FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 62
novembre 2022

Arrivi

 

UN TRAGUARDO IMMORTALE

di Armando Santarelli



[L’arrivo è uno dei capolavori della letteratura mondiale, À la Recherche du Temps perdu. L’inizio del percorso che conduce al romanzo di Marcel Proust è stato indagato nel saggio di Armando Santarelli È un demonio, quel Proust!, appena pubblicato da Il ramo e la foglia edizioni. L’autore si concentra infatti sull’infanzia e la giovinezza dello scrittore francese, ovvero gli anni della sua formazione umana e culturale. Qui riportiamo il brano (capitolo VII del saggio) che ci farà scoprire il liceale Marcel, l’alunno che a soli dodici anni sbalordiva professori e compagni con le sue composizioni dense di finezze stilistiche e di precoci intuizioni critiche.]



Le notizie biografiche relative alla prima istruzione e agli anni liceali rivelano nel giovane Proust le qualità che con gli anni si sarebbero affinate. Il bambino frequenta per un paio d’anni una scuola elementare, il Cours Pape-Carpentier; ma l’insegnamento passa anche attraverso le lezioni della mamma e di alcuni precettori privati, prassi non rara nella borghesia cittadina del tempo. Impossibile non notare l’assenza di un insegnamento religioso nell’educazione di Proust; in compenso, maturerà preso, nel giovane, la fede nell’arte e nella cultura.

Nell’ottobre 1882, a undici anni, Marcel entra al liceo Condorcet. L’atmosfera stimolante e liberale che si respirava nell’istituto è resa perfettamente da Robert Dreyfus: «Il liceo Condorcet non fu mai una galera. A quei tempi assomigliava a una specie di circolo e aveva un fascino così sottile che certi allievi – Marcel Proust per esempio, e altri miei amici – cercavano spesso di arrivare prima dell’ora stabilita, tanto eravamo impazienti di ritrovarci e di discorrere sotto le smilze ombre degli alberi che ornavano il cortile Le Havre, aspettando il rullo del tamburo che, più che imporci, ci consigliava di entrare in aula. La disciplina non era severa; anzi, alle nostre famiglie sembrava perfino un po’ troppo blanda».

Il livello di istruzione, tuttavia, era molto elevato; in particolare, l’insegnamento letterario, quello filosofico e gli studi storici erano tenuti in grande considerazione. La formazione umanistica veniva completata da recite pomeridiane di classici, conferenze tenute nei teatri del quartiere, pubblicazioni di riviste studentesche e collaborazioni ad alcuni giornali. È un fatto che molti studenti del Condorcet dimostreranno personalità e doti particolarmente elevate; negli stessi anni di Proust studiano in quel liceo Robert Dreyfus, Daniel Halévy, Jacques Bizet, Fernand Gregh, Robert de Flers, Jacques Baignères, Louis de La Salle, Marcel Boulenger, Gabriel Trarieux, ragazzi destinati tutti a eccellenti carriere.

In verità il giovane Proust non si dimostra particolarmente brillante negli studi, fatto certamente attribuibile anche alle prolungate assenze causate dalla malattia. Tuttavia, compare più volte nell’albo d’onore della scuola; odia la matematica, ama le lettere, scrive temi lunghi ed elaborati, è «uno scolaro pieno di fantasia, un apprendista della meditazione e dei sogni, ispirato insomma più dall’incanto della lettura, della meditazione e dei sogni, del sentire, che dall’ambizione di brillare nelle distribuzioni dei premi» (Robert Dreyfus).

Per quanto oscillante fosse il profitto scolastico di Marcel, il suo talento nella composizione risaltava già con netta evidenza. Uno dei suoi insegnanti, Maxime Gaucher, che era anche collaboratore della rivista letteraria Revue Bleue, si rende conto delle eccezionali doti del ragazzo, e ogni settimana ordina a Marcel di leggere i suoi temi alla presenza dell’intera scolaresca. Sappiamo che il professore soleva intervenire criticando o elogiando le composizioni di Proust, e scoppiando non di rado in divertite risate dinanzi alle loro audacie stilistiche. La realtà è che il giovane mostra già doti critiche sbalorditive, ed è capace di trasformare un tema in una vera e propria dissertazione letteraria.

