematiche del Requiem, suo ultimo libro - pubblicato in contemporanea anche in Brasile e che proprio in questi giorni ha ricevuto il prestigioso "Prêmio Literatura Brasileira da Casa das Américas (Cuba)" - dopo l’imponente Poesia completa 1940-2004 che con le sue mille e cento pagine traccia un percorso di oltre sessant’anni di costante e assiduo lavoro sulla poesia (“Le parole mi seguono come cani”). Inoltre, prendendo in considerazione uno spaccato più ampio del lavoro più recente di Lêdo Ivo, il lettore italiano può meglio “incontrarsi” con le proprietà (e le tante qualità) di una poesia che ha raggiunto i vertici più alti della letteratura brasiliana e che ora, con il Requiem, intende riassumere o, meglio, tirare le fila del suo laborioso e intenso fare poetico che interrottamente procede da così tanto tempo.
Fatto già di per sé straordinario ma, quel che più conta, la fiducia nella poesia ha forgiato una voce più larga e profonda, come se il tempo avesse diminuito le vibrazioni per rendere il suono più puro ed essenziale. Lo affermo in considerazione del precedente libro pubblicato in Italia, quelle Illuminazioni (Multimedia, 2001) che tanto mi avevano colpito, pur essendo un’antologia che riunisce testi distanti nel tempo.

Nel Requiem, per via della compattezza del testo, la lingua del poeta appare in tutto il libro (anche nei testi aggiunti al Requiem) salda e fedele a se stessa, pur mantenendo quel particolare tono colloquiale ed evocativo molto vicino alla poesia orale e omerica. Così che qui si staglia nettamente, dinanzi al lettore, la sobria originalità della tessitura poetica di Lêdo Ivo: versi lunghi e morbidi come un lento volo d’uccelli, che lasciano senza fiato se li si legge ad alta voce; immagini ricorrenti e ripetitive di relitti di navi sulla costa in un paesaggio dove “acqua e terra si dissolvono”; le luci dei fari e la nebbia; le canoe, i granchi che camminano sulle dune, le conchiglie e gli uccelli, con “il silenzio degli aironi addormentati nello stagno”; le chiese abbandonate, dai muri scrostati e le case di paglia e fango; la fitta e tipica vegetazione dei mangues che evoca il paradiso terrestre, l’origine della vita e della specie umana; e poi l’improvviso scarto: il rovesciamento del “candore dell’acqua” e l’apparizione degli insetti che riportano in vita la morte:

      La morte, sempre la morte, che ci importuna
      con il suo ronzio da mosca funeraria.

Così come la mano che cerca nel buio “un corpo nuziale”, quello dell’amata che è volata via “come un uccello nell’oscurità”.
Le illuminazioni di rimbaudiana memoria (e Lêdo Ivo ha tradotto il poeta francese) qui si sono trasformate in schegge di luce che trafiggono il cuore e la mente (“Dinanzi all’arsenale marcito /scorgo solo la scheggia /che è rimasta delle illuminazioni”), i testi sono preghiere piene di domande e di dubbi su Dio e sulla morte eppure sempre forti e limpide, come se proprio il dubbio fosse il martello con il quale scolpire immagini o l’indispensabile attrezzo per raddrizzare (ammortizzare) le storture della vita, il dolore e la sostanziale solitudine dell’uomo:

      E fluido come l’acqua e duro come le rocce
      sto sempre dov’è il dolore del mondo.
      Anche quando solo, cammino fra gli uomini.

