Da parecchio tempo, la televisione si trova sul banco degli imputati come fosse il tarlo più rappresentativo della nostra epoca. Le accuse provengono in primis dagli educatori, dai genitori, e dalla gran massa degli stessi telespettatori che, pare strano a dirsi, mentre la guardano la odiano e più la odiano più la guardano.
Proprio su questo argomento, il ventiquattro novembre 2006, si è tenuto al Centro Culturale Europeo di Genova, un incontro tra Antonio Ricci, l'inventore di "Striscia la notizia" e di molte altre mitiche trasmissioni di satira televisiva e l'intellettuale francese Bernard Noël, scrittore, poeta, saggista e drammaturgo, una delle voci più rappresentative del nostro tempo e autore di un testo cruciale intitolato La privazione di senso (Il testo integrale, inedito per l'Italia, è apparso nel numero di giugno 2006 in allegato alla rivista di arte e cultura "Icaro").
Ma che cosa dice, di così radicale, il pamphlet di Noël di cui il giornalista Giuliano Galletta scrive sul quotidiano Il Secolo XIX: "Il bel testo di Bernard Noël fa rientrare di diritto il suo autore nella categoria degli Apocalittici, che vanta peraltro illustrissimi precedenti: i filosofi Adorno, Baudrillard e Popper, autore quest'ultimo del saggio Cattiva maestra televisione"?
Prima di passare al resoconto dell'evento, vi presentiamo uno stralcio de La privazione di senso.
Il principale agente della privazione di senso è oggi la televisione. Lo è attraverso l'ascolto considerevole di cui gode, lo è anche per via dei comportamenti che induce nella politica, nell'economia, nel tempo libero. L'ascolto è considerevole poiché non esige nessun altro sforzo che quello di sedersi davanti al televisore, guardare e ascoltare. Mai nella storia era esistito un mezzo d'informazione o di cultura così facilmente offerto al consumo. Questa facilità, ovviamente è significativa in quanto insorge in opposizione alla legge morale e elementare la quale assicura che nulla si dovrebbe ottenere senza sforzo. Oramai ad ogni ora e senza la minima fatica, il telespettatore ottiene notizie, distrazioni, documentari. Gli basta mettersi in situazione di passività e lasciarsi penetrare da ciò che vede. Tutto gli è donato sotto forma d'una parata d'immagini parlanti che sfilano tanto nel suo spazio mentale quanto davanti ai suoi occhi per il motivo che spazio visuale e spazio mentale sono costantemente legati. Si può già ragionevolmente arguire che questo legame non può risultare neutro e che la compenetrazione della sfilata, giorno dopo giorno, attraverso gli occhi porta alla pigrizia di poter formare, ciascuno per sé, rappresentazioni mentali personali, dunque di senso. Le immagini televisive sono, d'altronde, il più delle volte immagini stereotipate in qualsiasi campo. Di conseguenza invitano a formarsi un sistema di rappresentazione a loro stessa somiglianza. Ne deriva uno spossamento dell'originalità a vantaggio d'una specie d'immaginario consensuale composto di tutti gli identici elementi formattati dalla visione delle stesse trasmissioni. Era considerato di buon gusto trovare eccessivo questo tipo di analisi ma il direttore di TF1 (prima rete televisiva francese, ndt) recentemente lo ha fatto apparire moderato assicurando che il ruolo della televisione era di "fabbricare cervelli disponibili" e quindi principalmente spalancati alle seduzioni della pubblicità. Tanto vale sapere che la privazione di senso è cinicamente pianificata: ciò evita di doverlo dimostrare e dà modo d'interrogarsi su una perdita che, al di là del senso, ha a che fare con la vitalità. Sembra piuttosto normale che il funzionamento del pensiero sia compromesso da una sfilata d'immagini insignificanti che si sostituisce al suo movimento naturale, ma l'effetto debilitante di tale sostituzione va parecchio oltre. Sarà perché il tempo trascorso a fare qualcosa implica l'impegno di una stilla uguale della nostra vita? Sarà perché, di conseguenza, la stilla di vita spesa a lasciarsi assorbire dall'irrilevanza è in fin dei conti una spesa mortale? Così si sta sempre estrinsecando il sentimento che non si tocca lo spazio mentale senza toccare il corpo. E che il corpo in questa faccenda rimane gravemente colpito. In questo gioco delle immagini l'apparenza è la principale mercanzia: fa in modo che si compri il nulla, ma fa anche aderire al nulla lo spettacolo politico oppure fa amare il nulla delle posture sentimentali o erotiche. La felicità è un'immagine e lo stesso avvenire ne è un'altra. La realtà è ormai in sovrappiù. Essa si oblia nello sguardo medesimo che portiamo su di essa poiché lo sguardo preleva su di essa una somiglianza che a noi è sufficiente. Il corpo è trattato in modo identico, però dall'interno, poiché è il suo interno che per prima cosa funge da spazio allo spettacolo, a dire il vero meno da spazio che da canale e addirittura da sfioratore. Le immagini vi ci colano senza essere assimilate. Sono indifferenti a chi le riceve: penetrano e passano. Conta soltanto il loro movimento e conta che quest'ultimo sia passante.
