FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 62
novembre 2022

Arrivi

 

ADALBER SALAS HERNÁNDEZ, NUOVE CARTE NAUTICHE

di Alessio Brandolini



Pubblicato agli inizi del 2022 in Spagna (Editorial Pre-Textos) Nuove carte nautiche [Nuevas Cartas náuticas] è l’ultima raccolta poetica del venezuelano Adalber Salas Hernández (Caracas, 1987), che vive attualmente tra Messico e Isole Canarie, dopo un lungo soggiorno a New York. Un libro denso di cui alcuni anni fa avevo letto alcuni inediti, poi inseriti nell’antologia uscita in Italia (a mia cura) per Edizioni Fili d’Aquilone: Ai margini di un mondo sconosciuto (2019). Nel nuovo lavoro poetico di Salas predomina la vastità del mare: nei suoi aspetti geografici e storici, poi negli abissi marini perché il subacqueo è il primo essere umano a scoprire che per andare fuori da questo mondo non devi abbandonarlo ma entrarci dentro, immergerti fino in fondo come un palombaro.

Compatto nel suo intenso fluire Nuove carte nautiche – come i precedenti libri dedicati alla figlia dell’autore, Melena – alterna poesie brevi a lunghi testi in prosa poetica; lettere di schiavi trasportati su navi negriere; dialoghi con Ovidio che a Tumi, in esilio da Roma, contempla il Mar Nero e nei cinque volumi di Tristia medita sul duro isolamento e trova nella poesia l’unica gioia, la sua unica ragione di vita. E allora ecco i versi in latino, in greco, in portoghese… Cambiano i paesaggi e quindi anche le lingue: le parole ci rivelano anche quando non le conosciamo. Tra visioni e cecità, testimoni di una sete (nonostante il mare) inestinguibile che non comprendiamo fino in fondo, un’arsura atavica che pressa e spinge verso nuove terre. Così i viaggi dei Fenici, di Ulisse, quelli di esplorazione che hanno fatto “scoprire” il Nuovo Mondo (anche se già esisteva), i portolani, i fari, le mappe, le fantastiche Storie naturali di Plinio il vecchio e le tante superstizioni su quest’acqua infinita che per oltre il settanta per cento ricopre la superficie del pianeta Terra.

“Me es dulce anegare en este mar”, citando Leopardi dell’Infinito (“naufragar m’è dolce in questo mare”): inabissarsi nel vasto oceano come metafora dello smarrimento, della fuga. Si può morire stando alla deriva ma c’è anche la possibilità che ci si possa ritrovare, così come quando ci si perde nei meandri della propria mente.
L’oceano, gli oscuri abissi e l’altomare, ovvero un mare fatto di tanti altri mari, come se fosse il lontano continente di una lingua sconosciuta. Miti e leggende e la presenza dei pesci con la loro strana innocenza (i pesci che si incontrano in tutti i libri di Salas: la sua è una poesia circolare che ritorna sugli stessi temi ampliandoli, scarnificandoli...).

All’inizio l’acqua è ostile e si ha paura di immergersi, poi l’uomo costruisce le prime barche fatte con un solo tronco e i remi diventano coltelli che tagliano quel liquido salato per avanzare verso il nulla, lì dove c’è solo acqua eppure si spera di imbattersi in nuovo continente, in una grande isola che potrebbe essere, forse, il paradiso terrestre. Il mare ne inghiotte tanti di questi primi marinai esploratori che vanno a formare l’esercito di affogati che poi, nella solitudine degli abissi, si mettono a coltivare coralli: li ammirano nei loro splendenti colori e poi se ne nutrono.

Nel libro si parla anche dell’arte della navigazione; della capacità di resistere alle onde più alte e alle correnti più forti; di Pigafetta che battezza il Pacifico; delle malattie, come lo scorbuto, che attaccano l’uomo durante la navigazione; delle migrazioni volontarie e di quelle forzate; dello schiavismo che per secoli ha devastato l’umanità e ha lasciato i suoi profondi solchi dove tutt’ora scorrono l’odio e il pregiudizio.

