FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 49
maggio/agosto 2018

Consenso & Dissenso

 

LUCERO ALANÍS, CHIOSTRO
Il libro come anta. Il libro come anti

di Marco Benacci



Aprire un libro significa aprire un varco per entrare in un altro mondo. Il libro è una porta che conduce da un’altra parte. Ma dove? A volte nell’universo dell’autore, a volte in uno metaforico che sta in uno spazio-tempo diverso, a volte…

Aprire Chiostro [Claustro, 2015] della messicana Lucero Alanís significa allora aprire un’anta, quella di un armadio. Sì, esatto, il libro come anta. Perché? Perché è lì, dentro un armadio, nascondiglio dal mondo esterno, che sembra siano narrate le storie che compongono il libro. Se andiamo avanti con questo gioco quindi, possiamo sicuramente dire che scegliere una poesia equivale a entrare dentro quell’armadio, nella sua oscurità e ristrettezza, mentre leggerne i versi, più che interpretare dei segni grafici in fila sulla pagina, significa ascoltare le parole di una fanciulla seduta lì vicino. Situazione strana, è vero, ma è così che chi scrive questa introduzione ha vissuto la lettura (e la traduzione) di questo piccolo capolavoro; viene quasi voglia di consigliare il lettore di far uso di questo libro realmente dentro un armadio (ovviamente prendendo tutte le precauzioni del caso)...

Leggere Chiostro è appunto un’immersione in uno spazio buio e piccolo che s’illumina solo a sprazzi attraverso parole che danno vita a forme e colori, un tuffo in un contenitore angusto. A partire dall’armadio nel libro si narrano le storie di una fanciulla, collocate in due luoghi principali: l’ambiente familiare con i suoi drammi e, in un convento/ospedale con le sue contraddizioni e difficoltà, in cui la giovane protagonista racconta quello che vive, che vede, che osserva, che subisce.

L’impatto col narrato non è semplice perché, sebbene con una voce apparentemente ingenua, non si raccontano mai banalità ma veri e propri drammi psicologici e sociali, dove emerge la lotta contro l’assurdità del machismo, degli abusi, delle violenze, degli affetti inautentici, delle regole religiose e di quelle di una società che accetta tutto meno la libertà di essere fuori dagli schemi. E l’autrice lo fa con coraggio, in una tale maniera che alla fine quello che colpisce il lettore è metaforicamente, più che l’oscurità e la ristrettezza, la mancanza d’aria: raccontare da un armadio un’esistenza fa sì che i versi rubino tutto il poco ossigeno presente, imprigionando chi ascolta, che rimane affascinato e angustiato in un’apnea sospensiva che blocca e paralizza.

E qual è la strategia poetica di Lucero Alanís per legare il lettore con corde fatte di aria? La semplicità, la voce diretta e sincera. Le poesie di Chiostro sono semplici, dirette, spontanee, così da poterlo definire quasi un capolavoro della semplicità. A partire dalla struttura con versi in prosa che ne sottolinea il discorso di colloquialità e onestà della voce narrante. Poesie che sembrano racconti brevi ma che hanno tutta la magia dei versi poetici. Ma è attraverso l’essenza della parola, la ricerca della pietra ripulita dal fango e da tutte le scorie del tempo, con cui le storie arrivano in maniera sicura, colpiscono il segno mettendo il lettore davanti all’assurdo (che sa bene che è reale). Talvolta potrebbero sembrare componimenti troppo forti, ma la grandezza dell’autrice sta nel saper mischiare magistralmente l’ironia, la generosità, l’ingenuità, e un gran numero di giochi di parole; l’idea è di affrontare temi enormemente drammatici attraverso il dissenso che è speranza, grazie alla voce di una fanciulla che resiste alla tentazione di non abituarsi al brutto della vita. Il libro come anti.

Le storie che si raccontano sono storie personali, ma anche storie dell’umanità. E sta al lettore alla fine scegliere se rimanere all’interno dell’armadio della fanciulla o, come dicevamo all’inizio, farsi aiutare ad aprire l’anta della propria mente, del proprio armadio, fino a quella più grande (ma non meno angusta) dell’anta del mondo in cui viviamo.