Il loro senso non è che una direzione, una progressione, che cancella man mano ciò che fa progredire nel corpo trattato come un semplice tubo di ricezione e di scarico. E questo tubo ha per orifizio il cervello: un cervello reso infatti disponibile grazie al movimento e che non trattiene nulla tranne i messaggi nei quali i pubblicitari condensano un po' di senso.
Questo senso è, beninteso, servile: non mira a rischiarare e meno ancora a nutrire il pensiero, ha per unico scopo di far consumare questo o quello, esso stesso altro non è che un prodotto inserito in un imballaggio denominato spot o flash. Ma il senso dei telegiornali o delle trasmissioni politiche non è meno servile di quello della pubblicità la quale serve loro da modello. Tranne rarissime eccezioni, non si tratta d'informare bensì di far consumare una visione consensuale dell'attualità o di tale personaggio, tale partito, tale avvenimento. Il procedimento del consumo guida tutti i discorsi: sta modellando l'educazione e la cultura.
Questa situazione s'avvera rovinosa poiché il consumatore non è considerato come un cittadino responsabile delle sue scelte e neppure come un compratore in grado di ragionare: si cerca soltanto di sviluppare in lui una servilità che disarma la sua coscienza e la sua resistenza davanti ad un prodotto o un individuo che porta la maschera di un'immagine seducente. In realtà, l'installazione della servilità è cominciata quando lo spettacolo, invece di sollecitare la partecipazione dello spettatore, lo ha ridotto alla passività. Uno spettatore passivo è un tubo senza filtro, che non riflette e non digerisce e ciò lo rende capace di assorbire a getto continuo. Questo spettatore in grado di ingollare senza ritegno è il prototipo del consumatore perfetto.
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Va da sé che non si può trattare il vostro corpo come un semplice organo d'assorbimento buono solo a ingozzarsi d'immagini senza essere disprezzato. Questo corpo sfruttato sia nella sua esistenza corporale sia nella sua esistenza psichica non è più che una sorta di buco organico innestato su di voi per parassitare il vivente e trasformarlo in consumatore servile di ciò che gli si fa trangugiare.
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Genova - Centro Culturale Europeo
venerdì 24 novembre 2006, ore 17 e 30
Tocca all'intellettuale francese aprire la discussione. Spiega, nella sua lingua, come la televisione sia in grado di agire sui meccanismi profondi che alimentano il pensiero. Confessa di aver subito anche lui, come tutti, il fascino della televisione "ma mi sono reso conto", spiega con voce pacata "che il flusso continuo delle immagini occupando lo spazio visivo occupa anche lo spazio mentale. In altre parole, chi cattura i vostri occhi cattura anche il vostro cervello".
Parole dure.
Noël possiede la nuda potenza di non dire nulla più del dovuto.
Allora, pensiamo, non è vero che la nostra mente escluda certi stimoli (come ci avevano fatto credere) dopo averli filtrati a un basso livello di consapevolezza, per esempio durante uno spot pubblicitario? Eppure, spesso ci dimentichiamo persino di togliere l'audio col telecomando, convinti che il cervello coi suoi misteriosi filtri, annulli per conto suo i suddetti stimoli...
Ma, digressione a parte, torniamo al dibattito.
Antonio Ricci, enfant terribile della satira televisiva ascolta il "j'accuse" dell'ospite straniero. Da lui, "integrato" (per usare il linguaggio di Umberto Eco) che la televisione la fa, il pubblico si aspetterebbe una strenua difesa del mezzo in questione. Invece - e qui assistiamo a un colpo di scena - ne diventa il feroce accusatore, forse ancor più catastrofico di Noël: "Per me la tv ha un senso che è quello di essere il potere. Occupa gli spazi mentali? Si tratta allora di difendersi da questa occupazione". E giù a decretarne l'ignominia: "La televisione è una meretrice agghindata per vendere e per vendersi. È un enorme suq. Si vendono prodotti ma c'è chi è disposto a vendere se stesso, il proprio dolore". E sbotta col suo fare sornione: "Non è la tv che crea i deficienti di oggi ma la scuola che alleva i deficienti di domani". La sua analisi continua. Disposto ad ammettere che la nostra tv è troppo invadente, Ricci propone che si debba lavorare per fornire ai giovani difese adeguate: "La tv è come l'AIDS, se la conosci, non ti fa più paura".