Un’opera letteraria che spiazza per via della sua vastità tematica e i bruschi cambi di stile, come se la bonaccia all’improvviso si trasformasse in tempesta. Occorre allora tornarci dentro più volte per lasciarsi trascinare da altri flussi, da altri e più ardui percorsi e ogni volta la lettura è sempre più coinvolgente, affascinante: si entra e si nuota in nuove e sorprendenti mappe poetiche. Nuove carte nautiche è un libro bellissimo e misterioso, un viaggio circolare nel tempo e nella storia che seduce e disorienta come quando ci troviamo in altomare in mezzo a una tempesta e non sappiamo più nulla di noi. Poi, all’improvviso, il vento si ammansisce e il cielo si fa azzurro e quieto come un animale a zampe all’aria. Allora un soffio di vento ci sposta di qualche centimetro e dentro di noi si accende la speranza, ecco di nuovo il desiderio di trovarsi altrove e con coraggio si riparte, si prende il tragitto verso una nuova destinazione: una casa ancora da costruire, o una nuova carta nautica.


La raccolta poetica verrà pubblicata in Italia nel corso del prossimo anno da Edizioni Fili d’Aquilone (a cura di Alessio Brandolini).




POESIE DI ADALBER SALAS HERNÁNDEZ
da Nuove carte nautiche
[Nuevas cartas náuticas, Editorial Pre-Textos, Spagna 2022]


*

Una de las primeras palabras que aprendí en griego fue Θάλασσα: thálassa o, más simplemente, talasa: la mar.

Muy lejos estaba todavía Πέλᾰγος, pélagos, altamar,

al que le

debemos nuestro archi-piélago, esa voz que originalmente quiere decir mar de mares. Tampoco conocía Πόντος, el ponto avinado de la Ilíada, el

οἶνοψ πόντος

de desconcertante hondura rojiza, como si se tratara del vientre de un animal.

Tenia Θάλασσα. Un sustantivo que antes fue un nombre propio, la diosa que encarnaba el mar: madre de todos los peces y, si hacemos caso a Nono de Panópolis, también de Afrodita.

Θάλασσα. Tres silabas, el rastro de algo muy antiguo, algo que anunciaba el continente de una lengua desconocida.

Como un cometa que pregonara a su paso toda una nueva galaxia.

O como el sonido de las olas cuando la playa aún no está a la vista.
Al decirla, rompe en el dique de la boca, se filtra sibilante; tres sílabas que al terminar de pronunciarse retroceden y se encharcan en la garganta, esperando la próxima marea.

El mar se dice mejor en palabras que no son nuestras.


*

Una delle prime parole che ho imparato in greco è stata Θάλασσα: thálassa o, più semplicemente, talasa: il mare.

Molto lontano c’era ancora Πέλᾰγος, pélagos, altomare,

al quale

dobbiamo il nostro arcipelago, questa voce che originariamente vuol dire mare di mari. Inoltre non conoscevo Πόντος, il Ponto vinoso dell’Iliade, il

οἶνοψ πόντος

di sconcertante profondità rossastra, come se fosse il ventre di un animale.

Conoscevo Θάλασσα. Un sostantivo che un tempo era un nome proprio, la dea che incarnava il mare: madre di tutti i pesci e, se diamo retta a Nonno di Ponopoli, anche di Afrodite.

Θάλασσα. Tre sillabe, la traccia di qualcosa molto antico, qualcosa che annunciava il continente di una lingua sconosciuta.

Come una cometa che annuncia una nuova galassia.

O come il suono delle onde quando la spiaggia ancora non si vede.
Nel pronunciarla si rompe nella diga della bocca, si filtra sibilante; tre sillabe che alla fine si decompongono e si allagano nella gola, aspettando la prossima marea.

Il mare si pronuncia meglio in parole che non sono nostre.


*

No recordamos vivir lejos de las orillas.

Las casas de los pueblos costeros, erguidos en una infancia inagotable.

La pesca del día en las calles, el salitre pegado a cada gesto como
una segunda piel, como un tercer olvido.

El agua ensañada con las paredes. Agua roedora, soleada.

El puerto acogiendo el mar, manos pedregosas hechas cuenco.

El puerto ciego de tanta espuma.


*

Non ricordiamo di vivere lontano dalle sponde.

Le case dei villaggi costieri, innalzati in un’infanzia inesauribile.

