FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 52
maggio/agosto 2019

Sorelle & Fratelli

 

MARÍA BARANDA, TEORIA DELLE BAMBINE

di Alessio Brandolini



Nata nella capitale messicana, dove risiede, Maria Baranda (1962) è una delle autrici più conosciute e interessanti del suo paese e dell’area ispanoamericana. Teoria delle bambine [Teoría de las niñas, Vaso Roto, Messico, 2018] è il suo ultimo libro che si differenzia dai quelli precedenti per una misura più secca e compatta. Anche se poi, diviso in tre parti, il nuovo lavoro è sostanzialmente un organico, lungo poema dove i testi si intersecano e si intrecciano: spesso la poesia riparte dall’ultimo verso di quella precedente e riprende (approfondendo) le stesse tematiche e riflessioni esistenziali. Resta però, nella singola parte, questa brevità del dettato che spesso si dispiega in prosa poetica (nella sezione finale) e, inoltre, in temi ricorrenti e spiazzanti che arano il tessuto metrico e lo plasmano e lo graffiano, come disegnando e pitturando su carta.

Qui si parla d’infanzia come di un paese sconosciuto eppure continuamente presente, anche nella vita da adulti, un’infanzia che aspira alla gioia, alla pienezza e invece si scontra con un muro o resta esposta alla pioggia, alle intemperie: la felicità dura solo un istante. Si parla di due sorelle, due bambine (il libro è dedicato alle figlie dell’autrice) e di un padre che disegna qualcosa che non esiste, probabilmente la sua fanciullezza o quella di chiunque altro, un padre che cammina in un altro secolo. Infanzia come utopia perché la sua dilatazione/diluizione nel corso degli anni e delle esperienze fa sì che non abbia più un suo unico e preciso tempo e che le pareti dove è rinchiusa siano bianche, asettiche. L’infanzia è un occhio indiscreto che scruta il presente e contempla i sogni, un suono liquido e aspro che genera immagini come macchinari celesti e gocce invisibili di silenzio, visioni che distanziano dalla vita quotidiana ma contrastano l’oblio e il dolore.

L’allegria dell’infanzia allora occorre cercarla nelle fughe, negli interstizi, negli spazi obliqui, ristretti e, inoltre, si scontra sempre con la sofferenza generata dalle difficoltà, dai dubbi e dal proprio corpo in continua trasformazione e in quella età in modo assai più rapido ed evidente.
Di cosa hanno paura le due sorelle? Il tempo salta in avanti o dietro, come fanno i bambini quando giocano con la corda, per saperne di più di un momento importante, per sciogliere un blocco, un groviglio di emozioni dove i fili dell’amore s’intrecciano a quelli dell’inquietudine e del disagio. Si vorrebbe “toccare” la vita semplice e piana ma nell’acqua fredda del tempo la vita è un pesce che guizza via dalle nostre mani. Il panico fa da cassa di risonanza e ogni insicurezza diventa un abisso, un grido in fiamme, un’ombra ingrandita e dalle mani enormi.

Vecchie cicatrici sputano sangue e il testo (la parola scritta) si trasforma in un sudario, in un mazzo di fiori annaffiato con l’aceto. Sangue che si ramifica come un polipo torturato.
Un padre disegna e crea un mondo di linee impalpabili, di colori da brivido. Forse la memoria, la teoria delle bambine sulla propria infanzia, su ciò che sentono e percepiscono, su come vedono gli altri, è un suono acuto che perfora le orecchie, gli organi interni. Un suono che sta dentro e fuori della pagina, in un luogo dove i bambini sono l’essenza fondamentale ma senza farsi illusioni perché poi il bosco scompare, così come l’infanzia (“c’era una volta un bosco”). Vediamo le due sorelle in queste intense pagine, quasi in ogni poesia, e uno vorrebbe dialogarci, capire meglio la loro idea dell’infanzia ma l’artista disegna e cancella, le crea e mescola sogni che sembrano code di serpenti e incutono timore con questo tempo liquido (grondante) che solca la pagina scritta e ci lascia con gli occhi stipati di conturbanti visioni. Teorie delle bambine è un libro duro e intenso che non dialoga solo con l’infanzia dal punto di vista di due sorelle ma con il senso della vita e della poesia fatta di attesa e di pazienza. Infanzia che dialoga con il mondo adulto e si fa scontro tra il razionale e l’irrazionale, tra l’azione pensata e l’istinto, l’impulso. Il ritmo di questo ultimo libro di María Baranda è sincopato e urtante, come pervaso da una gioia in pausa, in gabbia o appollaiata su cavi arroventati, elettrici: una gioia congiunta a un dolore arcaico, fatto di violenze e strappi “nel tempo senza tempo” che qui si trasforma in voce poetica possente e vibrante.




