FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 55
maggio/agosto 2020

Cenere

 

I SETTE PULEDRI

a cura di Annarita Verzola



I sette puledri è una fiaba norvegese, raccolta da Jørgen Moe e inserita da Andrew Lang nel Red Fairy Book pubblicato nel 1890.
La traduzione dall'inglese, di Annarita Verzola, è tratta dal sito Le favole di Lang



C’era una volta una coppia di poveri contadini che viveva in una misera capanna nel bosco, lontano da chiunque altro. Avevano solo lo stretto necessario per vivere e avevano grande difficoltà persino per così poco inoltre avevano tre figli, il più giovane dei quali era soprannominato Cenerello perché non faceva altro che stare sdraiato in mezzo alla cenere rovistandovi.

Un giorno il figlio maggiore disse che sarebbe andato via per guadagnarsi da vivere; ebbe subito il permesso di farlo e andò in giro per il mondo. Camminò per tutto il giorno e, quando stava cominciando a calare la notte, giunse a un palazzo reale. Il re era fuori sugli scalini e gli chiese dove stesse andando.

“Sto andando in cerca di un lavoro, padre” rispose il ragazzo.

“Vuoi metterti al mio servizio e sorvegliare i miei sette puledri?” chiese il re “Se saprai sorvegliarli per un intero giorno e dirmi la sera che cosa hanno mangiato e bevuto, potrai avere la principessa e metà del mio regno, ma se non ci riuscirai, ti taglierò via dalla schiena tre strisce rosse di carne.”

Il ragazzo pensò che sorvegliare dei puledri fosse un lavoro molto facile e ci sarebbe riuscito abbastanza bene.

Il mattino seguente, allo spuntare del giorno, lo stalliere capo del re condusse i sette puledri che corsero via, e il giovane dietro di loro, oltre colline e valli, attraverso boschi e acquitrini. Quando il ragazzo ebbe corso a lungo, cominciò a sentirsi stanco e quando ebbe resistito ancora un po’, ne ebbe veramente abbastanza di sorvegliarli, ma proprio in quel momento giunse a un crepaccio presso il quale una vecchia era seduta a filare con il fuso in mano.



Appena vide il ragazzo, che correva dietro ai puledri con il sudore che gli colava sul viso, gridò:

“Vieni qui, vieni qui bel giovane, e lascia che ti pettini i capelli.”

Il ragazzo ne fu piuttosto contento, così sedette nel crepaccio della roccia, le posò la testa sulle ginocchia e lei lo pettinò per tutto il giorno mentre se ne stava sdraiato lì a oziare.

Quando stava per farsi sera, il ragazzo volle andare.

“È meglio che vada di nuovo difilato a casa,” disse “perché è inutile andare al palazzo del re.”

“Aspetta che faccia buio,” disse la vecchia megera “e allora i puledri del re passeranno di nuovo da queste parti e tu potrai tornare a casa con essi; nessuno saprà che hai oziato tutto il giorno invece di sorvegliare i puledri.”

Così quando vennero, la vecchia diede al ragazzo una bottiglia d’acqua e una zolla di muschio e gli disse di mostrarli al re e dire che era ciò che i sette puledri avevano mangiato e bevuto.

“Li hai sorvegliati con cura e bene per tutto il giorno?” chiese il re quando quella sera il ragazzo fu davanti a lui.

“Sì, l’ho fatto” rispose il ragazzo.

“Allora mi puoi dire che cosa abbiano mangiato e bevuto i miei sette puledri” disse il re.

Così il ragazzo mostrò la bottiglia d’acqua e la zolla di muschio che gli erano stati dati dalla vecchia e disse:

“Qui potete vedere il loro pasto e qui potete vedere la loro bevanda.”

Allora il re capì come li aveva sorvegliati e montò così in collera che ordinò ai suoi di rimandare subito a casa il ragazzo, ma prima dovevano tagliarli tre strisce di carne sulla schiena e cospargere di sale le ferite.

Quando il ragazzo tornò di nuovo a casa, potete immaginare in quale stato fosse. Aveva cercato un lavoro una volta, disse, ma non avrebbe mai più fatto una cosa simile.

