FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 53
settembre/dicembre 2019

Immersioni

 

ROSANA ACQUARONI, LA CASA GRANDE

di Francesco Tarquini



Dalla copertina di La casa grande di Rosana Acquaroni ci osservano due immensi occhi infantili. È lo sguardo interrogativo e sulla difensiva, forse anche un po’ provocatorio, di qualcuno che non sa ancora bene cosa aspettarsi dalla vita. Qualcuno che può sembrare un maschio, con quei capelli corti, quei pantaloncini; invece è una bambina. Lo sappiamo. Con un cartone di latte ben stretto fra le mani, si direbbe che stia tornando a casa. Alla sua “casa grande”.
La casa dell’infanzia, i cui spazi quella bambina divenuta adulta riflette in questa raccolta poetica pubblicata in Spagna da Bartebly Editores nel 2018 e vincitrice del Premio Libro del Año 2019 per la poesia della Asociación de Librerías de Madrid, dalla quale sono tratti i testi qui sotto selezionati e tradotti.

Un libro che rappresenta un punto d’arrivo in un lungo percorso che ha visto affinarsi sino a diventare acuto come un bisturi un linguaggio scarno, densissimo, controllato all’estremo e intenso di una intensità che non concede nulla all’esibizione del sentimento: ma che è invece in grado di mostrarlo nell’interezza della sua natura contraddittoria e sofferente. La casa grande è un’impavida autobiografia poetica, evocazione nostalgica e spietata di una casa che nasconde più di quanto mostri, fatta di corridoi, di armadi, di recessi oscuri quanto gli avvenimenti che intorno alla bambina che fu hanno intessuto una rete di eventi che solo con il tempo si sono fatti comprensibili. In questi spazi Rosana Acquaroni ha vissuto la propria infanzia; e di questi spazi dice il libro, in cui, attraverso un doloroso ed estatico viaggio della memoria, l’autrice rivive la propria infanzia nel territorio d’ombra della vita famigliare.

Un padre silenzioso e ferito, sullo sfondo; l’oscura presenza di un uomo affascinante e misterioso; una bambina che si fa donna crescendo accanto a una madre ribelle alle convenzioni, drammatica eroina di una vicenda trasgressiva nella quale si susseguono gli abbandoni e le fughe: poi il declinare in balia della malattia mentale, la morte come volontà di abbandono e al tempo stesso, per la figlia, fonte di un ritrovamento dell’amore. Nel ricordo di questa non sanata sofferenza materna Rosana Acquaroni riscopre i suoi occhi di bambina, fatti contemporanei del suo sguardo adulto, riuscendo a rimettere insieme e ricomporre i brandelli dispersi di una vita.




POESIE DI ROSANA ACQUARONI
da La casa grande
Bartleby Editores, Spagna, 2018


DE LA CASA GRANDE
solo recuerdo aquel armario blanco
encallado en aquel largo pasillo
como en un río encajonado y pedregoso.

Un útero vacío que no sangrase nunca
y alumbrara por dentro.

En su interior
entre sábanas perfumadas
mantelerías de hilo
y toallas de rizo americano
mamá nos escondía bajo llave
las fotos y las cartas de aquel desconocido.

Canoso y trajeado,
era un hombre elegante
de facciones sureñas
que imantaba mi cuerpo,
lo llenaba de lámparas,
con aquella sonrisa
sonora y reflectante.

Eran fotos de estudio
siempre de medio cuerpo
–su corbata ejemplar,
el chaleco de ante abotonado,
ligeramente abierto–.
Yo entraba en ellas
como en un oleaje sin retorno.

Me imaginaba dentro
de aquella madre
rebosante y eterna
que siempre estaba huyendo.

Me encarnaba en tu piel
me infiltraba en tu sueño de tálamo escindido
de camisón secreto.

Después llegaba él
y yo lo acariciaba
con cada uno de tus dedos
que eran lentos navíos
penetrando aquel hielo.

Él sigue allí
a veces puedo verlo apostado en mi infancia
–cada vez más ajeno–,
mirando hacia el balcón de nuestra casa
mientras un limpiabotas
le lustra los zapatos.


DELLA CASA GRANDE
ricordo solo quell’armadio bianco
incagliato nel lungo corridoio
come in un fiume infossato irto di pietre.

Un utero vuoto che mai perdesse sangue
e che di dentro fosse illuminato.

All’interno
fra lenzuola profumate
tovagliati di lino
asciugamani di lino americani
mamma nascondeva sotto chiave per noi
foto e lettere di quello sconosciuto.

