João Gilberto Noll è stato uno degli scrittori più innovativi e autentici del panorama letterario brasiliano. Fin dall’apparizione del primo libro (O cego e a dançarina, 1980) sono risultati evidenti agli occhi della critica (che ha premiato molti dei suoi lavori), e senza dubbio a quelli dei lettori, lo stile decisamente personale dell’autore e il suo anticonformismo. La sua capacità di sperimentare con la scrittura, un’abilità innegabile e prestigiosa, gli ha infatti permesso di testare nuove e originali forme narrative. Fuori dal solco della tradizione, di conseguenza, si colloca anche il suo romanzo Hotel Atlântico, scritto nel 1989 e finalmente pubblicato in un’accurata edizione italiana dalla casa editrice Arcoiris, non a caso nella collana ‘gli eccentrici’ curata da Loris Tassi.
Dalle scale di un piccolo hotel, scenario di apertura del romanzo, il lettore è portato a seguire passo dopo passo le vicende vissute e raccontate in prima persona dall’anonimo protagonista, nel suo vagabondaggio beckettiano in luoghi ai più sconosciuti o forse dimenticati del Brasile, ambientazione prediletta delle opere dell’autore. Dallo strano viaggio del protagonista, segnato in ogni sua tappa dalla presenza costante della morte, emerge una sorta di malessere psicofisico, un senso di disperazione e inadeguatezza, un’incapacità di gestire la libertà che porta a riflettere sulle schiavitù della società odierna, sull’incomunicabilità del proprio mondo interiore e delle proprie esperienze che solo a tratti possono emergere attraverso una parola divenuta labile sussurro o rara confidenza personale. Parallelamente al protagonista anche il lettore sembra intraprendere il proprio viaggio, stimolato da un romanzo che getta un nuovo ponte fra la letteratura e la vita mediante una narrativa inedita e spiazzante.
João Gilberto Noll, Hotel Atlântico, traduzione di Jessica Falconi, Edizioni Arcoiris, 2017, pagg. 122, euro 12.
Sono vecchio, pensai. Quarant’anni appena compiuti, un vecchio. Andarmene in giro è una follia. Le gambe deboli. Il cuore che batte impazzito, lo so. E questa postura reumatica…
Lì, immobile all’uscita dell’hotel, mi vennero le vertigini. Avevo la vista annebbiata, mi mancava l’aria…
Ma dovevo andarmene: scesi l’ultimo gradino e mi appoggiai alla facciata dell’edificio. Come ogni mattina, passava tanta gente per avenida de Nossa Senhora de Copacabana, qualcuno mi sfiorava, mi urtava senza volere, qualcuno tossiva.
Mi vidi sul punto di svenire, ma mi rifiutavo di chiedere aiuto. Chiedere aiuto significava restare, e io dovevo andarmene.
Allora pensai a un taxi. E andai a cercarne uno. Camminavo a zigzag, aggrappandomi ai passanti come un ubriaco. Finii con i piedi nell’acqua torbida di un tombino. Feci segno a un taxi, che si fermò.
Dissi al tassista che andavo alla stazione degli autobus. Mi sedetti dietro. Mi stesi sul sedile e mi rannicchiai tutto. Il tassista mi chiese se mi stavo sentendo male. Con un filo di voce risposi che era soltanto stanchezza. Stazione degli autobus, ripetei. Il tassista parlava, ma io non riuscivo a capire niente.
A un tratto capii che parlava del freddo. Dissi eh, il freddo, chissà quant’è fredda la steppa russa. Lui rispose che la steppa russa era fredda come la morte. Questo lo sentii forte e chiaro.
Ricominciavo a capire. Il traffico. I commenti del tassista sullo smog del tunnel Rebouças. Appoggiai le mani sullo schienale del sedile davanti e riuscii a mettermi seduto. L’auto stava uscendo dal tunnel.
Mi sentivo meglio, soltanto un po’ di tremore alle mani.
«Come mai tanta stanchezza?» domandò il tassista.
«Baldoria tutta la notte» risposi.
Rise. Gli feci vedere la mia mano e dissi:
«Guardi come trema, è il tremore dell’alcool».
«È alcolizzato?» chiese.
«Sì, vado a curarmi in Minas, nell’entroterra» risposi.
Lui scosse la testa, fece un sibilo e commentò:
«Ho un cognato che beve, si è ricoverato già tre volte».
All’improvviso il tassista disse che eravamo alla stazione.
«Tutto bene?» domandò.
«Sì» risposi quasi di scatto.
Quando vidi il movimento della stazione, capii che era ora di partire, come un paziente che appena prima di un’operazione vede le manovre iniziali dell’anestesista.
Presi dalla tasca dei soldi accartocciati, aprii la mano e li consegnai al tassista. Mi chiese se volevo il resto. Io gli chiesi se sapeva dove fosse lo sportello delle autolinee per l’entroterra di Minas Gerais. Sorrise, mi fissò, disse che non ne aveva idea.
«Chiedo scusa» dichiarai, all’improvviso imbarazzato.
«Scusa di che?» disse.
«Di essere così» risposi, sbattendo leggermente la portiera dell’auto.
da Hotel Atlântico, di João di Gilberto Noll
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João Gilberto Noll nasce nel 1946 a Porto Alegre, Brasile. Negli anni Settanta si trasferisce prima a Rio de Janeiro, dove collabora con il giornale «Correio da Manhã», poi a San Paolo, dove lavora presso la Companhia Editora Nacional. Riprende gli studi di letteratura alla Facultade Notre Dame di Rio de Janeiro, concludendoli nel 1978. Parallelamente, insegna comunicazione alla Pontifícia Universidade Católica di Rio, per poi impiegarsi nel campo della pubblicità e dell’audiovisivo.
Durante i primi anni ottanta, grazie a una borsa di studio, viaggia fra Stati Uniti, Messico ed Europa, per poi fare ritorno prima a Rio e poi, dopo diciassette anni di assenza, a Porto Alegre. Negli anni Novanta collabora con l’Universidade Federal do Rio de Janeiro e successivamente con la California University, dove insegna letteratura brasiliana come visiting professor nel campus di Berkeley. Dal 2000 riprende le collaborazioni con i giornali, pubblicando racconti sui supplementi di «Folha de S. Paulo» e «Correio Braziliense». Viaggia in Spagna, Inghilterra, nuovamente negli Stati Uniti, in Argentina, grazie a programmi di residenze per scrittori e inviti per pronunciare conferenze.
Colto da un malore, si spegne il 29 marzo 2017 nella sua abitazione a Porto Alegre.
Libri pubblicati: O cego e a dançarina (1980, premio Jabuti 1981); A fúria do corpo (1981); Bandoleiros (1985); Rastros de verão (1986); Hotel Atlântico (1989); O quieto animal da esquina (1991); Harmada (1993, premio Jabuti 1994); A céu aberto (1996, premio Jabuti 1997); Cantos e romances reunidos (1997); Canoas e marolas (1999); Berkeley em Bellagio (2002); Mínimos, múltiplos, comuns (2003); Lorde (2004, premio Jabuti 2005); A máquina de ser (2006); Acenos e afagos (2008); O nervo da noite (2009); Sou eu! (2009); Anjo das ondas (2010); Solidão continental (2012).
antonelladinobile@gmail.com
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