Una bambina sul balcone. Insieme a lei c’è un uomo, con la sua altezza, con la lingua degli dèi, dicendo cose incomprensibili che lei ha dimenticato. Intanto grazie al fiume che scorre e discorre con entrambi (i quali invece non si parlano), giunge a noi la distanza, il silenzio, la loro solitudine. Questa immagine, sintesi della poesia “Con él II” (“Con lui II”), rivela l’essenza di Los solitarios amamos las ciudades (2010, Índole Editores), raccolta di poesie con la quale la salvadoregna Susana Reyes (San Salvador, 1971) ci apre una finestra sulla memoria. “La finestra/ guarda la finestra” scrive, così che avanzando nella lettura del libro, percepiamo lo spazio vuoto attraverso il quale possiamo vedere, lo stesso vuoto che era stato generato dalla privazione e dall’abbandono.
la città abbandonata
il chiarore colando sotto le porte
i passi, il viavai
il continuo dei suoni
il silenzio che gli si oppone
Così come il vuoto è conseguenza e non semplice stato naturale, il silenzio – tanto presente nella poesia di Susana Reyes – non si palesa come manifestazione spontanea di un ambiente armonioso, l’atmosfera ovattata di un’alba, o la quiete rurale di un piccolo villaggio, al contrario si rivela sotto forma di voci taciute, paure, aspettative, attese.
Il figlio se n’è andato
lei sa dove e lo tace
Di nuovo la partenza (i passi di chi si prepara all’abbandono, al lasciarsi dietro). Ma chi è questo figlio che se ne va, e perché il suo incedere e il suo addio non sono uguali a quelli di un qualsiasi altro figlio? L’opera ce lo racconta in ogni verso. I figli, i padri, i vicini, il marito, le amiche; personaggi divisi in due grandi gruppi, quelli che se ne vanno, e quelli che rimangono. E incontriamo anche un “Paese lontano” e una “città decimata dal tempo”.
In un’intervista del 2011, realizzata presso il Centro Cultural de España en El Salvador, la poetessa si esprime con queste parole: “La mia generazione è la generazione dell’abbandono, siamo i bambini, quasi adolescenti, della guerra, che vedono andarsene i loro amici, che vedono andarsene i loro fratelli, che vedono andarsene i loro vicini, che non capiscono perché ...”{1}
Dobbiamo sottolineare che qualche minuto dopo, nella stessa intervista, la Reyes afferma di non essersi mai sentita parte di qualche modello generazionale o di una corrente letteraria specifica del suo Paese, tuttavia ciò non significa che, all’interno della storia letteraria di El Salvador, i suoi testi rappresentino un corpo estraneo. Nonostante la sua poesia non sia eminentemente sociale, e malgrado nella sua voce predomini un linguaggio intimista, diretto all’esplorazione dell’io e dell’altro, la poesia di Susana Reyes evidenzia chiaramente la sua eredità della Generación Comprometida (1956), gruppo che “in risposta alla sua epoca… portò a termine il modellamento e la trasformazione dell’immaginario poetico nazionale… I linguaggi e i formati classici si convertirono in linguaggi confessionali, quotidiani, biografici, testimoniali”.{2} Al tempo stesso la sua poesia è contraddistinta dalle caratteristiche della generazione degli anni novanta, periodo che coincide con il momento in cui la poetessa comincia a scrivere.
“In quel momento – afferma Tania Pleitez – una delle sfide della letteratura salvadoregna del dopoguerra era inventare il volto dell’altro salvadoregno, colui che era qualcosa di più del guerrigliero e del soldato… Si doveva creare coscienza dell’altro, trasmettere l’esperienza estranea, e soprattutto aiutare a preservare la memoria”.{3}
Il soave aroma era un’attesa sulle scalinate
di notte una lucciola
lei e il libro sull’asfalto
lei e la solitudine nella poesia
ancora la guerra e la colazione
e il libro di musica fra le mani
È necessario distinguere la figura dell’altro, perché nei testi di Susana Reyes, la madre, la nonna, il fratello, non sono solo i suoi familiari, sono la storia, il ricordo di tutti.
l’allegria dei vicini senza volto
le signore rispettabili mormorando sui balconi
…
Non durerà molto
…
la passeggiata notturna
è un frutto proibito
un sentiero interrotto
un’amarezza dispersa nelle vie
Questa “amarezza dispersa nelle vie” non è riservata a una classe sociale specifica, è l’amarezza di tutti perché ha pervaso ogni spazio.
