FILI D'AQUILONE rivista d'immagini, idee e Poesia |
Numero 5 gennaio/marzo 2007 Alterazioni climatiche |
LA NATURA SOGNATA DI GIORGIO VIGOLO di Magda Vigilante |
Fin dall'esordio, la natura occupa un posto centrale nell'opera in prosa e in versi di Giorgio Vigolo (1894-1983). Gli elementi naturali: boschi, montagne, fiumi, paesaggi non solo suscitano intense emozioni nell'animo del poeta ma ne permeano anche l'inconscio da cui affiorano nei sogni. Questa profonda adesione al mondo della natura non avviene tuttavia solo in chiave idilliaca, ma comporta anche la percezione degli aspetti oscuri e inquietanti posseduti dalla natura.
Questi primi componimenti poetici risentono della lezione appresa da Rimbaud - le cui Illuminations Vigolo aveva tradotto nel 19143 - e utilizzano la modalità espressiva del "frammento", breve testo dove l'autore registra le sue impressioni nella loro immediatezza. In seguito le tonalità più decisamente surreali, caratteristiche delle prose liriche apparse sulla rivista "La Voce", si stemperano in una visione onirica della natura che è uno dei motivi principali della raccolta poetica Conclave dei sogni4.
Nella raccolta Conclave dei sogni è avvenuta, invece, l'opera di decantazione del materiale magmatico appartenente alla realtà esterna o interiore che affiora nella poesia ancora in tutta la sua incandescenza. Il componimento Settembre7 richiama ancora il tema del sogno, ma stavolta prevale la dolcezza del ricordo d'una stagione beata cui abbandonarsi quasi in un abbraccio materno. Tutto acquista una magica luminosità e leggerezza: (...) "Dietro le spalle un oro / sereno sentivo dal mare / invisibile. // Al sol cadente i cupi / massi di musco avvolti / parean tenere e pure / materie d'un più lieve / pianeta...", nel processo di progressivo affinamento anche espressivo che introduce alla nuova fase poetica.
Prima di pubblicare Conclave dei sogni, Vigolo aveva dato alle stampe, nel 1931, il volume Canto fermo9 che riuniva sia prose liriche che poesie. In una di queste prose, intitolata Senza tempo10, si evidenzia una particolare funzione che l'autore attribuisce alla natura. Il poeta s'incanta "alla svolta di una strada di campagna costeggiata dagli olmi" dove in apparenza non c'è nulla di speciale "[m]a nella luce chiara e ferma del meriggio questa vista tanto semplice aveva una tranquillità così antica e immutabile che m'ha rapito come un'apparizione". Gli sembra, anzi, di essere già stato in quel luogo, mentre è sicuro di non averlo mai visto prima.
Lo scoppio della seconda guerra mondiale, con un lungo richiamo alle armi, produsse una frattura profonda nella vita di Vigolo, che lo costrinse a trovare un nuovo significato alle drammatiche esperienze in cui era coinvolto. Nei nuovi componimenti, pubblicati in seguito nel volume Linea della vita12, proprio l'"esperienza vissuta" in senso lato viene collocata al centro della poesia che solo può giustificarla e trascenderne i limiti. Di questo mutato clima poetico risente anche la rappresentazione del mondo della natura.
Il volume La luce ricorda del 196720 - che riunisce tutta la produzione poetica di Vigolo da Conclave dei sogni fino alle Nuove poesie degli anni 1957-1966 - testimonia l'evoluzione stilistica e ideologica della poesia vigoliana, la quale si riflette anche nella diversa concezione della natura, dalla valenza onirica al significato di unica salvezza concessa al poeta provato dagli anni e dalle delusioni della vita. Ora, infatti, solo la natura sembra godere di una felicità imperscrutabile per gli uomini:
nella luce, ne sono sicuro: respira il verde delle loro foglie verso il sole come in un estatico equilibrio dell'essere. La consapevolezza della dolorosa incomprensione tra il poeta e la società si acuisce nelle poesie della raccolta Fantasmi di pietra22 dove Vigolo si rifugia nei ricordi, sentendosi ormai un sopravvissuto nella sua città che ha così amato da portarne impressi nel cuore per sempre i luoghi percorsi in tanti anni. Solamente nella natura, però, il poeta trova un po' di pace: "Uscire ai campi ancora mi consola / e solo andare in compagnia degli alberi / a toccare il cielo sulla collina".23 Nella sua solitaria passeggiata egli incontra una capra legata a cui si rivolge con parole di tenerezza, aiutandola a districare la zampa, e il mite animale lo ringrazia "con voce umana".
