FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 64
luglio 2023

Estate

 

LA RUNA

di Elena Soprano



Bambini, un film già visto, ma a ridosso dell’estate non è saltato fuori niente di meglio. Qualche anno prima si era ritrovata in una scuola d’infanzia, tra grembiulini giallo canarino e water da gnomo. Un bellissimo centro privato nel cuore di Mondo Buono, di quelli con chiostro, alberi e mamme coi tacchi su monopattino trend. Doveva sostituire una maestra in maternità. Dopo tre mesi, si sgancia. La morsa degli orari, la stabilità emotiva di fronte ai piccoli: in classe non gli puoi mica portare i tuoi minotauri interiori, e pure in ritardo, eh. Già si fa qualche problema per le sue All Star scolorite con le stringhe grigiastre e i jeans presi all’usato. “Non è cosa” si dice Marlena. E allora via, si imbuca di nuovo in quella zona d’ombra tra pulizie, sondaggi telefonici, supermercati. Impieghi a singhiozzo, in un ritmo di sincopi e pause alla Miles Davis contro ogni zavorra di buon senso. Pensa a un corso per operatore di ripresa, magari di tecnico del suono. Non esclude le discipline olistiche: lo Shinrin–yoku, per imparare il linguaggio degli alberi, la proietta in un futuro di boschi giapponesi e di letture sulle onna-bugeisha, le donne samurai, belle con la pelle di porcellana e i capelli di seta, quelle che la guerra con bollette e affitto da pagare l’hanno già vinta senza combattere.

È il primo giorno e Marlena incontra l’educatore responsabile del centro, l’Educatore Magno. Le ricorda Gioele, sembra la sua versione scontenta e scarnificata con piercing ai sopraccigli e il tatuaggio di una runa celtica al collo. Una versione top secret uscita da un sogno. Strattona un bambino trascinandolo per un braccio secondo il prontuario della spiccia pedagogia della mal sopportazione.

“Io non posso farmi sangue marcio per te, capito?” urla “Se non accetti queste regole, staiacccasa, chiaro??”

Voci che rimbombano in aule senza un poster, carta igienica che manca, il montascale per disabili rotto. Mondo Cattivo. Aspettando il pranzo si fa il gioco del mimo. Un bambino imita qualcosa di imprecisato, ma frenetico, potrebbe essere qualsiasi cosa, un meccanico al cambio gomme nel box Ferrari di un Gran Premio, un gelataio a Riccione il 15 di Agosto, vai tu a sapere. “So io cos’è!” esclama uno sui nove anni “Uno stupro!”

In Mondo Buono le uscite scolastiche si fanno su pulmini con l’aria condizionata e i vetri fumé. In Mondo Cattivo coi mezzi pubblici, aspettandoli per tempi interminabili sotto il sole feroce.

La piscina poi bisogna meritarsela, calcandosi sulla 90 bollente e strapiena della circonvallazione. Marlena è in piedi tre teste dietro l’educatore, gli vede la nuca rasata, la runa a un lato del collo a forma di papillon, una pretesa di eleganza per l’appuntamento simbolico col cosmo. Un sms, guarda la notifica. Gioele. È a Berlino. Dopo il master ha avuto un’offerta, sei mesi in un laboratorio odontotecnico: progettazione di protesi al titanio per bocche bioniche.

“Vieni?” le chiede una sera di giugno “Qualcosa da fare a Berlino si trova sempre.”

Marlena si immagina per un istante con le ali d’angelo di Bruno Ganz sulla Gedachtniskirche nel film di Wim Wenders.

“Tipo?”

“È pieno di gelaterie italiane.”

“Il gelato mi fa schifo.”

“Era solo un’idea. Pensaci.”

Ci pensa. E alla fine Giole parte da solo. Ma non smette di mandarle messaggi con lo screenshot dei voli low cost.

La meta è la piscina Ponzio, struttura anni Venti del secolo scorso. I bambini sono così vogliosi di tuffi che arrivati agli spogliatoi si cambiano a velocità Superman e si trovano subito un compagno, il primo che capita, per fare fila. Marlena e le altre signorine del centro estivo, una fauna femminile di età variabile tra i diciotto e i cinquant’anni, raccattano come segugi mutande e calzini abbandonati dai bambini nella fretta. Poi un pianto disperato. E risa.

“Oh Madonna, e adesso che c’è? Le piangine le prossime volte stannoaaccasa!” sbotta l’educatore, ciabatte infradito e bermuda con palme sbiadite di cinque estati prima. Tale Marcella, sei anni, singhiozza in lacrime, la madre gli ha rifilato la sua cuffia da doccia a fiori.

Le risate degli altri hanno cominciato in sordina e adesso sono a un volume da cinema Dolby Atmos.

“E allora,” fa l’Educatore Magno sfilandogliela e mettendosela in testa mentre le labbra si stirano in un ghigno “vuol dire che me la presti, visto che non ho la mia… …e chi ride non entra in acqua!”

Silenzio immediato. Qualcuno, per rimediare, perché ormai la risata sfarfalla già oltre il proprio fiato, accenna a un rapido “Facciamo cambio?” con la propria cuffia stretta in mano e il braccio teso verso la bambina.