Capelli grigi, ben vestito,
era un tipo elegante
uomo del meridione all’apparenza,
attirava il mio corpo come una calamita,
lo inondava di luci,
con quel suo sorriso
riflettente e sonoro.

Fotografie da studio
sempre a mezzo busto
– la cravatta impeccabile,
il gilet di camoscio abbottonato,
semiaperto –.
Entravo in quelle foto
come in un moto d’onde senza ritorno.

Immaginavo me stessa
dentro quella madre
traboccante ed eterna
continuamente in fuga.

Mi incarnavo nella tua pelle
mi insinuavo nel tuo sogno di letti separati
di biancheria segreta.

E poi arrivava lui
e io lo accarezzavo
con ciascuna delle tue dita,
lente navi
che si addentravano in quel ghiaccio.

Lui è ancora lì
posso vederlo a volte appostato nella mia infanzia
– sempre più estraneo –,
guarda verso il balcone di casa nostra
mentre con una spazzola un uomo
gli lucida le scarpe.


LA HORA DE LA SIESTA ERA MI PURGATORIO
como una pesadilla de persianas izadas
en una noche blanca
sobre una madre blanca que ha perdido los ojos
y no sabe volver ni despertar.

Condenada a vagar por las estancias
de una casa vencida
necrosada
donde rompen los sueños
y el tiempo se detiene,
como en aquellos cuentos de palacios
o reinos narcotizados por las hadas.

Mamá y papá recién atardecidos.
Papá y mamá dormidos para siempre
como si hubierais muerto
y yo me dedicara
a cerrar vuestra boca,
ese párpado ardiendo
que respira su noche.

Alguien está llegando
está irrumpiendo de nuevo
en aquel dormitorio de trenes apagados.

Es la niña que fui
que ahora regresa
para verte dormir al lado de mi padre.
Tu pecho acompasado con el suyo
el ruido de las sábanas arropando el silencio.

La gélida ignorancia de dos cuerpos
que no se resucitan
–ni siquiera se rozan–
como un rescoldo eterno
enterrado en el agua.


L’ORA DELLA SIESTA ERA IL MIO PURGATORIO
simile a un incubo di persiane innalzate
in una notte bianca
sopra una madre bianca che ha perduto gli occhi
e non sa far ritorno né svegliarsi.

Condannata a vagare nelle stanze
d’una casa sconfitta
necrotizzata
in cui si infrangono i sogni
e in cui s’arresta il tempo,
come in certe storie di palazzi
o regni narcotizzati dalle fate.

Mamma e papà appena svaniti nella sera.
Papà, mamma per sempre addormentati
come se foste morti
ed io mi preoccupassi
di chiudervi la bocca,
quell’infiammata palpebra
che respira la sua notte.

Sta arrivando qualcuno
sta irrompendo di nuovo
in quella camera da letto di treni spenti.

È la bambina che fui
che ora ritorna
per vederti dormire al fianco di mio padre.
Il tuo petto all’unisono col suo
il rumore delle lenzuola che vestono il silenzio.

La gelida ignoranza di due corpi
che non si ridanno vita
– non si sfiorano neppure –
come un rancore eterno
sotterrato nell’acqua.


LO QUE MÁS ME GUSTABA
era hurgar en el cajón de tu mesilla.
Tropezar con aquel inventario de cosas inservibles.

El pastillero roto,
la cajita de nácar con mis dientes de leche,
negativos sin fotos,
emulsión transparente
donde la oscuridad deslumbra
con su plata metálica.

Escenas ya vividas
por la mujer que fuiste en otro tiempo
y que yo me empeñaba en comprender.

Caracolas sin mar,
pelusas y botones
un guante desparejo,
como esos piececitos de cera bendecida,
esas manitas huérfanas
que cuelgan en algunas capillas,
exvotos que celebran
la curación de un niño enfermo.

Llaves arrinconadas
que extraviaron sus puertas      sus cerrojos
magia desvencijada      piezas
sin ensamblaje

deterioros
todo formando parte de tu vida anterior.

Un humus florecido
en el bancal de tierra removida
donde la infancia encuentra una tarea,
una razón de ser.


QUEL CHE PIÙ MI PIACEVA
era frugare nel cassetto del tuo tavolino.
Imbattermi in quell’inventario di oggetti inutili.

Il portapillole rotto,
la scatolina di madreperla coi miei denti da latte,
negativi senza fotografia,
trasparente emulsione
in cui l’oscurità abbaglia
col suo metallico riflesso d’argento.

Scene già vissute
dalla donna che eri stata in altri tempi
e che io mi ostinavo a comprendere.

