Orizzonti metropolitani
Io vivo una vita nascosta. Come me, un esercito di persone che incontro ogni notte.
Faccio parte di coloro che preparano la giornata agli altri: vigilantes, portinai e medici, insieme a decine di altri pendolari che vegliano su di voi e sui vostri risvegli.
Siamo in tanti e, di vista, ci conosciamo tutti.
Saliamo sugli autobus quando ancora la luna irradia il mondo con la sua luce opaca e i mezzi di trasporto ci offrono sedili così gelidi che vi appoggiamo i giornali per frapporre un ostacolo fra noi e il freddo pungente, mentre la notte avvolge l’aria con un manto cristallino, che non lascia penetrare il giorno.
Ci salutiamo appena con un cenno del capo, stretti nei nostri giacconi, senza emettere parola perché il fiato è un bene prezioso a quell’ora del mattino.
Veniamo da periferie lontane e viaggiamo in pullman che macinano chilometri di asfalto nella notte silenziosa. Fino alla meta.
Durante i viaggi, qualcuno dorme, certuni leggono, altri ascoltano musica.
Io, invece, osservo e talvolta, alzo lo sguardo al cielo. Infinito e avvolgente.
Con gli occhi bagnati di stelle, guardo la mia città, in un tempo stregato che appartiene solo a me. Il tragitto che percorro è sempre lo stesso, ma ogni volta diverso e nuovo.
Fotografo con gli occhi angoli speciali, spesso non notati in precedenza, gioendo in cuor mio di quella vista privilegiata, quanto la visione di un film d’essai, destinato a pochi, fortunati spettatori.
Qualche ora più tardi, la città cambierà pelle, mostrandosi alla luce del sole, efficiente e imponente.
A me rimarrà invece il ricordo delle immagini di luoghi silenziosi e solitari, che attendevano pazientemente solo me, per mostrare il loro aspetto più intimo, la loro anima magica e segreta, come a un amante a lungo atteso.
A notte fonda
Anna cominciò a prepararsi per la serata. La pendola del soggiorno aveva appena annunciato le 21 ed entro un’ora gli amici l’avrebbero attesa al solito ritrovo. Doveva vestirsi in fretta: amava indugiare nell’accarezzare le trame ruvide dei tessuti sotto i polpastrelli, ma stasera non poteva proprio tardare.
Doveva coprirsi al meglio, indossare il giaccone pesante, che l’avrebbe protetta dal gelo e avvolta in un caldo abbraccio lungo la strada. L’aspettava una notte insonne.
Appena uscita di casa, si recò all’appuntamento. Erano già tutti lì ad attenderla. Si salutarono e si scambiarono alcuni rapidi convenevoli. Si suddivisero come sempre, in piccoli gruppi, ridendo fra loro e scambiandosi battute scherzose. Si inoltrarono in strade diverse e la nottata per loro ebbe inizio.
Il buio era profondo e avvolgeva ogni cosa in una coltre di mistero. Solo una pallida luna rischiarava le strade e li accompagnava silenziosa. Le orecchie allenate di Anna percepirono subito il rumore di una colluttazione in una strada vicina e vi si diresse prontamente con il suo compagno, scorgendovi un senza tetto preso di mira da un gruppo di balordi.
La loro reazione fu fulminea: in pochi minuti gli furono vicini e allontanarono i malintenzionati. Gli offrirono poi un piatto di minestra e una coperta per ripararsi dal gelo. Il poveretto rimase senza parole di fronte all’inaspettata salvezza, offertagli da quegli angeli comparsi dal nulla e volati via senza neppure attendere i ringraziamenti. Pensò di aver bevuto troppo quella notte, ripromettendosi di evitarlo in futuro.
Le ore successive proseguirono per la ragazza con ulteriori incontri, altre coltri avvolte su spalle curve e tazze di latte offerte a mani tremanti e stanche, fino al comparire delle prime luci dell’alba.
Così come erano apparsi, Anna e i suoi amici si dileguarono, ritornando fra le coperte dei loro letti.
La mattina successiva, come d’abitudine, la giovane preparò la colazione alla figlia e, sbadigliando per il sonno, si incamminò per andare al lavoro.
Si sentiva una persona fortunata, nonostante fosse single con una bimba da crescere e un lavoro precario: aveva ancora negli occhi le immagini di chi una famiglia non l’aveva più, per poca cura o per disgrazia, di chi un lavoro l’aveva perduto, per crisi o malattia e di chi possedeva così poco che persino rabbia e disperazione sembravano una ricchezza. Anche un tetto, seppur semplice e modesto, Anna ce l’aveva: riscaldato e accogliente.
Durante la giornata, gli amici l’avvisarono però che sarebbe stata di turno anche quella sera. Si rattristò al pensiero, ma si organizzò per tornare a casa prima di mezzanotte. Aveva infatti un appuntamento con la persona più importante della sua vita e non poteva mancare.
Così rientrò per tempo: salutò la vicina che aveva vegliato in sua assenza sulla figlia e svegliò la bambina per avvisarla che di lì a poco sarebbe stato Natale. Avrebbero aperto insieme i regali.
Aveva risparmiato per comprarle un giaccone colorato che la bimba desiderava tanto e non vedeva l’ora di vedere la gioia dipingersi sul suo viso.
Ma trovò anche un pacchetto sconosciuto: “L’ha portato un tuo amico: gliel’ha dato un signore per strada. È per te.” disse la bambina, porgendole l’involucro. Il piccolo dono era avvolto in carta di giornale e legato con lo spago. Curiosa, l’aprì: era un angelo stilizzato, semplicemente costruito con dei rametti e con foglie come ali. Un bocciolo di rosa al posto del viso.
Delicato e prezioso, il pupazzetto la fece piangere, mentre l’orologio del soggiorno batteva la mezzanotte di Natale. Quei viaggi notturni ai confini dell’inferno le offrivano molto più di quello che lei poteva mai dare a mani infreddolite e tremanti: il calore di una famiglia.
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