Il giorno successivo il secondo figlio disse che sarebbe andato per il mondo in cerca di fortuna. Il padre e la madre dissero: “No” e di guardare la schiena del fratello, ma il giovane non volle cambiare idea e, intestardito, dopo molto, molto tempo ebbe il permesso di andarsene e si mise in viaggio. Quando ebbe camminato per tutto il giorno anche lui giunse al palazzo del re e il re era sugli scalini e gli chiese dove stesse andando; quando il ragazzo rispose che stava andando in cerca di un lavoro, il re gli disse che sarebbe potuto entrare al suo servizio e sorvegliare i suoi sette puledri. Poi il re gli promise la medesima punizione e la medesima ricompensa che aveva promesso al fratello.

Il giovane acconsentì subito e si mise al servizio del re perché pensava che fosse facile sorvegliare i puledri e dire al re che cosa avessero mangiato e bevuto.

Alle prime luci dell’alba il capo stalliere del re condusse i sette puledri e corsero oltre colline e valli, con il ragazzo che li seguiva. Tutto andò come era capitato al fratello. Quando il ragazzo ebbe corso per un bel po’ dietro i puledri e fu accaldato e stanco, passò dal crepaccio nella roccia presso il quale la vecchia stava filando con il fuso e gli disse:

“Vieni qui, vieni qui, mio bel giovane, e lascia che ti pettini i capelli.”

Al ragazzo l’idea piacque, lasciò che i puledri corressero dove volavano e sedette nel crepaccio della roccia accanto alla vecchia megera. Così le pose la testa sul grembo, prendendosela comoda per tutto il giorno.

I puledri tornarono la sera e allora anche lui prese una zolla di muschio e una bottiglia d’acqua dalla vecchia megera, cose che doveva mostrare al re. Ma quando il re chiese al ragazzo: “Puoi dirmi che cosa abbiano mangiato e bevuto i miei sette puledri?” e il ragazzo mostrò la zolla di muschio e la bottiglia d’acqua, dicendo: “Sì che posso farvi vedere il loro pasto ed ecco qui la loro bevanda.” Ancora una volta il re si arrabbiò e ordinò che fossero tagliate tre strisce di carne dalla schiena del ragazzo e che le ferite fossero cosparse di sale e poi che fosse rimandato immediatamente a casa sua. Così quando il ragazzo tornò di nuovo a casa, raccontò anche lui tutto ciò che gli era accaduto e anche lui disse di essere andato in cerca di un lavoro, ma che non lo avrebbe fatto mai più di nuovo.

Il terzo giorno Cenerello volle partire. Aveva voglia di fare lui stesso il tentativo di sorvegliare i sette puledri, disse.

Gli altri due risero e lo canzonarono. “Se a noi è andata così male, tu credi che ci riuscirai? Come puoi riuscirci, tu che non hai mai fatto altro che stare in mezzo alla cenere e frugarci dentro!” gli dissero.

“Ebbene, andrò anch’io,” disse Cenerello “perché così mi sono messo in testa.”

I due fratelli risero di lui e il padre e la madre lo pregarono di non andare, ma fu tutto inutile, e Cenerello si mise in viaggio. Quando ebbe camminato per tutto il giorno, anche lui giunse al palazzo del re mentre stavano calando le tenebre.

Lì c’era il re sugli scalini e chiese dove stesse andando a far che.

“Sto andando in cerca di un lavoro” disse Cenerello.

“Da dove vieni, dunque?” chiese il re, perché stavolta voleva saperne un po’ di più sugli uomini prima di prendere qualcuno di essi al proprio servizio.

Così Cenerello raccontò da dove venisse e disse di essere il fratello dei due che avevano sorvegliato i sette puledri per il re e poi chiese che gli fosse permesso di tentare di sorvegliarli il giorno seguente.

“Che si vergognino!” disse il re, che si arrabbiò al solo pensarci. “Se sei fratello di quei due, anche tu non sarai buono a nulla. Ne ho avuto abbastanza di due tipi così.”

“Beh, siccome sono venuto, dovreste lasciarmi fare un tentativo” disse Cenerello.

“Benissimo, se sei così deciso a farti scorticare la schiena, fai come vuoi” disse il re.