Chiocciole senza mare,
fili sparsi e bottoni,
un guanto spaiato,
simili a quei pezzettini di cera benedetta,
a quelle manine orfane
che si appendono in certe cappelle,
ex voto celebranti
la guarigione di un piccolo ammalato.

Chiavi accantonate
che hanno smarrito le loro porte      le loro serrature
sgangherata magia      pezzi
non assemblati

rimasugli
tutti frammenti della tua vita di prima.

Humus fiorito
sul banco di terra smossa
in cui l’infanzia trova un obiettivo,
una ragione d’essere.


DÍAS LUMINOSOS
atravesados
por la cárdena intromisión de la locura.

Terco vislumbrar de puertas
que se cierran
cuando paso,
pero que en el recuerdo
se han quedado mirándome,
entornadas,
como si fueran párpados.


GIORNI LUMINOSI
cui fa intralcio
irrompendo paonazza la follia.

Caparbio sospetto di porte
che si chiudono
quando passo,
ma che nel ricordo
son rimaste a guardarmi,
socchiuse,
come fossero palpebre.


ATARDECE EN LA CASA
y el pasillo se vuelve
sinuoso y eterno.

Yo soy aquella niña que se esconde
en el fondo del cuarto.

Mi madre está descalza.
Permanece sentada ante la mesa del comedor.
La envuelve un humo absorto.
Es la vigilia acicalada del delirio.

Veo un hilo de nácar que sale de su rostro
donde ya no hay palabras.

Mientras
un animal convulso
irrumpe sin aviso
cercenando la infancia
eclipsándolo todo.

Papá:
Tú has decidido
abandonar la casa
y llevarme contigo
a algún lugar seguro.

Y ahora sé que el hotel
se llama Mediodía.
Conserva en la fachada
el cartel luminoso
que leí aquella noche con mi lengua de trapo.

Recuerdo su penumbra,
la moqueta gastada
la filigrana gris
de una luna creciente
sobre el papel pintado.

Las dos camitas juntas.

La orfandad para siempre de mi padre.
Su muda dobladita
dentro de la maleta.

Aquel triste juguete que escogimos
precipitadamente
y, sobre todo,
aquella sensación de usurpar tu lugar.
De estar en lo prohibido.

Dentro de una piscina
vaciada a destiempo.


NELLA CASA SCENDE LA SERA
e il corridoio si fa
tortuoso ed eterno.

Io sono la bambina nascosta
nell’angolo in fondo alla stanza.

Mia madre è scalza.
Siede immobile al tavolo da pranzo.
La avvolge un fumo assorto.
È l’agghindata vigilia del delirio.

Vedo un filo di madreperla uscire dal suo viso
ormai senza parole.

Ed ecco
un animale esagitato
d’improvviso irrompe
amputando l’infanzia
oscurando ogni cosa.

Papà,
hai deciso
di andar via da casa
e condurmi con te
in un posto sicuro.

Ora so che l’albergo
si chiama Mediodía.
Sulla facciata c’è ancora
l’insegna luminosa
che balbettante compitai quella sera.

Ne ricordo la penombra
la moquette logora
la grigia figura in trasparenza
d’una luna crescente
sulla carta da parati.

I due lettini accostati.

Mio padre reso orfano per sempre.
Il suo cambio pateticamente ripiegato
dentro la valigia.

Lo squallido giocattolo che prendemmo su
in tutta fretta
e prima d’ogni cosa
la sensazione di usurpare il tuo posto.
Di stare nella zona proibita.

Dentro una piscina
svuotata nel momento sbagliato.


UNA MUJER QUE SIENTE QUE ESTÁ SOLA
tiene muchas maneras de morir
a manos de ella misma.
Basta con extraer de su mirada
aquel brillo incendiario de la niña que fue.

Una mujer que siente que está sola
tiene muchas maneras de caer.
Basta con tatuar en su centro:
estás hecha de nadie
y no sirves de nada sin un hombre.

Una mujer que siente que está sola
tiene muchas maneras de inmolarse por dentro
sin que nadie lo note.
Basta con amarrarse
un corazón de hielo alrededor del cuerpo
y esperar.


UNA DONNA CHE SENTE DI ESSER SOLA
possiede vari modi di morire
di sua propria mano.
È sufficiente strapparle dallo sguardo
lo splendore incendiario della bimba che è stata.

Una donna che sente di esser sola
possiede vari modi di cadere.
È sufficiente tatuarle sul petto:
tu non sei fatta di nessuno
e senza un uomo non servi a nulla.