I personaggi stanno lì a volte parlando a bassa voce, a volte dando messaggi che nessuno ricorda, quasi sempre muti, sopportando, con il proprio riserbo, con la propria solitudine. Tuttavia questa solitudine si costruisce attraverso figure parallele, così, guardando “la finestra (che) guarda la finestra” (una di fronte all’altra, vuote e in silenzio), sperimentiamo la solitudine della protagonista per la forma in cui menziona gli altri, sempre presenti in una “vicina lontananza”.
Cercai di afferrare con la rete dei sogni
quella casa che costruivi ogni notte
lì ti sedevi nell’ampio corridoio
…
un solitario ricordo d’infanzia nel Paese lontano
la mia ostinazione nel vederti sul balcone
l’odore del pomeriggio d’inverno
Tutto ciò è la tua casa l’unica,
che io conservo in questo disordinato hangar che palpita
Due tipi di emozione disegnano la solitudine: uno si manifesta nel ricordo, o nel sogno dell’altro, nell’astio e nella tristezza di chi è rimasto ed ha assistito alla partenza di “tutti”; l’altro emerge dal silenzio dei personaggi riuniti in uno stesso spazio, e ci trasmette i loro timori e riserbi, la loro sopportazione e stanchezza di fronte all’attesa.
Lei di fronte alla mamma e alla nonna, lei di fronte all’amica che se n’è andata, lei in dialogo con il fratello assente, lei assieme al padre, ma da questo separata dal fiume. Osserviamo che i personaggi si presentano in modo parallelo o si manifestano uno attraverso l'eco dell’espressività dell’altro. Vediamo come anche le parole si comportano allo stesso modo:
Lei mise a bollire l’acqua
con la leggerezza delle foglie
Fuori
una bambina giocava al rituale del pasto
Una bambina giocava al rituale delle bambine
Dentro
lei cucinava la leggerezza dei sogni invecchiati
il sapore semplice delle cose che non avverranno
perché il cuore è un bambino accoccolato sotto un ponte
Una donna e una bambina, una dentro e l’altra fuori, durante il rituale del pasto cucinano la leggerezza (suavidad) delle foglie e i sogni invecchiati.
Essere di fronte all’altro, essere con l’altro, essere l’altro. Attraverso la memoria e con la propria solitudine, il soggetto lirico genererà una franca identificazione tra i distinti personaggi.
Lei aveva portato il cattivo presagio
sempre lei...
Io ero lei
Nonostante me
e mi vestivo coi suoi occhi
e soffrivo il peso di un addio estraneo
Susanna scrive “io sogno le voci silenti”, e anche queste voci sono un ricordo insistente, il ricordo insistente, espresso per mezzo di parole che si ripetono e che coniugano le due nostalgie: quella di chi se n’è andato e quella di chi rimane. Si tratta di parole e versi che ci parlano di soggetti disgiunti però immersi in un ambiente empatico, ricco di storia individuale e simultaneamente collettiva.
{1}Pubblicata su YouTube, 30 maggio 2011.
{2}Pleitez Vela, Tania, “Incertidumbre, desencanto, renovación”, Análisis de situación de la expresión artística en El Salvador, Fundación Accesarte, San Salvador, 2012, p. 62.
{3}Ivi, p. 110.
POESIE DI SUSANA REYES da Los solitarios amamos las ciudades (2010)
*
Solo quedan las fotografías
una aventura de sal y la cuna de tu boca
Bajo el ángel un sueño postergado
una mano que no fue
y el abismo hecho de silencio
*
Solo restano fotografie
un’avventura di sale e la culla della tua bocca
Ai piedi dell’angelo, un sogno rimandato
una mano che non c’era
e l’abisso fatto di silenzio
*
Recogí las postales
las fotos de niña
todas en un rompecabezas
de ladrillo y sangre
Reinventé una ciudad ajena
a partir de tiras y lágrimas
calles empedradas, esquinas bulliciosas
Sigo ahí
acariciando una foto el recuerdo
reconstruyendo
*
Raccolsi le cartoline
le foto di bambina
tutte in un puzzle
di mattoni e sangue
Reinventai una città straniera
solo partendo da nastri e lacrime
strade di pietra e angoli chiassosi
Continuo così
accarezzando una foto il ricordo
ricostruendo
*
Detrás de la niña en la foto
duele el paisaje de infancia
un río corre
y en noche de invierno crece
La abuela se desvela
acariciando con su mano
el ruido que avanza
Ha de haberle tenido miedo a los puentes caídos
Sabe callar
cuando el corazón cruje
y se abalanza en un llanto atávico sobre ella
En la tarde sola, camina la niña en ese paisaje sepia.