Il libro Chiostro uscirà tra qualche mese con Edizioni Fili d’Aquilone, a cura di Marco Benacci [NdR].




LA POESIA DI LUCERO ALANÍS
da Chiostro
[Claustro, Mantis Editores, Messico, 2015]


*

—Yo creo –dice la monja Estébana– yo creo, repite conmigo.

Creo en Dios.
Creo en las galletas que robamos del refectorio.
Creo en el escondite que hay en el huerto, donde no nos encuentran a la hora del rosario.
Creo que hay un padre que no es el mío, porque usa sotana y nos lleva al confesionario para sentarnos sobre sus rodillas (no me gusta su olor) y acariciarnos.
Creo en las novicias enfadadas cuando escondemos sus misales.
Creo en el aliento fétido de la madre superiora cuando vocifera (pero el de mi madre es superior).
Creo en las bromas que hacemos al jardinero para volverlo loco.
Creo en mis rodillas llenas de sangre después de haber sido denunciada por una traidora cuando puse chile en el agua de limón.
Creo que la virgen (tal vez está muy ocupada) no me mira.
Creo en el flagelo con el que se azota la monja Estébana, con el que me azota cuando me descubre tras el ropero, y por eso nunca la he querido llamar Estefanía. Creo en los uniformes, a veces azules, a veces blancos, en las rejas de las pequeñas ventanas de sucios cristales, tan altas que no alcanzo a ver si hay algo más allá en qué creer.
Creo en el olor del encierro y las pócimas.
Creo en la pesada puerta que nunca se abre; apenas un postigo hace aparecer un rostro desconocido, y por las noches me persigue una cara dentro de un marco.
Creo en la puerta cerrada.

Ábrete, sésamo.


*

— Io credo – dice la monaca Stéfana – io credo, ripeti con me.

Credo in Dio.
Credo nei biscotti che rubiamo dal refettorio.
Credo nel nascondiglio che c’è nell’orto, dove non ci trovano all’ora del rosario.
Credo nell’esistenza di un padre che non è il mio, perché usa la sottana e ci porta nel confessionale per farci sedere sulle sue ginocchia (non sopporto il suo odore) e accarezzarci.
Credo nelle novizie arrabbiate quando nascondiamo i loro messali.
Credo nell’alito fetido della madre superiora quando vocifera (ma quello di mia madre è superiore).
Credo negli scherzi che facciamo al giardiniere per farlo diventar matto.
Credo nelle mie ginocchia piene di sangue dopo essere stata denunciata da una traditrice quando misi del peperoncino nella limonata.
Credo che la vergine (forse è molto occupata) non mi guardi.
Credo nel flagello con cui si frusta la monaca Stéfana, con il quale mi frusta quando mi scopre dietro il guardaroba, e per questo non l’ho mai voluta chiamare Stéphanie. Credo nelle uniformi, a volte blu, a volte bianche, nelle inferriate delle piccole finestre di sporchi cristalli, così alte che non riesco a vedere se c’è qualcosa al di là in cui credere.
Credo nell’odore della clausura e del decotto.
Credo nella pesante porta che mai si apre; solo un’imposta fa apparire un volto sconosciuto, e nella notte mi perseguita un viso dentro una cornice.
Credo nella porta chiusa.

Apriti, sesamo.


*

El doctor asegura que estoy creciendo, que empiezo a volverme madura, que pronto estaré lista para convertirme en novicia, en fin, que soy tan vieja como Matusalén. Es la ventaja de tener todos los años para elegir el más apropiado cuando me viene en gana. Puedo ser ahorita una mujer fatal con la fatalidad de mi precioso cuerpo, ponerme las medias negras caladas y abrirme de piernas en cualquier parte; no necesito esquinas ni bares para lo fatal. Dentro del cajón del armario tengo una gran cantidad de años para escoger: hay años de colores y años transparentes, años nublados y grises, años que a veces se me pierden, años.
Si elijo un año verde procuro vestirme ad hoc para el almuerzo en el campo, ese año lo llevo sobre mi cabeza para que todos me miren. Si huelo que va a llover, pongo bajo la blusa unos años nublados para que se empapen de llanto; guardo los años rojos para los aniversarios, es por eso que tengo tantos, nunca recuerdo las fechas y se van acumulando. Hay años tan grandes que es necesario doblar para que no vayan a salirse del cajón, especialmente los que tienen a toda la familia, hay otros arrugados por obra y gracia del convento y unos muy sucios, sabrá Dios por qué, sabrá Dios.
De vez en cuando me asalta una duda: es probable que me falten años, cada vez siento que son menos; sospecho de la vecina que aúlla en el cuarto de al lado o de la bruja que limpia por la mañana con ese olor a cloro podrido: han de estar robándomelos.
No sabría qué hacer sin ellos, mis años.


