FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 10
aprile/giugno 2008

Identità & Conflitto

CONFLITTO D'IDENTITÀ

POESIE
da Lampi nello sguardo del lupo

di Alessio Brandolini



  Devi essere aperto
come una ferita,
perché il vero nome delle cose
è nascosto

Kajetan Kovič

    *
L'ombra del bosco è affilata e tenace
così le orme che vengono da lontano:
microscopici indizi che non hanno pace
residui di tessuti, solo brandelli di carne.

Gli alberi e le foglie tornano a spiarci
segnano la pista che porta alla casa abbandonata.
Ricci di castagno solcano le spalle
donano all'aria le spine e la durezza dell'acciaio.

soltanto per te, non per altri: noi due. come quando una nuvola sembra all'improvviso fermarsi, sostare a lungo immobile in mezzo al cielo e la guardi in attesa del minimo spostamento. poi chiudi gli occhi per qualche secondo e quando li riapri la nuvola è già in fuga, oltre i palazzi.
da un po' di tempo ogni cosa è in continua trasformazione. invece, in noi, nulla avrebbe dovuto cambiare, ma la Terra non la finisce mai di girare, così i sentimenti ci si staccano da dentro e rotolano per la strada. quello che era amore, infatti, da qualche mese è soltanto un paradosso che sconfina nell'odio, nell'oscura foresta di croci, nell'ombra fresca del bosco affilata più di un rasoio.

    le cicatrici sono orli ed occhi spalancati al mondo.


    *
Avrei bisogno di squarci di cielo sempre più ampi
non l'ombra di questo limone spremuto della luna
ma c'è la notte che si ricopre di scorie radioattive
indossa un mantello d'umidità remota:
muschio e cenere
la polvere che plana sulle storie
quando provi a lavarle con la calce
o con l'acqua ramata.
Così le passioni, gli ideali e le memorie.
    Perché pretendere
    dalla morte la vita
    o la vita dalla morte?
L'amore non è uno scherzo, ora sono un altro
farò a meno dei ganci dove appendere le ossa.
Mi ripeto: ho te che la notte mi dormi accanto
non voglio più ferirmi, né radermi con il fuoco
o insultare questo volto riflesso dallo specchio.


    *
Poi passa il vento assassino, annienta gesti e parole.
Il buio ricolloca le cose: gli altari nudi e sconsacrati,
il pane nero, il frutto verminoso avvolto nella muffa.
    Infelice ancor prima di venire al mondo
    in realtà, miei cari amici, già mezzo morto!
Provo con il calore della mano a sciogliere la neve
a spalancare sentieri nel ghiaccio.
Metto nelle piaghe grani di sale grosso
spremo un limone sulle ferite, le annaffio con l'aceto.
I raggi del sole s'infiltrano tra le fessure
persino tra le polverose cianfrusaglie della soffitta
nel corpo che non dorme eppure si scortica nel sogno.


    *
La lingua concede spazi improvvisi
allo stomaco riempito di vermi
di carne andata a male per il rimorso.
Non occorre spettinare i pensieri
nei sogni perché ora già sei diverso.
Veloce a testa bassa tra gli alberi
che prolungano i rami per abbracciarti.

In ufficio un altro lavora a posto tuo.
Avresti dovuto passare
la mano da almeno un paio di decenni
fare giochi d'azzardo, prendere al volo
altre belle donne ed altri amici valorosi.

Non contare le scale, i punti di sutura che ti tengono
abbarbicato a un'idea che non fu tua e ora ti riempie
le vene, il cuore e i polsini sporchi della camicia.
Persino le calze nauseanti dopo il viaggio nella steppa.


    *
Ridevi sempre per la stessa ragione, e mai per prima
o per un fatto eclatante: mi facevi star male. Restavi
limpida anche sotto i chili di fango delle mie carezze
per questo ora provo a insultarti,
a confondere le acque, le mosse delle mani
come fossero dei giochi di rondini o di prestigio.

Ho sulla pelle del collo gli incisivi della vendetta
ma nel cuore il fiato umido delle stelle. Tu ed io
nella tana del conflitto del nostro confuso tempo,
nell'identità che deflagra in giorni senza scampo.

Ululano al freddo, al gelo della notte
cani, iene e i possenti lupi siberiani
annusano i profondi solchi scavati nella carne
e vanno controvento per sfuggire all'odore della morte.