Noël, sul fatto della scuola concorda con l'autore di Striscia: "Mi capitò, tempo fa, di osservare studenti francesi delle medie. Parlando con loro mi accorsi che non passava nessuna comunicazione. Questa mancanza di comunicazione era dovuta ad una loro ostilità all'immaginazione. Andai a fondo: capii che erano completamente assuefatti alla tv. In casa possedevano addirittura due televisori: quello dei genitori e quello piazzato nella loro camera. Quando la testa dei ragazzi è piena d'immagini (fa riferimento anche ai computer di ultima generazione, ndr) che cosa resta da immaginare?".
L'incontro entra nel vivo. Ricci, mostra i filmati di memorabili truffe smascherate da Striscia. Il moderatore Arnaldo Bagnasco fa saltar fuori i termini di "controtelevisione" e "contropotere". Moderatore che, detto per inciso, è diventato ormai in questo dibattito la terza voce; cosa inevitabile in quanto ideatore e conduttore di storici programmi televisivi. Trent'anni di tv alle spalle (Palcoscenico, Mixer Cultura, Punto e a capo) non sono pochi; ha la sua da dire. E la dice. Si rammarica (senza peli sulla lingua) come un figlio costretto ad assistere all'umiliazione della madre, che non si faccia più vera cultura in tv, che non si osi farla, lui che aveva portato persino il teatro di Gilberto Govi sullo schermo. Ma la parola "cultura", evidentemente, fa venire le paturnie a Ricci che si abbandona ad un: "La cultura in tv? Ma è sodomia, un'azione contro se stessa. La tv, ha altri tempi, altro linguaggio, chi ha detto che debba educare?".
Bagnasco s'infervora sul fatto che il problema della televisione di oggi consiste nel non voler trattare la complessità e la considera piena di stereotipi. Ricci tira fuori le sorelle Lecciso - il solo nome fa sì che il pubblico rumoreggi - ma non si tratta di uno scivolone stilistico da parte dell'autore, le Lecciso servono solo come forza dell'esempio a dimostrare che anche "l'insignificante" in tv fa audience. Tra l'altro - e non sembri irriverente - ci piacerebbe sapere come avrà fatto l'interprete simultanea, a spiegare a Noël la faccenda delle Lecciso, perché ci pare di scorgere un po' di smarrimento nel suo filosofico sguardo.
Ci pensa Bagnasco a cambiare registro e, rivolto a Ricci (il quale lo accusa en passant di essere il primo ad aver inventato la rissa in tv), usa la carezza e il pugno: inizia col dichiarargli la sua ammirazione per avere da anni smascherato tante truffe (una per tutte Vanna Marchi) aprendo gli occhi ai telespettatori; per aver coraggiosamente affrontato parecchi processi a causa degli "attapirati"; per essere un accusatore scomodo del cinismo politico che ammorba l'Italia; poi - perfido - affonda il coltello: "Ma quello che ti rimprovero è di aver inventato le veline. Perché le nostre ragazze italiane crescono col modello delle veline in testa" (applausi; fiocca qualche "è vero").
Allora, il papà del Gabibbo e delle veline dispiega a trecentosessanta gradi energie e simboli, e con una spiccata propensione al lirismo: "Le veline? Esistevano già; ho solo evidenziato qualcosa che c'era. Portano in tv la loro nudità perché non hanno niente da nascondere. Sono pure. Più credibili di Lilli Gruber e di quelli che vanno a Porta a Porta; velina è Bruno Vespa; velina è Crepet quando parla di Cogne; veline sono i politici quando vanno a Ballarò con i loro discorsi già in testa e nessuno che ascolti quello che abbia da dire l'avversario! A Striscia, nulla è lasciato al caso: vi ci si trova un comico ctonio e l'altro uranico; nella scenografia si mostra una mensa sopra la quale le ragazze ballano; sotto la mensa, il mare appare in tempesta e in tutte le antiche simbologie la tempesta equivale al dubbio; diversi Soli anziché uno brillano per annunciare le molte verità; l'invasato è rappresentato dal Gabibbo che parla con voce non sua; è posseduto dal dio per dire le sue verità ed è rosso come simbolo del sangue; le veline parlano solamente nell'offertorio, ovvero quando il dio diventa merce (nella televendita). I miei giornalisti sono volutamente improponibili (uno di questi gira addirittura con uno sturagabinetti in testa) e scovano notizie che né il TG1 né il TG5 si sognano di trovare.