Ninguna calle dijo nada de su nombre
Ninguna calle se reconocía a sí misma
Dentro de ella, se cuecen la prisa
los techos marrones los callejones anónimos
La ciudad observa
conoce el vacío y el dolor de lo perdido
Aquí está la primera piedra
…quizás en una foto que imagina de familia
y asoma a la puerta de tres generaciones olvidadas
*
Dietro la bambina nella foto
duole il paesaggio dell’infanzia
un fiume scorre
e nelle notti d’inverno cresce
La nonna veglia
accarezzando con la mano
il rumore che avanza
Deve aver tremato quando caddero i ponti
Sa tacere
quando il cuore scricchiola
e si avventa in un pianto atavico su di lei
Il pomeriggio è deserto e cammina la bimba in quel paesaggio seppiato.
Nessuna via diceva niente del suo nome
Nessuna via riconosceva sé stessa
Dentro di lei, si consumano la fretta
i tetti marroni i viali anonimi
La città osserva
conosce il vuoto e il dolore di ciò che si è perso
Qui sta la prima pietra
...forse in una foto che s’immagina di famiglia
e svela la soglia di tre generazioni dimenticate
*
Venías con octubre en los labios
con el corazón hecho una bóveda
con el tropiezo de los días.
Te sentabas como un perro
que espera al amo ausente
a quien oye en sueños llamarlo en la llanura
Compartías la mesa
con el gesto de los niños hambrientos
con la angustia del vagabundo
Llorabas como llora el mar en la madrugada
Te acostumbraste a desprender una luz
(que te mata cada noche)
porque te acostumbraste a su dolor
a un incómodo resplandor en las entrañas
a su forma de amar y acomodarse
y te sabes fuerte
porque eres capaz de tragar luz y no llorar.
*
Venivi con ottobre sulle labbra
il cuore come una cripta,
con le difficoltà dei tuoi giorni.
Ti sedevi come un cane
che aspetta il padrone assente
ascoltando, nei sogni, il suo richiamo nella pianura
Ti sedevi a tavola
con l’espressione di un bimbo affamato
con l’angoscia del vagabondo
Piangevi come il mare quando geme nella notte
Ti sei abituato a emanare una luce
(che ogni volta ti uccide)
poiché sei assuefatto al suo dolore
a un fastidioso bagliore nei visceri
al suo modo di amare e comporsi
e ti senti forte
perché sai assorbire la luce senza piangere.
*
Llegaste tarde y se había ido
cruzó la puerta sabiendo que no estabas
Abriste y descubriste su olor
recogió sus camisas
Te serviste un jugo sin azúcar
abrió un libro, otro, otro, todos
La televisión ríe y llora cuando quieres
Estuvo temprano, buscando las palabras
Te quedaste sola, otra vez,
su silencio,
Tu rabia,
su orgullo,
Tu rabia, sola,
En silencio, otra vez.
*
Sei arrivata e se n’era già andato
passò la soglia sapendo che non c’eri
Aprendo hai scoperto il suo odore
raccolse le sue camicie
Ti sei servita un succo, senza zucchero
Aprì un libro, un altro e un altro, tutti
La televisione ride e piange quando vuoi
È stato qui presto, cercando le parole
Sei rimasta sola, un’altra volta
il suo silenzio,
La tua rabbia,
il suo orgoglio,
La tua rabbia, sola
In silenzio, ancora.
LAS CARTAS
7 de abril, 15 años, durante
Son las seis
y una ráfaga se hunde con furia
en la quietud de la tarde
Ya tengo vacías las manos
seco el aire que respiro
acaba de incendiarse la tarde
y su color se derrama
en los techos del barrio
yo me refugio en los recuerdos
abrazo un perro temeroso
y la abuela reza por todos
la madre ya habría vuelto
éramos todas un racimo de miedo.
El suave olor a tabaco
las piernas fuertes
un país lejano
en la sala un corazón
y la abuela que acaricia los cabellos
en la cesta la algarabía
el olor a campo el sudor el miedo agazapados
Ella
tres palabras
su silencio
la cena por turnos
y el atardecer incierto
Nosotros
la espera
el abrazo la cercana lejanía
la eternidad de la tarde
Ella
la ciudad en domingo
el corazón solitario
el laberinto
yo
una pregunta constante
un sobresalto unas ganas del abrazo a medianoche
la abuela y su coraje
la madre y un rumor a las cinco de la tarde
yo y mi perro con su cola inquieta
ambas (ellas y yo)
los silencios y la espera
los caminos paralelos
el nudo en las palabras
LE LETTERE
7 di aprile, 15 anni, durante
Sono le sei
e una raffica affonda con furia
nella quiete del tramonto
Già ho le mani vuote
secca l’aria che respiro
s’è appena incendiata la sera
e il suo colore si sparge
sui tetti del quartiere
io mi rifugio nei ricordi
abbraccio un cane impaurito
e la nonna prega per tutti
la madre dovrebbe già esser tornata
eravamo tutte un racemo di paura.