1 Cfr. "Lirica", II (Natale 1913), pp.87-8. |
GIORGIO VIGOLO
Breve antologia di prose e poesie
Da "Lirica" (1913)
Ecce ego adducam aquas I due amanti si sono uccisi; nell'alto borgo, nere case a specchio del lago, il popolo come allucinato non fa che parlare di quella morte. E i suicidi giacciono tuttora abbracciati nel loro letto d'albergo. Un profeta scarno sulla sabbia parla di un terribile castigo celeste per qualche loro inaudita lussuria. E questa notte infatti, come sempre quando si covano terremoti e simili flagelli divini, si sono uditi dalle oscure stalle i cavalli e le gravide giumente piangere e gridare con voci umane; poi, come il giorno è stato alto nei cieli, funeste nubi di quando in quando come stormi di locuste s'addensavano a lutto sul sole, e ne trasaliva il placido verde delle selve e delle acque velandosi d'improvviso pallore come volto di profetessa all'angoscioso presagio. Annunziata così, la tempesta, piedignuda e discinta, è apparsa dietro le selvose montagne del sud, riversa sulla sua quadriga di nuvole. E allora si sono aperte le cataratte del cielo, il Niagara tuonò, sommerse; scomparsa è ogni linea di paese come sul litorale d'un infinito oceano; e s'odono tra i contrafforti montani e silvani cadere le folgori, urlare le forre come fauci di trafitti giganti, mentre i contorti pini e tutte le disperate conifere dalle rupi cui s'avvinghiano son rapite di schianto e girano come festuche nel vento. Ma sulla bella dolomite rosea che rifiorisce tra i lampi fiammeggia una corazza di rame. Tartaro o Nibelungo è il rosso guerriero che la sua lancia d'oro agita in una corona di nembi? Svelati, gridami il tuo nome, Vercingetorige, Odino! Or ecco, mentre soppressa dal suo stesso terrore la fauna odierna si rifugia nel convulso utero della madre, l'antidiluviana risuscita nel procelloso clima; e già sul lago io scorgo, emerso dai sotterranei fiumi, l'ittiosauro enorme erigersi fuori dal gorgo, l'inclito serpentoso capo dardeggiando a fiutare l'eguale che appaghi le sue ferocie... - Ma Tacetevi - io grido - tacetevi. - E so che non varrà la mia voce. - Prima che si risommerga sotto la diluviana furia ogni silvestre chioma e sottomarina ridiventi, prima che vi si anneghino i popoli, le metropoli, le basiliche e le supreme torri, guardate quella finestra aperta sull'uragano, guardate quelle quattro candele che insanguinano il turbine, ma non si spengono ancora.
4
Sudano i cieli notturni come la fronte del moribondo un sipariuccio sgargiante da pochi soldi stona all'orizzonte come il belletto su un viso di prostituta in gramaglie sul lago ebete cavallette dagli occhi di fosforo filano sull'acqua morta e le livree verde e oro dei ramarri mettono il terrore nei canneti sotto la balza di selce nella ruga scura della forra ove s'è allibita la nota stellare dei grilli c'è un gigante che parla in sogno addormitosi dalla parte del cuore gli uomini sono da più anni scomparsi dalla terra io solo appollaiato su questo pagliaio...
Amore per la sorgente
Ho seguito le tue melodie sotterranee, tutta la notte, o sorgiva! Quale segreta affinità mi orientò verso le tue case nascoste, o vena occulta della terra? Quale amore, per tramiti latenti, ti indusse a sposare la mia anima, perché tu potessi parlare?
Ho sognato settembre: una strada Al sol cadente i cupi
Buio mattino di novembre, spenta Senza tempo
Mi sono incantato alla svolta di una strada di campagna costeggiata dagli olmi: più giù un gruppo di case rustiche con un camino da cui balzava il fumo; e, dinnanzi all'uscio d'una di esse, un mulo bardato che scuoteva lentamente la coda. Niente di più di questo. Ma nella luce chiara e ferma del meriggio questa vista tanto semplice aveva una tranquillità così antica e immutabile che m'ha rapito come un'apparizione: E mi sembrava d'aver già contemplato un identico luogo in un immemoriale passato mentr'ero pur certo d'esser capitato lì, per la prima volta in vita mia.