"È una confessione sublime, piena di stereotipi e antistereotipi, ma almeno ci hai aperto il tuo cuore e fatto capire l'anima di Striscia. Sei geniale Ricci, ma... delirante", tuona Bagnasco.
Noël mette in chiaro che la sua critica della tv parte da una constatazione fisiologica e non da una elaborazione intellettuale. "La cosa che mi incuriosisce di Antonio Ricci è che apparentemente ha inventato un contropotere. Io rifletto da trent'anni sul contropotere e non sono mai riuscito a trovare la soluzione. Il problema è che quando il potere cambia mano, cioè quando s'instaura la rivoluzione, la stessa rivoluzione mette al potere un identico potere a quello in vigore prima di lei. Penso che questo sia la sua sconfitta. Se Ricci riesce a pensare potere e contropotere insieme, è meraviglioso!". Ma Ricci non si pone a contropotere: "ho solo il potere di rompere le scatole a potenti e truffatori e porto sulla gobba centocinquanta processi. Il mio potere semmai è cercare di cambiare le cose. Null'altro".
Arnaldo Bagnasco, Antonio Ricci e Bernard Noël
Riprende Noël su un altro versante e riferisce che oltralpe le cose non sono tutte rose e fiori. Racconta del cinismo di quel direttore francese di TFI che, beccato in un fuori onda si lasciò scappare: "Il ruolo della tv è rendere i cervelli disponibili". "In parole semplici" spiega Noël "significa che le sue trasmissioni servono a fare in modo che il cervello di chi guarda debba registrare solo il messaggio pubblicitario poiché solo il messaggio pubblicitario è portatore di un certo senso". Almeno la sua "gaffe" sarà servita a far aprire oltre che i cervelli anche gli occhi ai francesi. Da noi, per il momento, i dirigenti della RAI, con rustica sapienza, non sono ancora caduti in simili trappole, anche se nel momento in cui scriviamo hanno gatte e pacchi da pelare...
E i programmi?
A Noël non importa gran che dei programmi: "Durante la guerra dell'Iraq, era sempre lo stesso aereo che atterrava, sempre le stesse bombe. Quelle immagini fanno tutto fuorché informare". Si capisce che se non dovesse ogni tanto guardarle come osservatore forse butterebbe il televisore (magari lo ha già fatto e non osa dirlo?). Sottolinea l'impoverimento, l'omologazione del linguaggio portato dalla tv: "Quand'ero piccolo, nella mia regione esisteva una bellissima lingua che era il provenzale, ora, per via della tv non esiste più, è morta sotto gli occhi di tutti". Bagnasco sostiene invece che in Italia l'unificazione della lingua, è stata un bene dal momento che da nord a sud, un tempo non si comunicava. Il francese ribatte: "il mio timore è che si perdano le sfumature, le nuances. Quando un ragazzo, dopo aver fatto l'amore, non trova altro da commentare alla sua partner che: "sei stata super", beh, è davvero un peccato". Poi, allontana la cuffia della simultanea e, rivolto al pubblico, come in un sussurro di Sibilla, lancia: "È curioso, credevo di essere venuto in Italia per dire cose sgradevoli sulla televisione, invece trovo due interlocutori più arrabbiati di me!". Bagnasco gli chiede dell'Audimat (Auditel francese). "È l'unica riuscita alchemica di tutti i tempi. Perché trasforma il piombo in oro: Cioè trova il modo di trasformare la quantità in qualità. Cosa mai vista!"
C'è da giurarlo, le discussioni sulla televisione, non si interromperanno qui, anzi, servono da invito a utilizzare costantemente l'arte della critica. Ma il nocciolo del discorso, forse, non verte sulla nostra società malaticcia e inquinata nei suoi gangli per cattiva volontà? Tra l'altro ci chiediamo (anche per schiodarci dalla rassegnazione) se non varrebbe la pena di provare, nelle sbilenche giornate che viviamo, ad accendere il nostro televisore interiore per fare un'incursione in territorio ignoto, quello del cervello, alfine di renderlo disponibile a nuove personalissime immagini. In altre parole, perché non renderlo disponibile al respiro poetico della vita?
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