    *
Che t'aspetti di scoprire nella tarda primavera?
i fiori nel quadro avranno i petali già appassiti
la terra sarà più astiosa sotto il sole di settembre.

È così che m'incoraggio stando sulle spine
il battito dell'amore è un conflitto con il tempo.
Ciò che sento è muschio attaccato alla corteccia
sorride morbido e lento in un verde di tenerezza.
Stropiccio a lungo gli spigoli del mio profilo,
lo esploro e lo imbratto con le mani. poi percorro,
quasi a precipizio, il perimetro intorno alla cornice.


    *
Torna il vento freddo del bosco e rigenera questo affanno.
Così, anche se non vogliamo, la palude ci si adagia dentro.
         Posate sulla tovaglia religiosa
         pesci nella tasca della giacca
         aghi nell'occhio e la luna che raglia.
Non fare di questa tortura il nucleo della questione
il foglio bianco che assorbe l'inchiostro
il lupo ammansito che morde il capo ufficio
il figlio povero che azzanna il padre ricco
il sole e le stelle che rinnegano il proprio splendore.

Sai che occorre aprirsi, anzi spalancarsi.
Rifugiarsi in fretta nel bosco
nei solchi e nelle rughe della terra
nel cuore senza battito dell'uomo.
Perché l'esatto nome delle cose (e dell'io)
resta incomprensibile, nascosto allo sguardo.


    *
Non difendo l'anonimato della parola. Infatti
questa pietra è la pietra che resta a rollare nell'aria.
Il paragone è con la sabbia, la polvere e la sporcizia
di ferragosto. la febbre da cavallo per via del caldo,
la pelle strappata di dosso per respirare più a fondo.
ora le gambe si distendono nell'acqua del Tirreno
sono una festa (e non una farsa) le mani di velluto.
    Poi il colpo di martello
    scende con forza sul dente cariato
    sullo specchio che riverbera la nostra sorte.
La notte scrive da sola una storia di lupi affamati
di gatte cosmiche e volti senza scampo, né nome
di taglienti incisivi che frantumano i lampi stellari.


    *
C'era solo la cameriera a ronzarci intorno
e il rintocco del primo pomeriggio era solo un preavviso
di morte. Il volto lacerato e assente di mio padre
lo scorgo tra i tavoli della piazza che ha smarrito il Belvedere
e senza orientamento gira e rigira intorno a se stessa:
trottola di volti, mulinelli di braccia di ragazzi e bambini.
Al centro la fontana a conca, abbracciata dai lecci giganteschi.

Non una mano per tirarsi fuori dalla rissa, dalla fossa: troppo presi
a fasciare le ingiurie alle pagine dei libri, a difenderci dal ghiaccio
di giorni senza volto né radici. la testa nelle tegole rosse delle case
masticando con lo sguardo, coi ricordi, lo specchio che non mente.


    *
Mi regalerò il dono della sparizione
nei boschi o sotto cumuli di macerie
navigherò sull'amore che si scioglie.
Attento ai vortici, sordo agli inganni
alle aspettative e al rogo delle parole.
    Un filo senz'ago, né matassa.
    Un'ape senza polline, né fiore.

Il centro sbeccato della città fantasma
conserverà un muro con una scritta.
Per questo graffio i graffiti
e frantumo le unghie al terrore.

Non mi regalerò il dono della spartizione
la casa dalla terra
il corpo dall'anima
lo specchio dalla luce.
Conterò gli anni ma non avrò rimpianti.
Vivrò in un tunnel senza vie d'uscita
avrò un debole fuoco a cui badare
e una bufera d'immagini dentro gli occhi.


    *
Da decenni questo raccogliersi nella tana del lupo
per riconoscersi e spaventarsi. in un conflitto senza scontro.
La ricerca d'uno spazio aperto (lampi di tenebre e di tempesta)
che mi lascia perplesso davanti alla vita e poi passo degli anni
a discuterci sopra. nell'oscurità, nel chiuso della mia coscienza.

Figli e moglie e madre e padre e fratelli e amici
casi isolati nella casa: così unici nella parola che vibra dentro
quella voce che nulla dice eppure è tutto: il tutto che sa di vuoto.

Ho la passione, amica, ma non il tuo fermo rigore.
Troppo spesso mi distacco, per poi ricadere con un tonfo
né sfoltisco gli alberi che da anni non danno più un frutto.


