Sotto la neve (dicono) il tempo scorre più lentamente,
ogni cosa si avvolge nella propria ombra,
nel bianco silenzio del suo sangue.
EUGENIO MONTEJO
“Non c’è nulla di più bello dell’inverno, del freddo”, ripeteva ogni giorno Luigi, mio amico fin dall’infanzia. Lui aveva sempre caldo nella sua vecchia giacca appartenuta al fratello Aurelio. Avremmo avuto vent’anni, forse diciannove, e anch’io non uscivo mai di casa, nella parte più alta e vecchia del paese, con il cappotto, che probabilmente nemmeno possedevo.
Con Luigi e altri amici camminavamo di sera per ore e ore lungo il viale alberato che dalla piazza principale, quella con al centro la grande fontana e l’angelo di bronzo, arrivava a lambire la strada statale che portava giù a Roma, così vicina e distante, per noi che non possedevamo né auto né moto. Una capitale tutta da esplorare che ci attendeva a braccia spalancate, però non c’era mai nessuno che se la sentisse di accompagnarmi quando prendevo l’autobus fino a piazza San Giovanni in Laterano e visitavo chiese, musei, piazze, passando per la basilica di Santa Maria in Aracoeli, fin su al Campidoglio. Lì mi sedevo per riposare qualche istante davanti ai magnifici ruderi dell’Aventino e mi sentivo sereno e felice, come se entrassi nella storia in punta di piedi, come se lì, in mezzo agli antichi pavimenti e imponenti colonne, nel bianco scolorito del marmo, ci fosse un po’ di spazio anche per me, e questo mi tranquillizzava.
Poi la sera tornavo al paese stanco ma inebriato, con quel mio giaccone leggero, e riprendevo le passeggiate con gli amici, le infinite partite a pallone, le discussioni politiche, il cinema (ce n’erano due a quell’epoca). Passeggiate senza fine, senza meta, su e giù, in continuazione. Che importava se poi ti ritrovavi con mani e piedi gelati e le guance arrossate dal freddo?
I mei amici non avevamo mai voglia di “scendere” con me a visitare la città perché amavano troppo queste cose e non volevano perdersi nulla dei nostri preziosi momenti. “Sì, di sicuro un giorno ci andiamo giù, ma più avanti, senza fretta: tanto mica scappa. Da quanti secoli sta lì la città? Magari in primavera ma adesso godiamoci questo bel freddo invernale”.
Sì, il nostro paese d’inverno era davvero bello, coi boschi tutti innevati e i candelotti di ghiaccio lungo le grondaie che dovevi stare attento a passarci sotto perché ogni tanto si staccavano. Se il freddo era troppo intenso ci rifugiavamo nella cantina di qualcuno, con la serpeggiante grotta scavata nel tufo, a bere un goccio di vino rosso e a cucinare castagne che mangiavamo bollenti rigirandocele tra le dita, soffiandoci sopra, passandole velocemente da una mano all’altra. Vino rosso spillato dal barile appoggiato su due rudimentali cavalletti, vino rosso più adatto durante la stagione fredda perché ci riscaldava il sangue, i nostri semplici pensieri. Ci lasciavamo abbracciare dai boschi circostanti tutti spruzzati di neve e dal terso cielo invernale appollaiato sui tetti scuri delle case medievali.
Ma a un certo punto, anno dopo anno, l’inverno cominciò a cambiare, a essere più corto e sempre meno freddo. Di neve ormai ne cade poca e sembra un ricordo bizzarro e improbabile quello di inverni in cui al mattino occorreva uscire dalle finestre perché di neve, in una sola notte, ne era caduta due metri ed era impossibile aprire i portoni delle case, delle cantine, dei negozi e delle botteghe. Allora con le pale scavavamo dei tunnel nella neve accumulata e indurita per passare da un punto all’altro, da casa alla piazza per comprare almeno il pane e il latte, qualche salsiccia da mettere sulla brace. Facevamo a gara a chi era più svelto, più bravo.
Ora fa sempre più caldo e di neve soffice e miracolosa non ne cade più, i boschi restano scuri, avvolti nella loro ombra e in attesa di accendersi, di tornare a risplendere. Le montagne circostanti non si rivestono di bianco, di zucchero filato, di soffice panna. Capita, a volte, ma sempre più raramente, che faccia un po’ di neve, una spolverata e allora vedi i bambini del paese correre felici a perdifiato per prendere al volo quei rari fiocchi, metterseli sulla punta della lingua per assaporarli e conservare il più al lungo possibile l’idea della neve e del gelo, di quella pura bellezza. Speriamo che ne cada ancora, dicono, e di più, così da poter fare un bel pupazzo con gli occhi di carbone e il naso di carota, o almeno una palla di neve.
La prossima settimana, martedì 30 gennaio, io e mia moglie abbiamo programmato una gita al mare dalle parti del Circeo, andremo a trovare un paio di amici che vivono in quella zona e poi pranzeremo assieme in un bel ristorante sul lungomare. Fa caldo, sì, ma non da farsi il bagno, ma potremo starcene al sole, sdraiati sulla sabbia, come in estate, davanti a quel mare azzurro e assolato che vide Ulisse sbarcare per raggiungere Circe e liberare i marinai che avevano bevuta la pozione traditrice della maga.
È vero, non c’è nulla di più bello dell’inverno. Quando fa freddo, quando cade la neve.
|