La pesca del giorno per le strade, il salnitro incollato ad ogni gesto come
una seconda pelle, come una terza dimenticanza.

L’acqua inferocita con le pareti. Acqua roditrice, soleggiata.

Il porto accoglie il mare, mani pietrose diventate ciotola.

Il porto cieco di tanta schiuma.


*

El mar es, antes que cualquier otra cosa una catástrofe. En su sentido original de vuelco súbito, de cambio inesperado, de final repentino.

Un cuerpo abrumador que se desploma. Imposibles de prever su rabia espumante, sus calmas espesas, su docilidad. Temible su quijada.

Es por ello que los mareantes han buscado siempre conjurarlo, aplacarlo, sobornarlo. Es por ello que la historia de la navegación puede ser contada a través de su supersticiones, sus exorcismos, sus encantamientos.

Antes del radar o el sonar, antes de la navegación satelital, estaba la navegación sacrificial.


*

Il mare è, prima di ogni altra cosa, una catastrofe. Nel suo senso originale d’improvviso ribaltamento, di modifica inattesa, di finale repentino.

Un corpo travolgente che sprofonda. Impossibile prevedere la sua rabbia spumeggiante, la sua densa calma, la sua docilità. Temibile la sua mascella.

Ecco perché i navigatori hanno sempre cercato di evocarlo, placarlo, corromperlo. Ecco perché la storia della navigazione può essere raccontata attraverso le sue superstizioni, i suoi esorcismi, i suoi incantesimi.

Prima del radar o del sonar, prima della navigazione satellitare, c’è stata la navigazione sacrificale.


*

Cuando empieza a manifestarse el escorbuto, pequeñas bolas sanguinolentas brotan bajo la piel. Si las tocas mucho, revientan.

Los brazos se desploman sin previo aviso. Las manos se aflojan y dejan caer lo que estén sosteniendo. Queda el miembro guindando, como si fuera de alguien más.

Manchas púrpura colonizan las extremidades inferiores. Al principio son unas pocas, pero crecen con rapidez. Es la sangre estancada y aturdida.

Hemorragias en los intersticios, en las articulaciones, bajo las uñas.

Las encías se hinchan e infectan, los dientes se caen.

Las heridas se niegan a cicatrizar; las pasadas se abren nuevamente. Algunos afirman que parecen bocas tomando aire para hablar.

Edemas atestan el interior de las piernas. La piel y los ojos adquieren una tonalidad amarillenta. Una fiebre sin sol se arrastra por todo el cuerpo.


*

Quando lo scorbuto inizia a manifestarsi, piccole bolle sanguinolente spuntano sotto la pelle. Scoppiano se le tocchi a lungo.

Le braccia crollano senza preavviso. Le mani si allentano e lasciano cadere ciò che sorreggono. Il membro rimane a penzoloni, come se fosse di qualcun altro.

Macchie viola colonizzano gli arti inferiori. All’inizio non sono tante, ma crescono alla svelta. È il sangue stordito e ristagnante.

Emorragie agli interstizi, alle articolazioni, sotto le unghie.

Le gengive si gonfiano e s’infettano, cadono i denti.

Le ferite non riescono a cicatrizzarsi; quelle vecchie tornano ad aprirsi. Alcuni dicono che sembrano bocche in cerca d’aria per parlare.

Edemi invadono l’interno delle gambe. La pelle e gli occhi acquisiscono una tonalità giallastra. Una febbre senza sole si introduce in tutto il corpo.


*

Hafvalla es la palabra que en las viejas sagas nórdicas
se usa para referirse a la desorientación en altamar

eso que sucedía a los marinos cuando el cielo
se les quedaba quieto como animal patas arriba

y el nervio tenso de las corrientes los estacionaba
en mares de nadie.

El sol frota las manos con su cal
y baja por la garganta como sebo áspero
y deja líquenes en los ojos para que

veamos serpientes en la curva de las olas
y encontremos espinas desconcertantes en los peces
comidos crudos.


*

Hafvalla è la parola che nelle antiche saghe nordiche
si usa per indicare il disorientamento in alto mare

quello che accadeva ai marinai quando il cielo
restava quieto come un animale sottosopra

e il nervo teso delle correnti li parcheggiava
in acque di nessuno.