Una donna che sente di esser sola
possiede vari modi di immolarsi di dentro
senza che nessuno se ne avveda.
È sufficiente che si leghi stretto
un cuore di ghiaccio attorno al corpo
e resti ad aspettare.


Nada de lo que se hace a ciegas es inútil para ver.
Chantal Maillard

PUEDE LLEGARTE EL DÍA
en que tengas que huir de lo que sabes,
salir corriendo en mitad de la vida
dejando todo a medias.

A mí ya me ha llegado
y es una despedida sin camino,
una casa sin puertas,
un pasillo interior que se viste de infancia
–crematorio fugaz donde la dicha
es un vaivén de faldas y columpios–.

A mí me ha sucedido,
tener que desandarme en la firmeza,
escapar del refugio que me dieron los años.

Salir a campo abierto
y arrastrarme en la nieve
de espaldas a la noche.

A mí me está pasando,
tener que encaramarme a la escalera
de todo lo perdido.
Subir a derribar aquel tejado
que nunca nos sirvió.

Dejar que el corazón
desdiga lo vivido.


Nulla di ciò che si fa alla cieca è inutile da vedere.
Chantal Maillard

PUÒ ARRIVARE PER TE IL GIORNO
in cui tu debba fuggire da ciò che sai,
andartene di corsa a metà della vita
lasciando ogni cosa a metà.

A me è già successo
ed è un commiato senza strade da prendere,
una casa senza porte,
un corridoio interiore che si veste d’infanzia –
– crematorio effimero in cui la gioia
è un va e vieni di gonne ed altalene –.

A me è successo
dover far arretrare la fermezza,
evadere dal rifugio concessomi dagli anni.

Uscire in campo aperto
e trascinarmi nella neve
dando la schiena alla notte.

A me sta succedendo,
dovermi misurare con la scala
d’ogni cosa perduta.
Montare a buttar giù quel tetto
che non ci è mai servito.

Permettere che il cuore
smentisca quello che si è vissuto.


LA PRIMERA VEZ QUE PUDE VISITARTE
en aquel sanatorio tenía veinte años.

Al traspasar la verja
sentí como si entrara
en otra casa grande.

Crucé sus antesalas
con un cuerpo prestado
y una venda en los ojos.

Letanía creciente
–aquel patio de voces
perentorio
que se apagaba más con cada paso–.

Después la claridad,
–aquella galería acristalada–
corredor dormitorio,
abismo aclimatado
para la sedación.

Mujeres tuteladas,
desnacidas,
mercadillo de almas,
trueque de mercancías codiciadas,
de pequeñas delicias,
como los cigarrillos,
alguna golosina,
una barra de labios,
o un frasco de perfume.

No logro recordar lo que dijimos.
Cuánto tiempo
estuvimos
abrazándonos.

Solo recuerdo
el polvo acumulado en las repisas.
La misma desolación a pozo seco
que guardan
los hoteles de la costa
en temporada baja.


LA PRIMA VOLTA CHE POTEI FARTI VISITA
in quell’ospedale avevo vent’anni.

Oltrepassando il cancello
sentii come se stessi entrando
in un’altra casa grande.

Attraversai le anticamere
con un corpo prestato
e una benda sugli occhi.

Crescente litania
– quel cortile di voci
perentorio
che più si affievoliva ad ogni passo –.

Dopo, il chiarore,
– quella galleria a vetrate –
corsia dormitorio,
abisso adatto
per la sedazione.

Donne sotto custodia,
disnate,
mercatino d’anime,
baratto di merci concupite,
di minime delizie,
come le sigarette,
qualche ghiottoneria,
un rossetto,
oppure una boccetta di profumo.

Non riesco a ricordare le cose che dicemmo.
Quanto tempo
rimanemmo
abbracciate.

Ricordo solo
la polvere accumulata sulle mensole.
La stessa desolazione da pozzo prosciugato
che mantengono
gli alberghi della costa
nella bassa stagione.


MADRE
he venido hasta aquí a restañar tus ataduras
a contener el frío alojado en tu boca.

Soy la hija
que te aguardó despierta cada noche
y que ahora regresa
para lavar tu lengua
de la herida silente.

He cruzado el jardín del abandono
He abatido sus puertas,
llevo una piel de niña para arropar tu cuerpo
y llenarte de juncos
mariposas
botones.

He vaciado tus frascos de pastillas,
las trago una por una
–sagrada eucaristía del olvido–.

Me he cubierto de musgo
para no lastimarte
y llevarte conmigo
hasta un claro del bosque,
donde enterrar por fin
todo lo que perdimos.