POESIE DI MARÍA BARANDA
da Teoría de las niñas
Vaso Roto, Spagna, 2018


*

Hay un hilo de luz que traza máquinas celestes.
–Arriba al aire y para siempre–.
Es la voz
larga y honda del que pinta.
Traza un muro, luego otro.
Ordena las partículas que ve en repisas,
cajones,
el filo de la cama donde sueña.

Los sueños para él son terrestres
–los contempla–,
manos desaforadas en esquirlas,
rocas pulidas en las ventanas
para los ojos de los niños.


*

C’è un filo di luce che traccia macchine celesti.
– Sopra l’aria e per sempre –
È la voce
estesa e profonda di colui che dipinge.
Traccia un muro, poi un altro.
Sistema le particelle che vede su mensole,
cassetti,
il filo del letto dove sogna.

Per lui i sogni sono terrestri
– li contempla –,
mani enormi in schegge,
pietre levigate alle finestre
per gli occhi dei bambini.


*

Entra mi padre.
Se pone una cuchara de metal en el ojo
para mirar lo súbito, el tiempo
en la superficie de todas las raíces. Llora,
llora un poco.
Se apaga el agua de tan llovida.
Se mezclan los gritos de las niñas.
Mira a lo lejos,
ve sílabas de alumbre, los ojos
de un sol que ya declina.
Piensa en una línea de fuego
que se extiende por el cielo,
lo que se nombra a solas:
la dicha.


*

Entra mio padre.
S’infila un cucchiaio di metallo nell’occhio
per osservare l’istante, il tempo
sulla superficie di tutte le radici. Piange,
piange un po’.
Cessa l’acqua per via di tanta pioggia.
Si mescolano le grida delle bambine.
Guarda in lontananza,
vede sillabe di allume, gli occhi
di un sole ormai al crepuscolo.
Pensa a una linea di fuoco
che si estende nel cielo,
ciò che si nomina da soli:
la gioia.


*

Lo que ilumina el día es parte de otro sacrificio.
La total apertura entre la sístole y la diástole
de un campo de cuervos.
Los cuervos son los dedos de sus manos invisibles,
sonido líquido y agrio
que revienta duro en sus oídos.

Mi padre, en su dibujo, camina lentamente en otro siglo.


*

Quello che illumina il giorno è parte di un altro sacrificio.
La totale apertura tra sistole e diastole
in un campo di corvi.
I corvi sono le dita delle sue mani invisibili,
suono liquido e aspro
che esplode in modo duro nelle sue orecchie.

Mio padre, nel suo disegno, cammina adagio in un altro secolo.


*

Hay una dificultad en la definición.
Una historia virtual para ser tú mismo.
Aquello que te nombra y te sorprende.
El sentido común enroscado
como se enroscan los cuernos de carnero.
Todas las niñas eres tú.
Y tú eres el nombre del abismo.


*

C’è una difficoltà nella definizione.
Una storia virtuale per essere te stesso.
Quello che ti nomina e ti sorprende.
Il buonsenso attorcigliato
come si attorcigliano le corna di un montone.
Tutte le bambine sei tu.
E tu sei il nome dell’abisso.


*

Mi padre no entiende la sangre.
Piensa en la memoria como si fuera un sonido agudo.
Entra.
No entra.
Afuera hay un grito imaginario
en la hondura de las paredes blancas.
Los ojos.
Las paredes blancas son sus ojos.
Las paredes blancas son un libro.
El suyo.
Sus líneas,
hondos pozos del tamaño de un cuervo.
No hay nadie.


*

Mio padre non comprende il sangue.
Pensa alla memoria come se fosse un suono acuto.
Entra.
Non entra.
Fuori c’è un grido immaginario
nella profondità delle pareti bianche.
Gli occhi.
Le pareti bianche sono i suoi occhi.
Le pareti bianche sono un libro.
Il suo.
Le sue linee,
profondi pozzi della grandezza di un corvo.
Non c’è più nessuno.


*

Las niñas gimen por la orilla de la página.
Todas las cosas son dichas por su cuerpo.
Se revuelven en un sueño, luego en otro.

Utilería forzada de las cosas más simples:
un moño,
un broche,
un listón largo para desdibujarlas todas.

