FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 55
maggio/agosto 2020

Cenere

 

BACO DA SETA

di Carola Cestari



Il lago

“Tesoro, stappi tu la bottiglia?”

Velocemente separo i bicchieri di plastica: ne passo uno a Marco, uno lo trattengo lentamente, quasi volessi fissare il ricordo di quest’istante. La stanza è pregna dell’odore di disinfettante: mi permea i capelli e i vestiti, come se ogni parte di me esprimesse il dolore di questi corridoi. Marco versa il vino, brindiamo silenziosamente sollevando il bicchiere in direzione del corpo disteso nel letto, immobile ma presente. “Buon compleanno” gli sussurriamo piano.

Come un baco da seta, ho la certezza che percepisca tutto ciò che gli accade attorno, ma in modo attutito, lontano. Mi sembra quasi di udire l’impercettibile rumore dei suoi pensieri, mentre cerca di mandarmi segnali, di emettere suoni, di muovere un qualsiasi muscolo del corpo per farmi capire che mi sente, mi capisce e comunica con me.

Lo scruto incessantemente alla ricerca di questo segnale. Lo faccio da 10 anni perché so che lo troverò. Perché lui c’è: è solo un po’ nascosto.

Una maldestra caduta gli ha fatto battere la testa su una roccia mentre mi chiamava al cellulare. Solo una banale disattenzione, un movimento scoordinato, dettato dal nervosismo, dalla fretta di tornare... Era una tranquilla gita domenicale con nostro figlio Marco in riva al lago. La progettavano da tempo. Marco era così agitato per l’emozione che la notte non aveva quasi dormito. Nulla più di una semplice scampagnata al lago. Ma quel “Nulla” si è trasformato nel nostro “Tutto”, da quel momento in poi. Perché tutto è cambiato.

Appena ho udito il trillo del cellulare ho intuito qualcosa: una sensazione di ansia e di imminente pericolo, quella percezione istintiva, ancestrale che ci accomuna agli animali. Chissà cosa avrà pensato il mio cucciolo in quegli infiniti minuti d’attesa di soccorso, impaurito accanto al padre immobile, mentre la notte calava come una lama fredda e il buio lo avvolgeva in una coperta. Avrà pianto, urlato. Lo immagino, non lo so. Non ne vuole mai parlare. Ha il timore che le parole richiamino in superficie il nero e soffocante catrame che per anni ha avvolto i suoi ricordi e i suoi respiri.

Nel lasso di tempo in cui come una pazza guidavo verso il lago, una mano dal cielo ha protetto il mio percorso: non ho alcun ricordo della velocità o della strada fino a quando non ho visto il suo corpo inanimato nell’ambulanza, e il mio piccolo accanto a lui.

Il tempo

Il tempo lenisce il dolore, dicono. Ma non è vero: lo integra solamente nella quotidianità di ogni persona. E rimane lì, pronto a riesplodere appena abbassi la guardia.

Così è per me, da quel pomeriggio in cui mio padre ci ha lasciati e solo un’ombra, un fantasma di lui è rimasto quale flebile lumicino in quel corpo immoto. Mia madre non si arrende e non oso contraddirla: è quella speranza che la tiene in vita, che la spinge ogni giorno a vivere e a non lasciarsi andare alla disperazione. È grazie a lui che affronta con coraggio ogni quotidiana battaglia. È la sua forza, racchiusa in un immobile bozzolo.

È stata incredibile: ha trasformato ogni piccolo evento o fatto che ci accadeva in un episodio da raccontare, rendendolo talvolta divertente grazie a quell’umorismo che la contraddistingue e che le ho sempre invidiato, una capacità naturale, innata, di sdrammatizzare ogni tensione. Ma il tempo è tiranno, lo so. La salute lo sta abbandonando e il corpo comincia a dar segnali di cedimento. Ora dobbiamo arrenderci e lasciarlo andare.

Il suo corpo è emaciato, pallido, magro. Sembra un bambino in quel letto candido ma io lo ricordo ancora, alto e possente, che mi stringeva tra le sue braccia forti quando il mondo mi sembrava troppo grande e complesso da affrontare. È quello l’uomo che è scivolato su un sasso traballante mentre era accanto a me, quando tutto ebbe inizio. O forse, per lui, quando tutto ebbe fine.

Incurante di ciò, dal giorno dell’incidente mia madre ha cominciato a raccontargli del mondo esterno e di noi, nell’attesa che si svegliasse. Non voleva che si sentisse escluso ma pronto, quando si fosse svegliato, a riprendere il suo posto in famiglia.

Il battito d’ali

Un movimento impercettibile ha attirato la mia attenzione, talmente fulmineo che ho pensato di averlo immaginato. Mi è successo altre volte di intravedere dei deboli segnali e chiamare entusiasta le infermiere… Si sono sempre rivelati falsi allarmi.

Eppure, quando sono qui con lui, mi sembra di intravedere dei lievi cambiamenti di espressione sul suo volto. Mi hanno spiegato che sono movimenti involontari dei muscoli del corpo che si contraggono dopo anni di inattività, ma fatico a crederlo. Di nuovo: un leggero battito di ciglia. Stavolta l’ho visto davvero. “Amore, mi senti? Fallo ancora per darmi un segnale, ti prego…”. Ecco. Ha ripetuto il gesto... Che emozione. Allora avevo ragione: lui c’è sempre stato…. “Grazie Amore mio! Sono qui con te”.

Ora nulla si muove più. Sarà stanco. Chissà che fatica è stata per lui regalarmi questo piccolo gesto.

I medici sostengono che la sua salute stia peggiorando e si affatichi facilmente. È giunto il momento di andare. Ma è stata una giornata bellissima perché oggi è tornato a salutarmi.

Può la felicità essere composta di infiniti, microscopici frammenti carpiti al tempo e donati dalla presenza di chi amiamo? Se così è, allora io sono la donna più felice e fortunata del mondo.

La farfalla

“Mamma, vieni… hanno staccato la spina. Papà è volato via… Dobbiamo andare.”

Sì, Marco. Hai ragione. Tuo padre si è trasformato in farfalla. Dicono che il tempo si misuri nel silenzio fra due voci. E io la sua, la sento ancora. Mi aspetta, dice, in riva al lago, per restituirmi le parole che ha conservato per me durante questi anni. A breve lo libereremo sul quel prato dove tutto cominciò 10 anni fa. E ogni granello di cenere sarà una parola regalata al vento dei ricordi.

carola.cestari@libero.it