Ristoro
Stavolta il tema della rivista mi ha dato davvero da pensare, l’ispirazione a un qualsiasi collegamento musicale mi sembrava impossibile (parlare degli Oasis di Noel e Liam Gallagher mi è parso da subito offensivo verso chi segue questa rubrica) e alla fine mi sono affidato, come facevo da studente, al Grande Dizionario Enciclopedico UTET, relegato a complemento d’arredo dopo l’arrivo del web ma punto fermo di conoscenza e ricco di spunti ancora non omologati da internet.
ÒASI: […] zone più o meno estese del deserto ove la presenza di acqua sgorgante naturalmente […] permette lo stabilirsi di forme di vegetazione e favorisce lo stanziamento umano […] specie nelle O. maggiori: accanto, però, vivono spesso elementi di popolazioni nomadi, per lo più visitatori di O. minori vicine, nelle quali sia meno indicata la permanenza abituale.
Questa, in breve, la definizione della quale la parte finale è stata illuminante.
Dunque mi sono visto girovago conoscitore di musica, pronto a fermarmi e ristorarmi all’ascolto di una sinfonia di Dvořák o di un brano di Monk, di un’aria di Puccini e di una canzone degli ABBA, cresciuto col rock dei Led Zeppelin e col progressive dei Genesis ma attratto da Mozart e dai Massive Attack. Insomma un ascoltatore curioso, nelle due accezioni del termine.
È così che approdo a Playing the Piano (Decca Records, 2009) fresca oasi rasserenante di Ryuichi Sakamoto, musicista dalla ricchissima e agitata creatività, nomade ma sempre originale tra i numerosi generi attraversati nella lunga carriera artistica.
In questa raccolta Sakamoto spoglia le sue creazioni azzerando ogni partitura di altri strumenti, ridisegnandole col solo pianoforte e consegnandoci l’essenza delle melodie con un atteggiamento intimistico, aprendo così l’accesso alla sua anima, alla scintilla delle sue ispirazioni. Ci mette quindi in condizione di conoscere la natura di ogni brano, come se di un bellissimo corpo umano riuscissimo a scorgerne l’ossatura, l’energica struttura che, finita, ne controlla la perfezione esteriore. E tutto questo avviene intensamente, senza privare la musica della sua emotività, regalandole nuova vita e, a noi ascoltatori, l’originale chiave di lettura, quella che ne ha generato la creazione.
Brani come Merry Christmas Mr Lawrence o The Sheltering Sky vengono riletti in maniera più stimolante rispetto agli originali. Sakamoto lo fa escludendone la saturazione del colore che li caratterizzava per lasciare spazio a tutte le suggestive sfumature dei grigi.
Thousand Knives, tratto dall’album omonimo, primo lavoro dell’artista, riesce a mostrare in questa versione le origini e la cultura dell’artista, celate dietro la patina elettronica nell’arrangiamento originale.
Ma è il brano Bolerish - già ispirato al Bolero di Maurice Ravel, score del film Femme Fatal di Brian De Palma – a sorprendere l’ascoltatore al quale viene restituito in una confezione che sembra concepita da Satie, degno di fare parte delle sue Gymnopédies.
È questa l’ultima composizione della raccolta al termine della quale raccogliamo i nostri bagagli e ci rimettiamo in viaggio alla ricerca di un nuovo, degno, punto di ristoro.
cardstefano@libero.it
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