Il sole strofina le mani con la sua calce
e scende giù per la gola come un sebo aspro
e lascia licheni negli occhi per farci

vedere serpenti nella curva delle onde
e trovare spine sconvolgenti nei pesci
divorati crudi.


VOX MEA MUTA SONO: DONDE OVIDIO MONOLOGA
(Tristia, Publio Ovidio Nasón)

No quiero decir que valgo mi peso en oro,
porque entonces me hundiría en el mar.
No quiero decir que valgo mi peso en sal, porque
el mar me reclamaría como suyo.
No quiero decir que valgo mi peso en sudor,
porque el mar me creería una ola extraviada en tierra.
No quiero decir que valgo mi peso en orina,
porque el mar me confundiría con la saliva ácida
de los tiburones. No quiero decir que valgo
mi peso en tinta, porque el mar me tomaría
por el miedo de los pulpos. No quiero
decir que valgo mi peso en sueño, porque
el mar entendería que soy una de las criaturas
contrahechas que pueblan sus profundidades.
No quiero decir que valgo mi peso en huesos,
porque el mar me colgaría de los acantilados
que ama roer. No quiero decir que valgo mi
peso en grasa, porque el mar me molería en espuma.
No quiero decir que valgo mi peso en sangre,
porque el mar me usaría para teñir sus corales díscolos.
No quiero decir que valgo mi peso en aliento, porque
el mar pondría mis pulmones entre sus medusas.


VOX MEA MUTA SONO(*): DOVE OVIDIO MONOLOGA
(Tristia, di Publio Ovidio Nasone)

Non voglio dire che valgo il mio peso in oro,
perché allora affonderei nel mare.
Non voglio dire che valgo il mio peso in sale, perché
il mare mi reclamerebbe come suo.
Non voglio dire che valgo il mio peso in sudore,
perché il mare mi crederebbe un’onda smarrita sulla terra.
Non voglio dire che valgo il mio peso in urina,
perché il mare mi confonderebbe con l’acida saliva
degli squali. Non voglio dire che valgo
il mio peso in inchiostro, perché il mare mi prenderebbe
per la tristezza e la paura dei polipi. Non voglio
dire che valgo il mio peso in sogno, perché
il mare capirebbe che sono una delle creature
contraffatte che popolano le sue profondità.
Non voglio dire che valgo il mio peso in ossa,
perché il mare mi appenderebbe alle scogliere
che ama sgretolare. Non voglio dire che valgo il mio
peso in grasso, perché il mare mi macinerebbe in schiuma.
Non voglio dire che valgo il mio peso in sangue,
perché il mare mi userebbe per tingere i suoi vivaci coralli.
Non voglio dire che valgo il mio peso in alito, perché
il mare metterebbe i miei polmoni tra le sue meduse.

(*) “Ai natii suoni muto”, Ovidio, Tristia, Lib. V/7.


BARBARUS HIC EGO SUM
(Tristia, Publio Ovidio Nasón)

Aquí no hay quien me escuche, quien
sepa lo que significan mis palabras. Todo
es habla salvaje y voces animales,

todo es el terror de lenguas extrañas.

Siento que he olvidado el latín,
que sólo se hablar como los getas y los sármatas,
ya solo se expresarme
en esta lengua de devociones elementales,

que no sirve para cubrir
ni para quitarle el frío a nadie,

esta lengua que pertenece a gentes
que hacen música sacudiendo rocas y ramas,
que tienen nombres como el sonido del hielo
cuando cede y se quiebra,

que creen que el mundo descansa
sobre mil caballos galopantes.

Aquí el latín es inútil
como una carta náutica
desteñida por el sol.


BARBARUS HIC EGO SUM (*)
(Tristia, di Publio Ovidio Nasone)

Qui non c’è chi mi ascolti, chi
sappia cosa vogliano dire le mie parole. Tutto
è linguaggio selvaggio e voci animali,

intatto è il terrore di lingue estranee.

Mi sembra di aver scordato il latino,
che riesco solo a parlare come i sármati e i daci,
ormai riesco solo a esprimermi
in questa lingua di devozioni elementari,

che non serve a coprire
né a togliere il freddo a qualcuno,

questa lingua che appartiene a genti
che fanno musica scuotendo ossa e rami,
che hanno nomi come il suono del ghiaccio
quando crolla e si spezza,

che credono che il mondo riposi
su mille cavalli galoppanti.