Las tijeras siguen su curso.
Todo es vibración en el papel,
residuos transparentes de lo dicho,
usura minúscula en cada hoyo.


*

Le bambine gemono sul bordo della pagina.
Tutte le cose sono dette per il loro corpo.
Si rigirano in un sogno, poi in un altro.

Materiale di scena vincolato alle cose più semplici:
uno chignon,
una spilla,
una lunga asticella per cancellare ogni cosa.

Le forbici fanno il loro corso.
Sulla carta tutto è vibrazione,
residui trasparenti di quel ch’è stato detto,
minima usura in ciascun foro.


*

Las niñas corren. Echan espuma por los huesos.
Pedazos vacilantes de un ahora que se esculpió en el barro.


*

Le bambine corrono. Buttano schiuma dalle ossa.
Frammenti oscillanti di un momento scolpito nel fango.


*

Se abren imágenes que son siempre las mismas.
Pululan sombras afiladas que persuaden lo más hondo.
Todos es tarde en la noche,
cantos indecibles en los ojos y los ojos
en la lentitud de una batalla.
Hubo soldados y gemidos.
Rifles.
Cuántos rifles.
Azules nubes, polvo en las entrañas,
el silencio debilitado como una cáscara.


*

Si aprono immagini che sono sempre le stesse.
Pullulano ombre aguzze che persuadono il punto più profondo.
Tutto è troppo tardi nella notte,
canti indicibili negli occhi e gli occhi
nella lentezza di una battaglia.
Ci furono soldati e gemiti.
Fucili.
Quanti fucili.
Nubi azzurre, polvere nelle viscere,
il silenzio indebolito come un guscio.


*

¿De qué se espantan? Se difunden pequeñas manchas,
sombras que salen amplias de sus vestidos
como si fueran rotas flores o migajas para los pájaros.
Las niñas líquidas.

Llueve en la infancia.


*

Di cosa si spaventano? Si diffondono piccole macchie,
ombre che allungate vengono fuori dai loro vestiti
come se fossero fiori strappati o briciole per gli uccelli.
Le bambine liquide.

Piove sull’infanzia.


*

La tierra es negra cavada por médanos de sílabas. Ahí aflora lo imposible: el grito en llamas de tantas niñas que en silencio se levantan.

Mi padre dibuja lo que no existe: su infancia.


*

La terra è nera vangata da dune di sillabe. Lì affiora ciò ch’è impossibile: il grido in fiamme di tante bambine che si alzano in silenzio.

Mio padre disegna ciò che non esiste: la sua infanzia.


*

Mi padre levanta la cuchara. Pule un lienzo en el jardín de polvo. Bailan las niñas en un amanecer de tinta. Dicen el eco resollando con los primeros rayos del sol entre sus dedos. Quieren tocar la vida simple, el corazón que aún late en el iris de sus ojos. Él las mira como si fueran peces de sal en la línea de un tiempo llano. Les habla del agua, esa sed de orden amoroso que vigila la sangre y la poesía. Susurra entonces algo que no se escucha. Cierra el libro.


*

Mio padre solleva il cucchiaio. Lucida una tela nel giardino di polvere. Le bambine ballano in un’alba d’inchiostro. Enunciano l’eco che ansima coi primi raggi di sole tra le loro dita. Vogliono toccare la vita semplice, il cuore che batte ancora nell’iride dei loro occhi. Lui le guarda come se fossero pesci di sale sul limite di un tempo piatto. Gli parla dell’acqua, quella sete di tipo amoroso che sorveglia il sangue e la poesia. Allora sussurra qualcosa che non si sente. Chiude il libro.


Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini





Maria Baranda
è nata a Città del Messico, dove vive, nel 1962. Tra i suoi libri si segnalano: Fábula de los perdidos (1990), Los memoriosos (1995), Moradas imposibles (1997), Narrar (2000), Atlántica y el rústico (2001), Dylan y las ballenas (2003), Ávido mundo (2005), Ficticia (2006), Arcadia (2009), Yegua nocturna corriendo en un prado de luz absoluta (2013), Un hervidero de pájaros marinos (2015) e Teoría de la niñas (2018).
Ha ricevuto diversi premi letterari, tra i quali: Nacional de Poesía Efraín Huerta (1995), Villa de Madrid (Spagna, 1998), Nacional de Aguascalientes (2003), Sabines-Gatien Lapointe (Messico-Quebec, 2015) e Internaciónal Ramón López Velarde.
Alcuni dei suoi libri sono stati tradotti e pubblicati all’estero.


alexbrando@libero.it