Perché non facciamo una rappresentazione vivente della Passione di Cristo? La proposta, partita dal maestro Orlando, era piaciuta a tutti, cittadini e Autorità: “Straordinaria! Faremo un figurone! Siamo i primi, qui intorno!”. Il professor Galastri, il viceparroco Don Paolo e il fresco laureato Antonio furono incaricati di organizzare l’evento.
I luoghi della rappresentazione vennero individuati subito: le tre piazze del paese per la casa del Sommo Sacerdote, per il Sinedrio e per la sede del prefetto Ponzio Pilato. La strada che corre intorno al Borgo sarebbe diventata la Via Dolorosa, e il rialzo naturale del Poggio pareva fatto apposta per impiantarvi le croci del Calvario.
La ricerca degli attori si rivelò più complicata. Giuda non voleva farlo nessuno; alla fine, la faccia storta di Gino Muccubruttu non lasciò altra scelta. Per il Sommo Sacerdote e Pilato si pescò tra i paesani più paini. Per Erode non ci fu nessun dubbio, considerata l’espressione truculenta di Peppe iu ‘Ngrugnatu.
Ma fu per Gesù che si scatenò la lotta tra i pretendenti: “Tu sta’ rassu comme un porcu!”.
“E tu sta’ fiaccu comme la bbona morte!”
“E quistaru? Me pare Cristo vecchiu!”
“Non parlà tu, che biastimi comme un turcu!”
Alla fine fu scelto Mimmo, detto iu Divu, perché assomigliava a un attore del cinema.
Rimanevano i ladroni. Per Barabba non ci furono dubbi; Franco, detto Iu Boss delle Pantana, era antipatico pure alla moglie; per il secondo ladrone fu scelto Ugo Canichella, piccolo, già avanti con l’età e con una faccia da cane bastonato.
Nonostante qualche prova disastrosa, nella settimana precedente la Pasqua tutto sembrava pronto: costumi adatti, scene ben recitate, attori motivati; inoltre, si decise che la banda musicale del maestro Testi avrebbe accompagnato i momenti salienti della rappresentazione.
Purtroppo, il venerdì santo si aprì con una brutta novità: si annunciava una giornata fredda, ventosa, poco adatta a un evento all’aperto. Ma gli anziani decretarono che non era un “ventu acquarolu”, e nel primo pomeriggio le scene della Passione iniziarono a snodarsi come da copione.
Tutto andò bene sino al momento della crocifissione. Mimmo iu Divu, Franco Iu Boss e Canichella, coperti solo sulle pelvi, furono legati alle croci, e queste issate sul rilievo del Poggio. Il maestro Testi fece un cenno, e la banda iniziò il grave e monotono “po-po-popò”. Nella popolazione si potevano notare stati d’animo diversi: chi era attentissimo, chi sorrideva di nascosto, chi alzava il mento dubbioso, chi pareva commosso.
All’improvviso, e inaspettatamente, Canichella, che faceva il ladrone buono, iniziò a dare segni di nervosismo. Si agitava, richiamava l’attenzione, e chi si trovava più vicino a lui lo sentì mormorare: “Me stonco a sentì male. Ficiateme calà da iecchi”.
Tre o quattro sguardi ammonitori lo trafissero subito, ma non poterono evitare che il pover’uomo, dopo un po’, ribadisse la necessità di scendere. Il maestro Orlando, paonazzo, si avvicinò alla croce: “Aspetta Canichè, abbozza un po’, cerca de capì!”
“Ma comme faccio, me sta a fa male la trippa, me stonco a cagà sottu!”
Il professor Galastri, terreo anch’egli, scuoteva la testa: “Lo sapevo! L’emozione, vabbè, il freddo alla pancia… Ma è deboluccio, deboluccio, l’avevo detto io. Mo che facciamo?”
Il povero Canichella sapeva bene che cosa avrebbero dovuto fare: “Oh, ma non capiscite? Stonco male, non pozzo resiste!”
Proprio in quel momento, il maestro Testi comandò alla banda di ripetere il mesto “po-po-popò”, ma la voce disperata di Canichella sovrastò la musica: “Ficiateme cala da iecchi, sennò ve scommerdo tutta la pricissione!”
Subito, dalle persone sotto le croci si levò un solo grido: “Libberate Canichella!” Così fu fatto, e immediatamente il povero ladrone corse come una lepre verso le fratte più vicine.
A dispetto della novità e della solennità della celebrazione, nessuno riusciva più a tenere un contegno: il parroco, i chierichetti, il sindaco, il medico, il farmacista, il maresciallo dei Carabinieri, i maestri, le suore, tutti erano preda di un’irrefrenabile ilarità.
“Beh”, fece il professor Galastri con malcelata ironia, “lo spirito è importante, ma il corpo ha le sue ragioni”.
“Esigenze superiori”, confermò il giovane Antonio.
“No, inferiori”, ribatté sorridendo il maestro Testi.
Don Paolo un po’ continuava a sorridere, un po’ scuoteva la testa. Ma tutti sapevano che, quanto a battute di spirito, non era secondo a nessuno.
“Vabbé”, commentò, “è andata così, ma quando ritorna lo rimettiamo in croce. Ohé, questo è il ladrone che va in Paradiso! E ci andrà più leggero dopo quella sorte de cagata!”.
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