Qui è inutile il latino
come una carta nautica
scolorita dal sole.

“Sono il barbaro di questi luoghi”, Ovidio, Tristia, Lib. V/10.


DONDE OVIDIO SUEÑA CON MEDEA
(Tristia, Publio Ovidio Nasone)

Anoche
soñé con Medea.
Veía como despedazaba
a su hermano, como
lanzaba sus miembros al mar.

Medea descalza
como un cuchillo
o como el viento


DOVE OVIDIO SOGNA MEDEA
(Tristia, Publio Ovidio Nasone)

Ieri notte
ho sognato Medea.
Vedevo come squartava
suo fratello, come
lanciava le sue membra al mare.

Medea scalza
come un coltello
o come il vento.


CARMINIBUS QUAERO MISERARUM OBLIVIA RERUM
(Tristia, Publio Ovidio Nasón)

En Tomis
volví a aprender del miedo

cuando escuché por primera vez
a los bárbaros y sus tambores

y sus voces desnudas por el frío

y vi sus fuegos encenderse a lo lejos,
en la noche, como luces provenientes
del fondo del océano.

Entonces fui de nuevo un niño,
pero enfundado en el cuerpo
de un hombre abrumado y lejano,

ese niño que escucha las olas
antes de verlas.

Hablo
para drenar ese mar.


CARMINIBUS QUAERO MISERARUM OBLIVIA RERUM(*)
(Tristia, di Publio Ovidio Nasone)

A Tomis (**)
sono tornato a conoscere dalla paura

quando ho ascoltato per la prima volta
i barbari e i loro tamburi

e le loro voci spogliate dal freddo

e ho visto i loro fuochi accendersi in lontananza,
nella notte, come luci provenienti
dal fondo dell’oceano.

Allora sono tornato bambino,
ma fasciato nel corpo
di un uomo spossato e lontano,

quel bambino che ascolta le onde
prima di vederle.

Parlo
per prosciugare quel mare.

(*) “Con la poesia provo a dimenticare le disgrazie”, Ovidio, Tristia, Lib. V/7.
(**) In Romania, l’attuale Costanza.


IN EXTREMIS IGNOTI PARTIBUS ORBIS
(Tristia, Publio Ovidio Nasón)

Aquí he tenido que aprender
a caminar bajo el agua,

a convivir con los lentos animales pálidos
de la hondura, a compartir
su ceguera prehistórica.

Los recuerdos pasan allá arriba, sobre mi cabeza,
remotos
como barcos en la noche,

y aquí abajo todo vocablo es una piedra
lanzada en las circunstancias infinitas
del fondo de un naufragio.

Hablo a solas para no olvidar mi lengua:

habito el ultimo borde
del orbe,
tierra de mi tierra remota.


IN EXTREMIS IGNOTI PARTIBUS ORBIS (*)
(Tristia, di Publio Ovidio Nasone)

Qui ho dovuto imparare
a camminare sott’acqua,

a convivere coi lenti, pallidi animali
della profondità, a condividere
la loro preistorica cecità.

I ricordi passano lassù, sulla mia testa,
lontani
come barche nella notte,

e qui sotto ogni vocabolo è una pietra
lanciata nelle circostanze infinite
dal fondo di un naufragio.

Parlo da solo per non dimenticare la mia lingua:

vivo sull’ultimo bordo
del globo,
terra della mia remota terra.

“Ai margini di un mondo sconosciuto”, Ovidio, Tristia, Lib. III/3.


*

El clavadista es la imagen antitética del escafandrista, su doble invertido.

Ante la casi entera desnudez del clavadista, el pesado traje del escafandrista: el metal, los tornillos, las mallas.

Ante la movilidad del clavadista, su labilidad de pez, las botas herradas del escafandrista, sus gestos remotos incluso para sí mismo.

Ante el clavado y el vértigo, la torpe zambullida, lenta, como de ancla abandonada.

Ante la respiración contenida, pulmones cerrados sobre el aire de la superficie como un lejano recuerdo de otro mundo, la memoria umbilical del escafandrista que no le permite ignorar su procedencia, fingirse uno más entre los peces.

