FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 62
novembre 2022

Arrivi

 

RIDERS

di Elena Soprano



Un inverno che gioca d’anticipo. Gli alberi del parco sostengono fieri le chiome ingiallite, le vetrine sono quelle di Halloween, ma è un freddo già da sciarpa e guanti dimenticati. Mirka approda alla via detta dei “truzz”, quei teenager che ondeggiano su scarpe a zeppa da astronauti in visita da altri universi e metaversi. Imbocca una laterale in porfido, viuzza di carati e cortili la chiama lei, perché c’è il concentrato dei tagliatori e incassatori delle storiche gioiellerie del centro, protetti in palazzi ottocenteschi di una Milano sepolta dal fashion. Qualche pedalata veloce per infilarsi in quel ciottolato ed è perforata da note a raffica di una ballata di Chopin. Una Radio? Qualche studente al baratro del diploma che vive dentro al suo pianoforte a coda? No, quella è la strada dove, secondo un’attendibile leggenda metropolitana, abita il pianista Pollini. Si sta facendo la palestra quotidiana ai polpastrelli. E nonostante l’età. Mirka rallenta, si ferma un attimo, ascolta; alza il viso per farsi accarezzare dalla pioggia poi riparte pedalando con animo blues e sbuca in un’altra scena, dal fondale un po’ asettico, stile razionalista anni Settanta. Fissa un palazzone, scende dalla sua bici di rider, la chiude, la accarezza quasi fosse un cavallo. È tarda mattina, ha già nei polpacci un chilometraggio da Giro d’Italia ma non è stanca. Questo lavoro di mete circoscritte e ordinari imprevisti le dà una discreta autonomia e la allontana da ogni orizzonte di prevedibilità. Si era detta “Provo un paio di mesi” e son passati tre anni. Le piace zig-zagare nel traffico, le sembra di scorrere sullo sfondo di un movie diventando comparsa nelle vite altrui. “Hai una google map in testa, tu, e nessuna destinazione” le aveva detto il suo compagno, Rollo, in una delle loro ultime discussioni. Micro-tappe, spostamenti a chiamata, un minimalismo errante che per Mirka è diventato uno stile di vita. Forse la morte della sorella l’ha cristallizzata in un perenne qui e ora, forse le cose, a volte, chiedono solo di poter essere semplici.

“Quanto tempo pensi di andare avanti così?” aveva poi continuato “Hai quasi trent’anni.”

“Non rispondo a una domanda sbagliata,” aveva replicato lei “let me be.”

Rollo si era dissolto come una macchia di colore poco ostinata in lavatrice, Mirka non ne sentiva la mancanza.

Entra in un atrio rivestito di marmo, la forma allargata da cinemascope. Si ritrova in un cortile, e in un altro ancora, è un palazzo con cortili a matrioska. Si immagina diventare sempre più piccola fino a sparire. Per un attimo, ha un’impressione di dissolvenza. Ama queste digressioni percettive, le prova da quando, un anno prima, ha iniziato Tai Chi. Vorrebbe durassero di più, la trattengono in quell’istante tra inspiro ed espiro, un alveo privo di tempo dove la sua identità le crolla di dosso simile a una pesante armatura. Il clacson di un’auto la riporta nella corsia di routine, al suo passo veloce e leggero. Raggiunge l’ultimo cortile. Un uomo è chino sull’aiuola, un metro quadro di verde, sta cercando qualcosa. Non la guarda, non la saluta. Mirka passa oltre. I riders dopo un po’ smettono di farsi troppe domande. Al limite cristonano un po’ quando piove, in quei giorni in cui capita di sentirsi un pacco di consegna senza mittente. Fa tre piani di scale con falcate da giraffa, suona a un interno. Le apre una cameriera filippina; consegna, fa firmare una ricevuta, saluta. Di nuovo in cortile ritrova l’uomo sul fermo immagine di tre minuti prima. Ha le gambe a X, gli occhi bulbosi, un modesto pullover blu male abbinato a una camicia color caffelatte. Parla senza rivolgerle uno sguardo: “Sa, io qui sono il portinaio, ma curo un po’ anche il giardino. Ho piantato l’erba. Stavo guardando se cresce.”

Mirka fissa l’aiuola. Entra in perfetta risonanza con l’uomo, non le viene da dire nulla. Condivide la presenza, il respiro, il rumore ovattato del traffico in sottofondo. Sono i momenti che preferisce: sente di esserci davvero e di lasciare una traccia del meglio di sé nel Dna dell’aria. China leggermente il capo per salutare l’uomo senza distrarlo dalla sua contemplazione, esce, sblocca la bici.

“Ehi lei, sì, lei, guardi che ci sono le strade per le biciclette, non i marciapiedi!”

L’acuta voce nasale le arriva da dietro. È di una signora con due borse di spesa stracolme, elegante, ben pettinata, scarpe di vernice nera alle undici del mattino di un lumacoso giorno di pioggia tra autunno e inverno. Un tipo non ancora troppo avvizzito per rinunciare a dire la sua, con un profumo che a Mirka fa venire in mente un salotto con poltrone esagerate, un divano autostradale e un cristallo di Venezia pieno di cioccolatini. Appartiene a quel genere di umanità da cui si è sganciata da tempo, alla quale è ormai solo satellitare con rotte accidentali. Una portinaia ovale sbuca sciabattando dal portone di fronte. Tra sorrisi e “Mi dia qua, dia qua le borse, che tempaccio, eh?” offre il meglio del suo portinierato.

Mirka inforca la bici. Il respiro si blocca una frazione di secondo, le succede sempre quando le arriva il sibilo di una frase, di quelle che le vengono senza pensarci, quasi non fossero sue.

“Eh già, chissà mai che la sciura non si slarghi un po’ con la mancia di Natale.”

Una pedalata da giro del mondo e riparte. Mentre si allontana, altre parole fanno la scia: “Nessuno fa mai niente per niente, tranne l’erba.”

elenasoprano206@gmail.com