    *
Ricamo sul viso orrende cicatrici
come segni di guerra e di vendetta.
Inserisco l'occhio d'acciaio
nel cuore l'apparato elettronico
per avere il giusto necessario miscuglio
di sangue/battiti/idee. Così annulleremo
la gabbia e il cielo sarà l'acquarello
perfetto, fatto su misura per la fuga finale.
    Non sarà necessario
    infrangere lo specchio.


    *
Adesso, infatti, sprizzo odio per la gioia
d'essere qui e ancora vivo, sceso per la scala antincendio
prima di dare fuoco alla palude. di spellarmi da solo
senza bisogno degli altri. allora tremi e parli di un conflitto.
dei giorni a venire costruiti a blocchi. di viaggi verso il polo.

Se è questo che vuoi, giuro che non ti capisco.
Sto qui seduto da tre giorni sulla pietra che ci stacca dalla terra.
Avanzo veloce verso la luna, supero il treno che ci porta a casa.
Era rimasta soltanto un po' di cenere sparsa sulla tomba
e il fumo compresso sulle pareti sembrava il pianto d'un insetto.
Pregavo spesso, quasi ogni giorno, come osservato da qualcuno.

Solide statue di carne e calce. ti avevo chiesto di tenermi la mano
non di rigare il cuore e trapassarlo da parte a parte. ruvida amante.


    *
Dovresti avvertire i tuoi.
sei qui, con me, rinchiusa in questa stanza.
Nel solco oscuro
della mano scorrono riflessi d'acciaio
e un alligatore perlustra il bordo delle dita.
Nel frattempo provo a dare i colori giusti,
utilizzando l'unica lingua che conosco,
ai disegni astratti e stinti della nostra esistenza.
Vedi, ti accarezzo a lungo e non hai più freddo.
Lì c'è il telefono. Chiama tuo marito, tuo figlio.
Chiama dio, se vuoi. Però smettila di ripetermi
che da sempre dialogo soltanto con lo specchio.
Apri una birra e risplendi nell'innocenza
pieghi la testa tutta da una parte
con studiata lentezza accavalli le gambe
ti metti in posa come una modella.
Poi a un tratto spalanchi la vestaglia
ecco, sotto la luce: la morbida ferita.


    *
A mitraglia sparavano sentenze. dicevano che i poeti sono assassini o signori
sanguisuga. però non è giusto, di poeta io non ho un becco né il tatto ma solo
le incrostazioni. inoltre diffido da tempo del circo(lo) letterario
dei premi e dell'accademia. però spesso mi capita
di rosicchiare con gusto (e sofferenza) l'osso della poesia.
E non mi arrivano telegrammi. setaccio pietre palmo a palmo. ora il freddo
lo sento anch'io. strano, perché in fondo oggi è ferragosto e poi ho addosso
tutti questi strati di pelle appartenuti ai miei antenati contadini
           e dei morti miei e quelli degli altri
           dei senza lavoro né casa
           dei martoriati dalla fame
           e dei morti che ancora non sono morti.

ma il boia, impenetrabile al conflitto, non molla, cala la scure con un sorriso.


    *
Il disappunto per quello che scrivi è risaputo. talvolta
il falso interesse, quasi aleatorio. ma cazzo, che importa?
Ho un letto disfatto di foglie e frasche
un rapporto con me stesso tra iena e colomba.
In difesa delle illusioni si solleva la folla che a voce alta
chiede profezie: condanna gli atei e i fedeli di poca fede.
    L'imbarazzo persino per il sogno,
    ecco lo strazio. Incosciente promessa
    imbullonata allo specchio, alla fitta
    rete della paura, allo sguardo del lupo.


    *
Lo sapevano bene, di lei ci andavo pazzo.
Tanto che ero pronto a qualsiasi azzardo:
spennare un pollo con i denti
tagliare le code ai cani randagi
incendiare le case vuote del paese.

Frigge il pesce sul fuoco. L'uccello arrostisce nel forno.
Invece sono uscito (in realtà ho fatto finta), poi ho sposato un'altra
e non ricordo se sono ancora vivo se sono la stessa belva bastonata
di prima. Per lei, comunque, da decenni non esisto
o forse sopravvive un vago ricordo: un corpo senza testa né braccia.

    Ho provato a bussare alle nuvole
    lassù in alto faceva tropo freddo.
    Ho il pelo dritto
    arruffato si direbbe.
    Sì, sono quello che chiamano un lupo
    e non mi assomiglio nemmeno un poco.