Ante el olvido, el recuerdo; ante la fugacidad, la calma ralentizada.

El escafandrista es el primer ser humano en descubrir
que para salir de este mundo no hay que abandonarlo, sino sumergirse.


*

Il tuffatore è l’immagine antitetica del palombaro, il suo doppio invertito.

Di fronte alla quasi completa nudità del tuffatore, il pesante costume del palombaro: il metallo, le viti, le maglie.

Di fronte alla mobilità del tuffatore, la sua labilità di pesce, gli stivali blindati del palombaro, i suoi gesti remoti anche per sé stesso.

Di fronte al tuffo e alle vertigini, la maldestra immersione, lenta, come un’àncora abbandonata.

Di fronte alla respirazione trattenuta, i polmoni chiusi all’aria di superficie come un lontano ricordo di un altro mondo, la memoria ombelicale del palombaro che non gli permette di ignorare la sua provenienza, di fingersi un pesce qualsiasi.

Davanti all’oblio, il ricordo; davanti alla fugacità, la calma rallentata.

Il palombaro è il primo essere umano ad aver scoperto
che per uscire da questo mondo non occorre abbandonarlo, bensì immergersi in esso.


*

Dice Clitemnestra en Agamenón de Esquilo:

ἔστιν θάλασσα, τίς δέ νιν κατασβέσει

el mar entero, ¿quién lo podrá agotar?

El mar siempre es un nombre extranjero, el nombre de algo o alguien más.

Escucharlo puede ser pasar los dedos por una cervical despojada de piel: relieve de dureza inesperada.

Nombres ajenos, algunos olvidados, como ensordecidos por la circulación de la sangre, como tragados por el estruendo de los árboles al crecer. Palabras que nos pronuncian aunque no las sepamos.

Y bajo ellas, bajo la historia terca de estas voces, insistente
el agua, su imperio ciego.


*

Dice Clitemnestra in Agamennone di Eschilo:

ἔστιν θάλασσα, τίς δέ νιν κατασβέσει

tutto il mare, chi potrà mai prosciugarlo?

Il mare è sempre un nome straniero, il nome di qualcosa o qualcun altro.

Ascoltarlo può voler dire passare le dita su una cervicale priva di pelle: rilievo di inaspettata durezza.

Nomi estranei, alcuni dimenticati, come resi sordi dalla circolazione del sangue, come inghiottiti dal fragore degli alberi quando crescono. Parole che ci rivelano anche se non le conosciamo.

E sotto di loro, sotto la storia testarda di queste voci, l’acqua
insistente, il suo impero cieco.


Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini




Adalber Salas Hernández
È nato a Caracas (Venezuela) nel 1987 ed è poeta, saggista e traduttore. Ha vissuto per anni a New York per un dottorato di ricerca presso la New York University, attualmente vive tra le Isole Canarie e Città del Messico.
Ha pubblicato i libri di poesia: La arena, el vidrio (Venezuela, 2008), Extranjero (Venezuela, 2010; Colombia, 2012), Suturas (Venezuela, 2011), Heredar la tierra (Colombia, 2013), Salvoconducto (come inedito “Premio de Poesía Arcipreste de Hita”, poi Spagna, Pre-Textos, 2015), Río en blanco (Stati Uniti, 2016), mínimos (Spagna, 2016), Materia intacta (Venezuela, 2017), La ciencia de las despedidas (Spagna, Pre-Textos, 2018), [a love supreme] (Venezuela, 2018) e Nuevas cartas náuticas (Spagna, 2022).
Nel 2019 è uscita in Messico l’antologia De ningún viaje se vuleve.
Tra i suoi libri di saggi si segnalano: Clarice Lispector: el lugar de la poesía (Cile, 2019), Isolario (Porto Rico, 2019) e Palabras sin dueño. Variaciones sobre la traducción literaria (Messico, 2019). Numerose le sue traduzioni poetiche dal francese, dall’inglese e dal portoghese.
In Italia è uscita l’antologia Ai margini di un mondo sconosciuto (Poesie 2015-2019, a cura di Alessio Brandolini, Edizioni Fili d’Aquilone, 2019).

alexbrando@libero.it