FILI D'AQUILONE rivista d'immagini, idee e Poesia |
Numero 10 aprile/giugno 2008 Identità & Conflitto |
CONFLITTO D'IDENTITÀ
POESIE di Alessio Brandolini |
Devi essere aperto come una ferita, perché il vero nome delle cose è nascosto Kajetan Kovič |
così le orme che vengono da lontano: microscopici indizi che non hanno pace residui di tessuti, solo brandelli di carne. Gli alberi e le foglie tornano a spiarci soltanto per te, non per altri: noi due. come quando una nuvola sembra all'improvviso fermarsi, sostare a lungo immobile in mezzo al cielo e la guardi in attesa del minimo spostamento. poi chiudi gli occhi per qualche secondo e quando li riapri la nuvola è già in fuga, oltre i palazzi.
non l'ombra di questo limone spremuto della luna ma c'è la notte che si ricopre di scorie radioattive indossa un mantello d'umidità remota: muschio e cenere la polvere che plana sulle storie quando provi a lavarle con la calce o con l'acqua ramata. Così le passioni, gli ideali e le memorie.
dalla morte la vita o la vita dalla morte? farò a meno dei ganci dove appendere le ossa. Mi ripeto: ho te che la notte mi dormi accanto non voglio più ferirmi, né radermi con il fuoco o insultare questo volto riflesso dallo specchio.
Il buio ricolloca le cose: gli altari nudi e sconsacrati, il pane nero, il frutto verminoso avvolto nella muffa.
in realtà, miei cari amici, già mezzo morto! a spalancare sentieri nel ghiaccio. Metto nelle piaghe grani di sale grosso spremo un limone sulle ferite, le annaffio con l'aceto. I raggi del sole s'infiltrano tra le fessure persino tra le polverose cianfrusaglie della soffitta nel corpo che non dorme eppure si scortica nel sogno.
allo stomaco riempito di vermi di carne andata a male per il rimorso. Non occorre spettinare i pensieri nei sogni perché ora già sei diverso. Veloce a testa bassa tra gli alberi che prolungano i rami per abbracciarti. In ufficio un altro lavora a posto tuo. Non contare le scale, i punti di sutura che ti tengono
o per un fatto eclatante: mi facevi star male. Restavi limpida anche sotto i chili di fango delle mie carezze per questo ora provo a insultarti, a confondere le acque, le mosse delle mani come fossero dei giochi di rondini o di prestigio. Ho sulla pelle del collo gli incisivi della vendetta Ululano al freddo, al gelo della notte
i fiori nel quadro avranno i petali già appassiti la terra sarà più astiosa sotto il sole di settembre. È così che m'incoraggio stando sulle spine
Così, anche se non vogliamo, la palude ci si adagia dentro. Posate sulla tovaglia religiosa pesci nella tasca della giacca aghi nell'occhio e la luna che raglia. Non fare di questa tortura il nucleo della questione il foglio bianco che assorbe l'inchiostro il lupo ammansito che morde il capo ufficio il figlio povero che azzanna il padre ricco il sole e le stelle che rinnegano il proprio splendore. Sai che occorre aprirsi, anzi spalancarsi.
questa pietra è la pietra che resta a rollare nell'aria. Il paragone è con la sabbia, la polvere e la sporcizia di ferragosto. la febbre da cavallo per via del caldo, la pelle strappata di dosso per respirare più a fondo. ora le gambe si distendono nell'acqua del Tirreno sono una festa (e non una farsa) le mani di velluto.
scende con forza sul dente cariato sullo specchio che riverbera la nostra sorte. di gatte cosmiche e volti senza scampo, né nome di taglienti incisivi che frantumano i lampi stellari.
e il rintocco del primo pomeriggio era solo un preavviso di morte. Il volto lacerato e assente di mio padre lo scorgo tra i tavoli della piazza che ha smarrito il Belvedere e senza orientamento gira e rigira intorno a se stessa: trottola di volti, mulinelli di braccia di ragazzi e bambini. Al centro la fontana a conca, abbracciata dai lecci giganteschi. Non una mano per tirarsi fuori dalla rissa, dalla fossa: troppo presi
nei boschi o sotto cumuli di macerie navigherò sull'amore che si scioglie. Attento ai vortici, sordo agli inganni alle aspettative e al rogo delle parole. Un filo senz'ago, né matassa. Un'ape senza polline, né fiore. Il centro sbeccato della città fantasma Non mi regalerò il dono della spartizione
per riconoscersi e spaventarsi. in un conflitto senza scontro. La ricerca d'uno spazio aperto (lampi di tenebre e di tempesta) che mi lascia perplesso davanti alla vita e poi passo degli anni a discuterci sopra. nell'oscurità, nel chiuso della mia coscienza. Figli e moglie e madre e padre e fratelli e amici Ho la passione, amica, ma non il tuo fermo rigore.
come segni di guerra e di vendetta. Inserisco l'occhio d'acciaio nel cuore l'apparato elettronico per avere il giusto necessario miscuglio di sangue/battiti/idee. Così annulleremo la gabbia e il cielo sarà l'acquarello perfetto, fatto su misura per la fuga finale.