      (“Anche quando solo”)

Il recupero del ricordo va ben oltre la propria nascita, risale di generazione in generazione, si lega alla stirpe indios dalla quale discende il poeta, a quei famigerati Caetés, quasi tutti sterminati nel 1500 per aver banchettato con il corpo del primo vescovo cattolico inviato sulla costa brasiliana.
Recuperare i ricordi per sbozzare una morte meno tragica?
Aprire una porta, una finestra verso il futuro?
In effetti nel poema c’è una simbologia ricorrente legata e porte e finestre che si aprono e si chiudono, per esempio: “Ogni porta chiusa è un porto da aprire”, ma non credo che sia questo il dato essenziale, che sembra più legato al passaggio dei giorni, alla quotidiana scoperta, visto che poi, sostanzialmente, “la vita evapora come le anime /nel cielo che non ospita alcun dio”.
Il Requiem è un profondo e laico atto di fede nella vita che prende avvio con un verso secco e isolato: “Sto qui, in attesa del silenzio”. Un adagiarsi (riposarsi) dentro il mistero della creazione, nell’esistenza di tutte le cose: gli alberi, l’amatissimo paesaggio dell’infanzia legato alla città di São Miguel dos Campos (culla della sua famiglia materna, più che Rio de Janeiro, dove da decenni vive il poeta), il mare (“il mare che mi veniva incontro come un'offerta, /il mare femminino che carezzava i miei piedi), gli umili, i pescatori, i lavoratori della terra, e i folli: “dove sono i pazzi della mia infanzia, /i pazzi che cantavano e danzavano nel manicomio devastato dal sole?”.

C’è nostalgia, certo (“reclamo quel che ho perso nella lunga traversata”), ma congiunta alla convinzione che “tutto quello che ho perso, l’ho perso per sempre”. Requiem è un libro che commuove profondamente ed accende nel cuore delle luci intermittenti: piccole illuminazioni che confortano, perché la poesia di Lêdo Ivo è un saldo abbraccio a ogni cosa che il cosmo contiene, è un invito a vedere e scoprire (quante immagini in questi versi!), ad ascoltare con attenzione ogni rumore della vita, perché “il giorno più lungo dell’uomo /dura meno di un lampo”:

      Ho sempre amato il giorno che nasce. La prua della nave,
      il chiarore che avanza fra le ombre sparse,
      il lungo mormorio della vita nelle stazioni ferroviarie.


Lêdo Ivo, Requiem, Introduzione, traduzione e cura di Vera Lúcia de Oliveira, Besa Editrice, Nardò, Lecce, 2008, pagg. 97, euro 10 - Volume pubblicato con il contributo del Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere dell’Università del Salento.




POESIE DI LÊDO IVO
da Requiem



II

(…)
Oltre la realtà, ci sono altre realtà
che si dispiegano come gradini. I nostri passi
salgono e scendono la scala, nel giorno miserabile
e nella notte blanda.
Sono come sogni debitori di altri sogni
o finestre aperte sul mare.
Non sappiamo dove siamo. Non sappiamo ciò che siamo.
Nulla sappiamo, se non che c’è una notte
pura e vuota ad attenderci. Una notte intoccabile
oltre il fuoco e il ghiaccio, e oltre ogni speranza.

Con la sua mano sinistra la morte schiaccia
i nostri sogni di insetti abbagliati
e rovescia il candore dell’acqua racchiusa di schegge.
La morte, sempre la morte, che ci importuna
con il suo ronzio di mosca funeraria.


III

Chi ha la chiave dei sogni apre qualunque porta.
Chi naviga dormendo arriva in qualunque molo
e nelle navi vede l’abolizione della morte.

E ho sempre udito la voce che mi chiama nel buio,
la voce dell’altro lato, giunta da altri mondi
che si disfanno nell’aria, lambiti dalla bruma.

Ho sempre amato questa voce che nemmeno è voce,
un sussurro del nulla, la cenere commossa,
una sabbia che stride nella spiaggia sconfinata.

Il fogliame della notte mi copre quando dormo,
lenzuolo funebre di una sole puro che cerca sempre la tenebra,
mormorio di una fonte, pietra bianca di un muro.

E ho sempre amato il tempo e le intemperie,
la termite che prolifera nella nudità della materia,
nelle pallide colonie della notte depredata.

La fortuna ha voluto che, nel perdermi,
sempre mi ritrovassi, anche stando
nel naufragio che è sempre opera del vento.

Ho sempre amato ciò che vive nell’acqua delle mangrovie.
Ho sempre amato ciò che nasce. Ho sempre amato ciò che muore
quando la notte crolla sopra le case degli uomini.