Soffermandomi poi a considerare quel colore d'antica lontananza come lo vedevo riflettersi in me da quegli alberi e da quelle case, ho finito col darmene una chiara e umana ragione. In quella strada di campagna nulla v'era che non avesse potuto trovarvisi tale e quale anche tremila anni prima; nulla che in qualsiasi modo richiamasse alla mente il tempo in cui viviamo. Quella semplice scena spaziava in un'epoca distesa e lontana; la sua ora vasta, scandita in una pausa d'oro, comprendeva tanto l'oggi, che l'ieri, che il domani e, anziché rilevarne il contrasto li uguagliava in pace, come la curva del fiume ove l'acqua sempre diversa scorre con gli stessi disegni e con lo stesso colore.
Pensavo invece alle anguste visuali che una città moderna apre nel tempo: spiragli limitatissimi, attraverso i quali non ti è dato scorgere che il più ristretto presente sempre in rissa col più recente passato. Le vie cittadine col loro continuo cambiar d'aspetto, d'anno in anno, di mese in mese, servono quasi da meridiane alla Storia per segnarvi continuamente che ora è; impongono un'ora eguale per tutti ed è impossibile regalarvisi un tempo fantastico e personale. Il mutare dell'edilizia vi segna le ore; le botteghe e la moda, i minuti. Non solo: ma sul viso stesso della gente che ti passa d'accanto è dipinta - pur nel molteplice delle fisionomie - un'espressione concorde che non è quella di un anno fa, che non sarà più quella del prossimo inverno; tutti partecipano più o meno di quella certa atmosfera conforme e portano scritto in faccia: Viviamo nell'anno tale.
Invece, quando ci si inoltra per le strade di campagna, il tempo si comincia subito a dilatare, a divenire più tollerante e più comprensivo; sul viso dei butteri austeri non è scritto un anno o un secolo, è scritta un'era. Le donne grandi, coi capelli lucenti, i grossi pendagli d'oro alle orecchie e i coralli al collo, sporgono dai corsali damascati le mammelle brune di sole ad allattare i loro pargoli grassi con gesti antichissimi di idolesse e di isidi. La vita da secoli fluisce attraverso quelle membra pesantemente scolpite, come dentro statue perfette e inalterabili.
Già la fermezza e l'immutabilità di queste pietre umane immerse da migliaia di secoli nel fiume del sole senza esserne rose o mutate, ti dispone ad accogliere i grandi paesaggi di rocce che altra età non ricordano, altro tempo non misurano, se non le epoche di questo pianeta. La luce, il vento e le piogge passano attraverso questo paesaggio come in una clessidra lentissima, a limare i profili delle rupi e ad invecchiare una foresta: sono questi i suoi minuti e le sue ore, segnati sull'immenso quadrante della pianura dalla freccia d'oro del fiume che trasloca insensibilmente il suo alveo, ogni secolo un nulla, e dal mare che mangia le spiagge, come incanutiscono le tempie.
Nella natura il nostro tempo umano più non vige; e non è questa forse l'ultima ragione di quel grande sollievo e oblio che l'uomo fruisce fra gli alberi; in una solitaria campagna egli potrà sentirsi giovane, fanciullo, antichissimo o non ancor nato, a seconda che glielo dirà il cuore o che glielo proporranno i pensieri.
Sorpresa del mattino Bene di bosco odora
Ho sentito l'odore della terra
Trasognato e felice tanto mite scendeva Via Monserrato, via del Pellegrino,
Nel burrascoso meriggio Sorprendo ma attraverso gli occhi O alberi salmisti, con pianete
Dopo la notte di diluvio il limpido Cantano le montagne attraversate
Uscire ai campi ancora mi consola |
GIORGIO VIGOLO
Nato a Roma il 3 dicembre 1894, Giorgio Vigolo esordì con le sue prime composizioni poetiche sulle riviste "Lirica" di Roma, diretta dal poeta Arturo Onofri, e "La Voce" di Firenze diretta da Giuseppe De Robertis. Successivamente collaborò a "Il Mondo" di Giovanni Amendola (1924-1932), "La Fiera Letteraria", "Circoli", "Letteratura", "Il Giornale d'Italia" (1939-1941). Nel 1923, a Roma, pubblicò il volume di prose liriche La citta dell'anima cui negli anni fra le due guerre, seguirono i volumi Canto fermo (Roma, 1931) con prose e poesie, Il Silenzio creato (Roma, 1934) e la raccolta poetica Conclave dei sogni (Roma, 1935). Nel secondo dopoguerra si occupò di critica musicale per "Il Mondo" di Pannunzio e curò diverse rubriche musicali alla Radio da "Punto contro Punto" a "Musica e Poesia". Più tardi raccolse i suoi articoli musicali nel volume Mille e una sera all'opera e al concerto (Firenze, 1971).
BIBLIOGRAFIA
Edizioni e ristampe
Poesia
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