infrangere lo specchio.
d'essere qui e ancora vivo, sceso per la scala antincendio prima di dare fuoco alla palude. di spellarmi da solo senza bisogno degli altri. allora tremi e parli di un conflitto. dei giorni a venire costruiti a blocchi. di viaggi verso il polo. Se è questo che vuoi, giuro che non ti capisco. Solide statue di carne e calce. ti avevo chiesto di tenermi la mano
sei qui, con me, rinchiusa in questa stanza. Nel solco oscuro della mano scorrono riflessi d'acciaio e un alligatore perlustra il bordo delle dita. Nel frattempo provo a dare i colori giusti, utilizzando l'unica lingua che conosco, ai disegni astratti e stinti della nostra esistenza. Vedi, ti accarezzo a lungo e non hai più freddo. Lì c'è il telefono. Chiama tuo marito, tuo figlio. Chiama dio, se vuoi. Però smettila di ripetermi che da sempre dialogo soltanto con lo specchio. Apri una birra e risplendi nell'innocenza pieghi la testa tutta da una parte con studiata lentezza accavalli le gambe ti metti in posa come una modella. Poi a un tratto spalanchi la vestaglia ecco, sotto la luce: la morbida ferita.
sanguisuga. però non è giusto, di poeta io non ho un becco né il tatto ma solo le incrostazioni. inoltre diffido da tempo del circo(lo) letterario dei premi e dell'accademia. però spesso mi capita di rosicchiare con gusto (e sofferenza) l'osso della poesia. E non mi arrivano telegrammi. setaccio pietre palmo a palmo. ora il freddo lo sento anch'io. strano, perché in fondo oggi è ferragosto e poi ho addosso tutti questi strati di pelle appartenuti ai miei antenati contadini e dei morti miei e quelli degli altri dei senza lavoro né casa dei martoriati dalla fame e dei morti che ancora non sono morti. ma il boia, impenetrabile al conflitto, non molla, cala la scure con un sorriso.
il falso interesse, quasi aleatorio. ma cazzo, che importa? Ho un letto disfatto di foglie e frasche un rapporto con me stesso tra iena e colomba. In difesa delle illusioni si solleva la folla che a voce alta chiede profezie: condanna gli atei e i fedeli di poca fede.
ecco lo strazio. Incosciente promessa imbullonata allo specchio, alla fitta rete della paura, allo sguardo del lupo.
Tanto che ero pronto a qualsiasi azzardo: spennare un pollo con i denti tagliare le code ai cani randagi incendiare le case vuote del paese. Frigge il pesce sul fuoco. L'uccello arrostisce nel forno.
lassù in alto faceva tropo freddo. Ho il pelo dritto arruffato si direbbe. Sì, sono quello che chiamano un lupo e non mi assomiglio nemmeno un poco.
la pelle, l'osso del cuore. Lontano ci sono parole riconducibili al destino però la voce resta rauca e assente infatti se chiedi di me ti rispondono con un cenno del naso o della testa. Rintracciarsi per caso Ho provato ancora ma insistere Per questo da qualche decennio coltivo in segreto
sul tuo volto, sui tuoi occhi. Abbattermi in una manciata di segni indecifrabili in riflessi di luce tenebrosa o diventare il rosso che stinge le tue labbra.
eppure eri presente: sputavi nelle cicatrici imboccavi i dolori sbeffeggiavi i fantasmi. con te era tutto un altro discorso. Adagiato nella tomba tagliavo i ponti con il passato, il pane con le mani e le briciole mi affogavano all'istante.
Poi quel vecchio combattente si allontana verso il cimitero sotto la Rocca, torna nella tana e intorno scivola la nebbia. Allora faccio come il bambino quando esplode un temporale mi nascondo sotto strati di lenzuola e coperte un metro di terra grassa le croci dei soldati e dei civili morti in Iraq dei sette operari arsi vivi nella fabbrica di Torino.
su questo me che non conosco. Lo critichi e fai bene perché spaventa essere un altro: la lama che sottile penetra in gola o nel costato squarta la notte e con il buio illumina quel poco che è stato amato.
quando abbiamo congiunto con un colpo di follia le nostre strade solitarie e siamo andati avanti, mano nella mano. Perché ora l'esultanza della fuga, l'assenza del minimo contatto? Difficile restare soli quando si è così in tanti, Ma è stato così bello averti accanto
perché la poesia dona molto ma non il tutto/niente che ti salva dalla morte. anche quando me la ritrovo addosso appiccicata ovunque e ferisce lo sguardo lì dove mi sentivo indifeso, e intatto. mi lascia vuoto, stordito davanti al male del mondo. al male mio del padre. al dolore che strappa dagli occhi la visione
le illusioni fulminate dal tempo il nome nascosto delle cose i lampi nello sguardo l'identità e subito dopo il conflitto. Non smuovo una foglia dell'albero senza frutti. sì, spesso mi stacco e non resto.
Roma, aprile 2008 |
La silloge "Conflitto d'identità" fa parte della raccolta inedita Lampi nello sguardo del lupo.
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