L’entusiasmo del professor Gaucher non è tuttavia condiviso da un altro degli insegnanti di rhétorique, il severo Victor Cucheval, convinto che la prosa di Marcel, lontana dal francese chiaro e corretto dei testi di grammatica, influisca in maniera deleteria sulla scolaresca. Il giudizio divergente dei due colleghi è riflesso nel modo in cui venivano accolti i temi di Proust; è lui stesso a raccontarlo a Dreyfus: «Per parecchi mesi ho letto in classe tutti i miei compiti di francese, mi subissavano di urla di disapprovazione e mi applaudivano. Non fosse stato per Gaucher, mi avrebbero fatto a pezzi». Molto pesante è invece il giudizio di Cucheval, il quale, prima dell’esame finale dell’anno scolastico, osservò: «Lui (Proust) se la caverà, perché non è che un mistificatore, ma sarà colpa sua se un’altra quindicina saranno bocciati». Marcel andò ben oltre quel «se la caverà», perché all’esame del luglio 1889 vinse il primo premio in composizione francese, e il terzo in latino e greco.

Nell’evoluzione dello stile di Proust ebbe una sicura influenza un altro dei suoi insegnanti, il professore di filosofia Marie-Alphonse Darlu, «le cui ispirate parole», scrisse Proust nella prefazione di Le Plaisirs et le les Jours, «fecero nascere il pensiero in me e in molti altri».
Darlu, che in nome della ragione rifiuta la religione, ma anche il positivismo e lo scientismo, è il prototipo del buon insegnante; voleva educare gli alunni a riflettere e decidere con la propria testa, e se non era avaro di incoraggiamenti e lodi, non lesinava neppure giudizi critici e persino sarcastici. Secondo Painter, «le critiche distruttive e costruttive di Darlu furono utili a Marcel più dei giudizi lusinghieri di Maxime Gaucher. Darlu non gli rimproverava l’incoerenza o l’eccentricità dei suoi saggi, ma la tendenza alla banalità e il poco rigore delle metafore. (…) Da Darlu, Marcel imparò che a un’opera d’arte, per essere grande, non basta essere poetica o morale, deve essere anche metafisica; e la rivelazione di una verità puramente metafisica è il tema più profondo della Recherche».

Nonostante i parziali successi, l’andamento scolastico di Marcel non soddisfa i genitori, e li conferma nella convinzione che le carenze del ragazzo siano attribuibili alla mancanza di volontà piuttosto che alla salute malferma. «Ripeterono l’accusa tanto spesso», scrive Painter, «che Marcel finì quasi per credervi, e della mancanza di volontà fece subito una fra le caratteristiche degli eroi di entrambi i suoi romanzi; dopo di lui, vi hanno creduto i suoi critici».

Painter ha ragione: Proust dimostrerà tutt’altro che “una mancanza di volontà”. Nel questionario del “libro di confessioni” di cui abbiamo già parlato, le parole che più ricorrevano erano intelligenza, bellezza, lettura, poesia, teatro. Non c’è dubbio che Proust sia rimasto fedele per tutta la vita a questi ideali e che ne abbia fatto l’oggetto della sua ricerca e della sua produzione letteraria con una forza di volontà che, come sottolinea Painter, si approfondisce «anche negli anni a venire, anche nell’età in cui gli altri si convincono che la ricerca è priva d’importanza o che la vita ha dato loro quel che cercavano».

Céleste Albaret è dello stesso avviso: «Il miracolo del signor Proust è, per certo, la sua volontà. E la sua volontà significava il suo libro. (…) Lo vedevo allungato nel letto, immobile, con gli occhi chiusi, che mi faceva segno di non parlare, e due o tre ore dopo era vestito, usciva, era capace di rimanere alzato almeno dodici ore, e quando rincasava, a volte alle quattro o alle cinque del mattino, mi teneva tre o quattr’ore a conversare, con un fare da gentleman di vent’anni! Spesso mi sono chiesta come faceva a sopportare tutto questo (…) Ogni volta che glielo domandavo mi rispondeva allo stesso modo: “Devo Céleste”. Era per il suo libro che doveva farlo, questo intendeva dire. Per andare a cercare alimento per il suo libro avrebbe fatto qualunque cosa».


Armando Santarelli, È un demonio, quel Proust!, Il ramo e la foglia edizioni, 2022, pagg. 184, euro 16.


armando.santarelli@inwind.it