    *
L'abbraccio ora scalfisce
la pelle, l'osso del cuore.
Lontano ci sono parole
riconducibili al destino
però la voce resta rauca e assente
infatti se chiedi di me ti rispondono
con un cenno del naso o della testa.

Rintracciarsi per caso
in un abito azzurro
ben stirato, con tanto di cravatta
dalla parte più vantaggiosa,
opulenta e sicura della Terra.

Ho provato ancora ma insistere
è piantarsi a un muro di lamiera
di chiodi arrugginiti, fili spinati
di schegge di vetro e occhi sgusciati dalla paura:
quelli di giovani in guerra, per lo più statunitensi.

Per questo da qualche decennio coltivo in segreto
le vibrazioni delle foglie e i colori meno intensi.
Il celeste, per esempio, come lo sguardo del padre.


    *
Temo di vedermi mentre lento mi frantumo
sul tuo volto, sui tuoi occhi. Abbattermi
in una manciata di segni indecifrabili
in riflessi di luce tenebrosa
o diventare il rosso che stinge le tue labbra.
    Non ricordi gli sguardi
    eppure eri presente:
    sputavi nelle cicatrici
    imboccavi i dolori
    sbeffeggiavi i fantasmi.
Sono rimasto indietro, distante,
con te era tutto un altro discorso.
Adagiato nella tomba tagliavo i ponti
con il passato, il pane con le mani
e le briciole mi affogavano all'istante.


    *
Il padre di mia madre con lo sguardo sgranato prende le distanze. ripete che il Tevere non è la linea di sangue che separa dal mondo così come il paese sul monte non è il pesce che sguazza nell'aria né un confortante rifugio per le allodole. Avvisa la morte quando la cerchi, potrebbe ignorarti. è fatta così: ama le sorprese. talvolta concede il dono della vita a chi non lo merita.

Poi quel vecchio combattente si allontana verso il cimitero sotto la Rocca, torna nella tana e intorno scivola la nebbia. Allora faccio come il bambino quando esplode un temporale mi nascondo sotto strati di lenzuola e coperte un metro di terra grassa le croci dei soldati e dei civili morti in Iraq dei sette operari arsi vivi nella fabbrica di Torino.

    Quel ragazzo ululava tutti i giorni eppure non rispose (forse non si riconobbe allo specchio) l'unica volta che venne chiamato.


    *
Ti dichiari incerto
su questo me che non conosco.
Lo critichi e fai bene perché spaventa
essere un altro: la lama che sottile
penetra in gola o nel costato
squarta la notte e con il buio
illumina quel poco che è stato amato.


    *
Ho imparato a conoscerti a fondo e poi ad amarti
quando abbiamo congiunto con un colpo di follia
le nostre strade solitarie e siamo andati avanti, mano nella mano.
Perché ora l'esultanza della fuga, l'assenza del minimo contatto?

Difficile restare soli quando si è così in tanti,
in troppi. Dici che vuoi pensarci ancora
scavi e trovi parole avvelenate.
Se m'incontri ti volti dall'altra parte
tiri manciate di chiodi sulle ferite spalancate.
Forse avrei dovuto andarci adagio, non dirti nulla.
Imitare la lumaca che ogni notte taglia il traguardo
e essere la volpe che strappa l'uva ai denti del lupo.

Ma è stato così bello averti accanto
per un tratto di strada, mano nella mano,
tagliare assieme il freddo della steppa.


    *
Allora godere è questo saluto e l'abbraccio forte che dirada la fitta nebbia
perché la poesia dona molto ma non il tutto/niente che ti salva dalla morte.
anche quando me la ritrovo addosso appiccicata ovunque e ferisce lo sguardo
lì dove mi sentivo indifeso, e intatto. mi lascia vuoto, stordito davanti al male
del mondo. al male mio del padre. al dolore che strappa dagli occhi la visione
    lo sguardo spalancato come una ferita
    le illusioni fulminate dal tempo
    il nome nascosto delle cose
    i lampi nello sguardo
    l'identità
    e subito dopo il conflitto.
Lacera l'involucro che cela il fuoco: la passione, amica, non il tuo fermo rigore!
Non smuovo una foglia dell'albero senza frutti. sì, spesso mi stacco e non resto.


Roma, aprile 2008



Riflessi a Parigi, foto di Ambra Laurenzi


La silloge "Conflitto d'identità" fa parte della raccolta inedita Lampi nello sguardo del lupo.
Un grazie ad Ambra Laurenzi per la foto.


alexbrando@libero.it