MADRE
son venuta fin qui a detergerti il sangue dei legacci
ad arrestare il freddo che dimora nella tua bocca.

Sono la figlia
che senza dormire ti ha vegliato ogni notte
e che adesso ritorna
per lavare la tua lingua
dalla ferita silente.

Ho attraversato il giardino dell’abbandono.
Ho abbattuto le sue porte,
ho con me una pelle bambina per riparare il tuo corpo
e riempirti di giunchi
farfalle
boccioli.

Ho svuotato i tuoi flaconi di medicine,
le inghiotto una per una
– santa comunione dell’oblio –.

Mi sono coperta di muschio
per non farti male
e condurti via con me
fino a una radura
dove seppellire alfine
tutto ciò che abbiamo perduto.


LA LLUVIA ES LA ANTESALA DEL RECUERDO.
Ahora llueve en Madrid
y yo arrastro tu cuerpo por las calles
como un disfraz de infancia comido por el fango.

Y quisiera contarte
que el atado de cartas sigue estando reunido
en aquel escritorio,
como tú lo dejaste.
Que nada se ha perdido,
excepto las palabras que no supe decir.

Y ahora llueve contigo,
sigue lloviendo
un agua inconsolable
que lava mis heridas
y hace que al recordarte
pueda verte de nuevo
en aquel hospital
respirando tus últimas palabras:

De la obediencia no se sale indemne.

Y ahora siento tu muerte
llamando a mi ventana
como un pulso de sangre,
o es la lluvia que bate en el cristal
con su pájaro herido,
con un ala de nadie
que te nombra
me dice
que sigo estando allí,
en aquel mes de julio
para desmantelar sin ti
la casa grande.

Y quisiera contarte
que estuve en Benarés
hace cuatro veranos,
y tú estabas allí,
a la orilla del Ganges,
con los pies sumergidos
y la cabeza ungida por el limo sagrado.

Hija voluntariosa,
desando
los caminos
de la sangre.

Nada me pertenece.
Ni siquiera el olvido.

Ya ha cesado la lluvia.

Oigo tu corazón desafiante,
desalojando en mí
su última ola.


LA PIOGGIA È L’ANTICAMERA DEL RICORDO.
Sta piovendo a Madrid
e io trascino il tuo corpo per le strade
come una maschera d’infanzia mangiata dal fango.

E ti vorrei raccontare
che il pacchetto delle lettere è ancora intero
in quella scrivania,
come tu lo hai lasciato.
Che nulla si è perduto,
eccetto le parole che non seppi pronunciare.

E adesso piove con te,
continua a piovere
un’acqua inconsolabile
che lava le mie ferite
e fa che ricordandoti
di nuovo io possa vederti
in quell’ospedale
mentre respiro le tue ultime parole:

Dall’obbedienza non si esce indenne.

E adesso sento la tua morte
che chiama alla mia finestra
come sangue che batte,
o forse è la pioggia a battere sul vetro
con il suo uccello ferito,
con un’ala di nessuno
che pronuncia il tuo nome
e a me dice
che sono ancora lì,
in quel mese di giugno,
per disfare in assenza di te
la casa grande.

E ti vorrei raccontare
che sono stata a Benares
quattro estati fa,
c’eri anche tu,
sulla riva del Gange,
con i piedi nell’acqua
e il capo unto con il limo sacro.

Figlia volenterosa,
retrocedo
sulle strade
del sangue.

Nulla mi appartiene.
Neppure l’oblio.

Ora ha smesso di piovere.

Odo il tuo cuore che mi sfida,
mentre scaccia da me
la sua ultima onda.





Rosana Acquaroni
è nata a Madrid, dove vive, nel 1964. Laureata in Filologia ispanica, ha poi conseguito il dottorato in Linguistica applicata. Insegna presso il Centro Complutense per l’Insegnamento dello Spagnolo.
Ha pubblicato i libri di poesia: Del mar bajo los puentes (1987), El Jardín Navegable (1990, ripubblicato nel 2017), Cartografía sin mundo (1994, Premio di Poesia Cáceres Patrimonio dell’Umanità), Lámparas de arena (2000), Discordia de los dóciles (2011), La casa grande (2018). È presente in numerose antologie e vari suoi testi sono stati tradotti in diverse lingue.
Una scelta di poesie da La casa grande nella traduzione di Francesco Tarquini è stata pubblicata da Nuovi Argomenti-Officina Poesia (maggio 2019).


tarquini.francesco@fastwebnet.it