In una frazione di secondo l’impeto solidale sfuma: l’uscita in esterno toglie il respiro a tutti, persino a Marlena che l’entusiasmo facile l’ha perso coi denti da latte. Erbetta, un bar a rotonda, in fondo due casupole con gli stemmi reali e in mezzo, la lunghissima vasca, di un’acqua azzurra quasi irreale, da Truman Show. Una scheggia di Mondo Buono. L’educatore sembra avere il megafono incorporato, dà istruzioni a volume da spiaggia: “Adesso camminiamo fino alla nostra postazione, appoggiamo gli zaini e venite con me sul bordo piscina.” Marlena gli vede la runa a lato del collo pulsare, cambiare forma sulla pelle quasi a volersene distaccare. Inizia la parata. I bambini camminano con una solennità da sfilata olimpionica. Sul braccio hanno tutti una scritta e un numero da piccoli deportati ai lager: Scuola Invernizzi, 02 86547382. Le signorine glielo hanno scritto a pennarello nero prima di partire.

Legge il messaggio con l’ennesimo screenshot.

“Vieni per il week end. Ti regalo il biglietto io.”

Ci penso, si, no, forse, magari, arrivo, non so. Un labirinto di possibilità.

Un bambino urla, qualcosa gli ha pizzicato un piede.

“Una formica rossa!” strilla la voce acuta

“Eddai Marlena…” conclude senza concludere un secondo sms.

Non siamo rimasti poi così amici, dice lei, disfunzione percettiva che non vede sfumature, sostiene lui. Come no.

Sfumature. Potrebbe sguazzarci per anni nelle sfumature, le verrebbe naturale. Si sente fatta di un io fluido che non riesce a identificarsi in niente. Bianco e nero, giusto e sbagliato, buono e cattivo, sono solo appigli. Scogli in un mare troppo fondo per riuscirci a nuotare.

L’educatore in fondo è un artista e parte col suo assolo dirigendo l’ensemble. Fa sedere i bambini con le gambe nell’acqua e dà il via alla conta in coro dal trenta all’indietro. I più piccoli perdono subito il conto. Qualcuno ha il conteggio speedy e in volata sul gruppo si ritrova subito al quindici, il resto arranca nella scansione sillabica ad alta voce, ripete qualche numero due volte e si incaglia tra ventitré e ventuno.

“Non fate i furbi o si riparte da sessanta e poi aggiungo dieci numeri ogni volta!” sbraita.

E così si riparte. I bagnanti lì a prendere il sole alzano la testa per il fuori programma da show. Al numero dieci del countdown chi è nei pressi indietreggia, al cinque fa un visibile passo indietro. Allo zero la squadra si butta e per una frazione di secondo Marlena ha l’impressione che anche l’acqua della vasca arretri. Per un’ora la piscina diventa un mare con onde alla Hokusai, schiuma e i piedi di bambini che guizzano come pesci volanti. Le signorine osservano, fanno qualche richiamo per dare segno di presenza, solo un paio hanno azzardato il bikini, il resto ha quell’abbigliamento da estate urbana stile pigiama corto e ciabatte. Marlena, jeans sdruciti e canotta nera, nel bombardamento di voci a bordo vasca, si pensa in una gelateria italiana in Germania, vede Bruno Ganz sulla Gedachtniskirche che le sorride, entra nell’effetto yo yo di quando aspetta che la scelta si formi da sé, da quei rimasugli emozionali che si riorganizzano con un diverso Dna, per sorprenderla con una sensazione di compimento. Cerca su Google la simbologia delle rune. Quella del tatuaggio dell’educatore è Dagaz: Cambio di un’era. Ecco, più semplice di così.

Dopo un’ora abbondante, al comando di uscire, la maggioranza della bambinaglia corre alla postazione battendo i denti a tagliola con la pelle d’oca. Alcuni dei grandi rimangano attaccati al bordo, facendo gara a chi esce per ultimo. L’educatore adotta la sua strategia di sperimentata persuasione tirandoli su per le orecchie. Alcuni asciugamani sporcati dai piccioni sono inservibili, i bambini rimangono al sole in piedi, addentando la merenda con gli occhi fissi, avidi, sulle persone ancora in piscina. E, finalmente, il ritorno, lento e faticoso, con l’acqua della bottiglietta finita, i pantaloncini infilati senza mutande perché nella fretta non si trovavano. Un bambino si ferma, si allaccia una scarpa, il resto della colonna in marcia lo supera, una scena da remake cartoon per piccoli di Guerra e Pace. Ecco, è il momento, Marlena accoglie il gelido eccitamento della decisione, il brivido alla schiena, il serpente che non ti aspettavi tra l’erba.

Vorrebbe rispondere con la grazia e l’affilata precisione di un ideogramma giapponese.

Stoacccasa, chiaro?? Tutta l’estate, tutta la vita. Fan culo i tuoi screenshot” digita. Le ali d’angelo si fanno di ghiacciolo verde menta e subito si sciolgono, Bruno Ganz la fissa per un attimo incredulo prima di diventare una figurina a matita che va in dissolvenza. Forse non voleva farlo davvero, ma l’ha fatto. Ha inviato e ora non può rimediare come ogni volta nella sua sfida al senso di gravità affettivo. L’educatore urla così tanto che la gente per strada si volta e si guarda intorno per vedere con chi ce l’ha. Tutti a passo spedito di nuovo alla 90. Molti si girano un’ultima volta a fare “ciao ciao” al centro balneare.

“Quando ci torniamo?” chiede qualcuno.

“Domani?” aggiunge qualcun altro.

“Veloci!” sibilano le signorine.

“Svelti, svelti, via da Mondo Buono,” pensa Marlena sgambettando, “altrimenti, se ci ingentiliamo un po’, l’Educatore Magno, che ci sta a fare?”

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