“Io preferirei avere la principessa” disse Cenerello.

Il mattino seguente, alle prime luci dell’alba, lo stalliere capo condusse di nuovo fuori i sette puledri ed essi oltrepassarono colline e valli, attraversarono boschi e acquitrini e andarono, sempre con Cenerello dietro di loro. Quando ebbe corso per un bel po’, anche lui giunse al crepaccio nella roccia. Lì la vecchia megera era seduta ancora una volta a filare con il fuso e gridò a Cenerello:

“Vieni qui, vieni qui, bel giovane, e lascia che ti pettini i capelli.”

“Vieni con me, allora, vieni con me!” disse Cenerello e passò saltando e correndo e tenendo la coda di uno dei puledri.

Quando ebbero superato sani e salvi il crepaccio nella roccia, il puledro più giovane disse:

“Salimi sul dorso perché dobbiamo fare ancora molta strada.” E il ragazzo fece così.

Andarono avanti a viaggiare ancora per molta, molta strada.

“Adesso vedi qualcosa?” chiese il puledro.

“No” rispose Cenerello.

Così andarono ancora un po’ più avanti.

“Adesso vedi qualcosa?” chiese il puledro.

“No” rispose il ragazzo.

Quando furono ancora andati avanti per molta, molta strada, il puledro chiese di nuovo:

“Adesso vedi qualcosa?”

“Sì, adesso vedo qualcosa di bianco,” disse Cenerello, “sembra il tronco di una grande e folta betulla.”

“Sì, è lì che dobbiamo andare” rispose il puledro.

Quando furono giunti presso il tronco, il puledro più grande spostò il tronco da una parte e allora videro una porta dove stava il tronco e all’interno vi era una stanzetta, e nella stanza non vi era altro che un piccolo caminetto e un paio di panche, ma dietro la porta erano appesi una grossa spada arrugginita e una piccola brocca.

“Puoi usare quella spada?” chiese il puledro.

Cenerello provò, ma non ci riuscì; dovette bere un sorso dalla brocca, e poi un altro ancora e poi ancora un po’ e alla fine fu in grado di maneggiare la spada con destrezza.



Il puledro disse: “Bene, adesso devi portare con te la spada e con essa taglierai la testa a tutti e noi sette il giorno delle tue nozze e allora noi torneremo a essere principi come eravamo prima. Perché noi siamo i fratelli della principessa che tu conquisterai quando potrai dire al re che cosa mangiamo e beviamo; c’è un terribile troll che ha gettato su di noi un incantesimo. Quando avrai tagliato le teste, dovrai fare grande attenzione nel mettere ogni testa vicino alla coda del corpo al quale apparteneva prima e allora l’incantesimo che il troll ha gettato su di noi perderà tutto il potere.”

Cenerello promise di farlo e allora proseguirono.

Quando ebbero viaggiato ancora a lungo, il puledro disse:

“Vedi qualcosa?”

“No” rispose Cenerello.

Così andarono avanti ancora per molto.

“E adesso?” chiese il puledro “adesso vedi qualcosa?”

“Ahimè, no!” rispose Cenerello.

Così proseguirono ancora per molte, molte miglia, oltre colline e pianure.

“Allora adesso vedi qualcosa?” Chiese il puledro.

“Sì!” rispose Cenerello. “Vedo qualcosa di simile a una striscia azzurra, molto, molto lontano.”

Il puledro disse:

“È un fiume e dobbiamo attraversarlo.”

C’era un ponte lungo e splendido sul fiume e quando furono giunti dall’altra parte, viaggiarono ancora a lungo e ancora una volta il puledro chiese a Cenerello se vedesse qualcosa. Sì, stavolta era qualcosa di nero, molto molto lontano e sembrava il campanile di una chiesa.

Il puledro disse: “Dovremo entrare là.”