VIII

Dopo tanti viaggi, questa è l’ultima frontiera
che mi tocca attraversare.
La barca senza nocchiere oscilla nell’acqua viscosa.
E io sono il fango nero pieno di miasmi
che regge le palafitte della miseria e della morte,
e la verità della fame nelle labbra mute.
Mi è stato dato solo di conoscere la pioggia interminabile
e questo vento che trascina il vento stesso
nel giorno delirante, nella notte iraconda.
Ho visto la marea che avanzava nella penisola
e il mare che mi veniva incontro come un’offerta,
il mare femminino che carezzava i miei piedi.
C’è una conoscenza che sfugge ai miei passi
anche quando calco le assi marcite dell’arsenale
e cerco nella mia ombra la prua delle navi.
Il tempo è il signore della verità e della menzogna.
Dico addio alla canicola. È l’ora dell’arrivo
di quell’uccello migratore che appare solo d’inverno
e turba il mondo sedentario con il suo canto stridente.
O chiarore, addio! Mi congedo dal sole,
dal mare incomparabile e dalla notte intempestiva.
Ho vissuto senza comprendere che tutto è perdita e passaggio
e che la brezza marina cancella i nomi delle navi
e porta molto lontano i rumori della vita.
Ora il silenzio del mondo sigilla la mia anima.
Il roseo raggio della rosea alba
indica la notte scura.
Da me stesso allontanato dalla morte,
questa conchiglia che non conserva il rumore del mare,
è qui che termina, nel fango nero delle lagune,
il mio lungo cammino fra due nulla.



Traduzione dal portoghese di Vera Lúcia de Oliveira.




LÊDO IVO

È nato a Maceió, Alagoas, nel 1924. Ha avuto la sua prima formazione letteraria a Recife e dal 1943 vive a Rio de Janeiro. Il suo esordio letterario è del 1944, con As imaginações (Le immaginazioni), libro di poesie al quale seguirono altre ventidue raccolte. Nel 2004 è stato pubblicato il monumentale Poesia Completa 1940-2004 (Topbooks, Rio de Janeiro). Oltre alla poesia, Lêdo Ivo si dedica anche alla prosa. Il suo primo romanzo, As alianças (Le alleanze), del 1947, conquista un importante premio nazionale. Pubblica altri quattro romanzi, una raccolta di racconti, Use a passagem subterrânea (Utilizzare il sottopassaggio), e due testi per l’infanzia, O menino da noite (Il bambino della notte) e O canário azul (Il canarino azzurro). Tra i saggi figurano Ladrão de flor (Ladro di fiori), O universo poético de Raul Pompéia (L'universo poetico di Raul Pompéia), Poesia observada (Poesia osservata), Teoria e celebração (Teoria e celebrazione), A ética da aventura (L'etica dell'avventura) e A república de desilusão (La repubblica della delusione). Come memorialista, ha pubblicato Confissões de um poeta (Confessioni di un poeta) e O aluno relapso (L'alunno svogliato).
Lêdo Ivo ha ricevuto numerosi e importanti premi. Nel 1990 è stato eletto Intellettuale dell'anno in Brasile. Le sue opere di poesia e prosa sono state tradotte e pubblicate in vari paesi, fra i quali Inghilterra, Danimarca, Stati Uniti, Messico, Perù, Spagna, Olanda, Venezuela, Cile e Italia.

Di Lêdo Ivo sono stati pubblicati in Italia:

  • Illuminazioni, antologia poetica a cura di Vera Lúcia de Oliveira, Multimedia Edizioni, Salerno, 2001
  • Requiem, a cura di Vera Lúcia de Oliveira, Besa Editrice, Nardò, Lecce, 2008


alexbrando@libero.it



Sulla poesia di Lêdo Ivo vedi anche:
Breve antologia poetica di Lêdo Ivo (numero 2)
Confessioni di un poeta: Lêdo Ivo (numero 5)
di Vera Lúcia de Oliveira