Il dolce profumo di tabacco
le gambe forti
un paese lontano
nella sala un cuore
e la nonna che accarezza i capelli
nella cesta il subbuglio
l’odore di campo il sudore la paura acquattati
Lei
tre parole
il suo silenzio
cenare a turno
e il tramonto incerto
Noi
l’attesa
l’abbraccio la vicina lontananza
l’eternità del pomeriggio
Lei
la città di domenica
il cuore solitario
il labirinto
io
una domanda costante
un sussulto una voglia di abbraccio a mezzanotte
la nonna e il suo coraggio
la madre e un rumore alle cinque della sera
io e il mio cane con la sua coda inquieta
entrambe (loro ed io)
i silenzi e l’attesa
i cammini paralleli
un nodo nelle parole
*
Pero el remedio, aunque sea imperfecto, es huir siempre del último sitio donde se ha sufrido. CHARLES DICKENS
La ciudad seguirá su pulso
el horizonte se ha desnudado de volcanes
el filo de los pinos muerde la tarde
y la voz de todos ensordece los pasos
Un susurro de viento y verde intenta aliviarla
Le ha dicho que nunca se juega con fuego
que el sabor de la soledad
terminará por vencer su alma
que nunca volverá por el mismo sendero
y que afuera caen, a pedazos, los pájaros.
Ayer soñó con la transparencia de viejos días
y rechazaba las caricias
de manos tristes
y la boca era un cuchillo desangrado
Soñó el ruido de la tarde
su látigo de fuego en la habitación
la vasta soledad del jardín acurrucado
las manos sobre el cuerpo tibio y sonriente
la voz como luz recorriendo las cortezas
Llueven diamantes sobre los árboles
y un mar silencioso y verde se mece.
*
Ma il rimedio, anche se imperfetto, è fuggire sempre dall’ultimo luogo dove si ha sofferto. CHARLES DICKENS
La città seguirà il suo battito
l’orizzonte si è spogliato dei vulcani
la linea dei pini addenta la sera
e il vocio attenua il rumore dei passi
Un sussurro di vento e verde le offre sollievo
Le ha detto che mai si gioca col fuoco
che il gusto della solitudine
vincerà alla fine sull’anima
che mai tornerà per lo stesso sentiero
e che fuori cadono, a pezzi, gli uccelli.
Ieri ha sognato con la trasparenza di giorni lontani
e rifiutava le carezze
di mani tristi
e la bocca era un coltello dissanguato
Ha sognato il suono della sera
la sua frusta di fuoco nella stanza
l’immensa solitudine del giardino accovacciato
le mani sul corpo tiepido e sorridente
la voce come luce percorrendo le cortecce
Piovono diamanti sugli alberi
e un mare silenzioso, e verde, si culla.
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Traduzione dallo spagnolo di Carla García Citerio e Carlo Citterio
Susana Reyes è poetessa, editrice, attrice e lavora come insegnante di Lettere presso l’Universidad Centroamericana José Simeón Cañas. Direttrice di Índole Editores e Presidente della Fundación Claribel Alegría.
Appartiene al gruppo letterario femminile Poesía y Más… Impartisce corsi di creazione letteraria per giovani e adulti. Ha partecipato a spettacoli teatrali con il gruppo La calle e il Teatro Luis Poma. Ha pubblicato: Los solitarios amamos las ciudades (Indole Editores, 2010), Historia de los espejos (Dirección de Publicaciones e Impresos San Salvador, 2004) e Postales urbanas y vitrales (La Casa del Escritor, 2002).
Suoi testi sono apparsi in diverse antologie nazionali e internazionali, tra cui le più recenti sono: La poesía del siglo XX en El Salvador (Visor, 2012) e Teatro bajo mi piel (edizione spagnolo – inglese, Editorial Kalina, 2014). Ha partecipato come ricercatrice in progetti sulla poesia di autrici donne e lo stato della letteratura in El Salvador.
carlagarciaciterio@gmail.com
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