Quando i puledri furono nel cimitero, si trasformarono in uomini e sembravano proprio figli di re, i loro abiti erano così magnifici che scintillavano e poi entrarono in chiesa e ricevettero pane e vino dal prete che stava davanti all’altare e anche Cenerello entrò. Quando il prete ebbe steso la mano sui principi e letto la benedizione, uscirono di nuovo dalla chiesa e anche Cenerello uscì, ma prese con sé un fiasco di vino e un po’ di pane consacrato. Appena i sette principi uscirono dal cimitero, divennero di nuovo puledri e Cenerello salì in groppa al più giovane e tornarono per la strada dalla quale erano venuti, solo che andarono molto, molto più veloci.

Prima oltrepassarono il ponte, poi il tronco della betulla e poi la vecchia megera che sedeva a filare nel crepaccio della roccia e andavano così veloci che Cenerello non sentì ciò che la vecchia megera gli gridava dietro, ma udì abbastanza per capire che era terribilmente arrabbiata.

Era quasi buio quando tornarono dal re sul calar della sera e lui stesso li stava aspettando in cortile.

“Li hai sorvegliati bene e diligentemente per tutto il giorno?” chiese il re a Cenerello.

“Ho fatto del mio meglio” rispose Cenerello.

“Allora puoi dirmi che cosa mangiano e bevono i mie sette puledri?”

Così Cenerello prese il pane consacrato e il fiasco di vino e li mostrò al re. “Ecco, qui potete vedere il loro pasto e qui la loro bevanda” disse il ragazzo.

“Li hai sorvegliati con diligenza e fedeltà,” disse il re “e avrai la principessa e metà del regno.”

Così fu tutto pronto per le nozze e il re disse che avrebbero dovuto essere così grandiose e magnifiche che ognuno ne avrebbe dovuto sentire e parlare.

Ma quando sedettero al banchetto di nozze, lo sposo si alzò e andò nella scuderia perché, disse, aveva dimenticato qualcosa che doveva fare. Quando fu là, fece ciò che gli avevano detto i puledri, tagliò le teste di tutti e sette. Prima il maggiore, poi il secondo e così via secondo la loro età e fu molto attento a collocare ogni testa vicino alla coda del puledro alla quale era appartenuta e, quando fu fatto, tutti i puledri tornarono di nuovo principi. Quando tornò al banchetto di nozze con i sette principi, il re fu così contento che baciò Cenerello e gli dette una pacca sulla schiena, e la sua sposa fu ancora più contenta di lui di quanto lo fosse stata prima.

“Metà del mio regno è già tua,” disse il re “e l’altra metà sarà tua alla mia morte perché i miei figli sapranno procurarsi da soli terre e regni, adesso che sono diventati di nuovo principi.”

Quindi potete credere bene che al matrimonio vi furono gioia e allegria.




Lo scozzese Andrew Lang (Selkirk, 31 marzo 1844 – Banchory, 20 luglio 1912) fu poeta, romanziere, critico letterario e diede il proprio notevole contributo in campo antropologico. È conosciuto soprattutto per aver raccolto e curato numerosissimi racconti e fiabe popolari. Infatti la sua fama è legata soprattutto alle pubblicazioni su folklore, mitologia e religione e sappiamo che l’interesse per il folklore nacque in lui in giovanissima età.
Il suo Blue Fairy Book (1889) fu una versione di fiabe curata e illustrata con cura, tanto da diventare un classico. A questa edizione seguirono altre raccolte di fiabe, complessivamente note come Andrew Lang’s fairy Books, ognuna denominata con un diverso colore: Red Fairy Book (1890), Green Fairy Book (1892), Yellow Fairy Book (1894), Pink Fairy Book (1897), Grey Fairy Book (1900), Violet Fairy Book (1901), Crimson Fairy Book (1903), Brown Fairy Book (1904) Orange Fairy Book (1906), Olive Fairy Book (1907) e Lilac Fairy Book (1910).
La raccolta gli diede una notorietà tale che doveva insistere con le signore che incontrava nei salotti di Londra per non esserne considerato l’autore. In realtà, precisava Andrew Lang, il suo intervento si era limitato alla ricerca delle fiabe che sin dalla notte dei tempi avevano incantato l’infanzia di tutto il mondo. Questo, secondo Andrew Lang, era il solo merito che potesse essergli riconosciuto. In realtà, il suo intervento e l’impronta della sua personalità risaltano nel tempo, molto più di quanto egli volesse far credere.


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