*

Il dottore assicura che sto crescendo, che inizio a essere matura, che presto sarò pronta per diventare novizia, insomma, che sono vecchia come Matusalemme. È il vantaggio di possedere tutti gli anni per scegliere il più appropriato quando ne ho voglia. Posso essere proprio ora una donna fatale con la fatalità del mio incantevole corpo, mettermi le calze nere decorate e aprire le gambe in qualsiasi luogo; non ho bisogno di angoli o bar per essere fatale. Dentro il cassetto del guardaroba ho un gran numero di anni da scegliere: ci sono anni colorati e anni trasparenti, anni nuvolosi e grigi, anni che a volte mi si smarriscono, anni.
Se scelgo un anno verde cerco di vestirmi ad hoc per il pranzo in campagna, quest’anno lo metto sulla mia testa affinché tutti mi guardino. Se fiuto che pioverà, metto sotto la blusa alcuni anni nuvolosi affinché si impregnino di pianto; conservo gli anni rossi per i compleanni, è per questo che ne ho tanti, non ricordo mai le date e mi si stanno accumulando. Ci sono anni così grandi che occorre ripiegarli per non farli uscire dal cassetto, specialmente quelli che contengono tutta la famiglia, ce ne sono altri sgualciti per opera e grazia del convento e altri molto sporchi, Dio solo sa perché, Dio solo sa.
Ogni tanto mi assale un dubbio: è probabile che mi manchino degli anni, ogni volta sento che sono di meno; sospetto della vicina che ulula nella camera di fianco o della strega che pulisce la mattina con quell’odore di cloro marcio: forse me li stanno rubando.
Non saprei che fare senza di loro, i miei anni.


*

Soy tan libre como un pájaro que vuela sin pensar, soy una esclava de este cuerpo que se cree pájaro dentro de la jaula de mi cuerpo; las únicas plumas son las de mi almohada, pero aún así canto y me siento como un pájaro. Tan delgada que podría sostenerme en el aire, tan alegre como la tía Susana. Hay rejas que he visto desde la cuna, barrotes que me impiden acudir al llamado angustioso de mamá, al llanto de mi hermana, a enfrentar los gritos del guardián. Hay celdas que van creciendo y me hacen cada vez más pequeña dentro del mundo blanco, fuera del mundo otro, el que leo y me imagino.
También está una caja que me atrapa y no me deja salir, una prisión con fondo de violines y dramas que me son ajenos, pero que me convierten de pronto en su personaje principal, el que odia la enfermera, que me ha costado varias semanas más de encerramiento, no visitas, no dulces, no.
Lo que lamento es que el personaje nunca es el de un pájaro feliz, siempre atado a la voluntad del dueño de la jaula.
Cuántas jaulas habré de conocer, papá.
Cuánto silencio.


*

Sono così libera come un uccello che vola senza pensare, sono una schiava di questo corpo che si crede uccello dentro la gabbia del mio corpo; le uniche piume sono quelle del mio cuscino, ma anche così canto e mi sento come un uccello. Così esile che potrei sostenermi nell’aria, così allegra come zia Susana. Ci sono inferriate che ho visto sin dalla culla, sbarre che m’impediscono di accorrere al richiamo angustioso di mamma, al pianto di mia sorella, ad affrontare le grida del guardiano. Ci sono celle che stanno crescendo e mi fanno ogni volta più piccola nel mondo bianco, fuori dal mondo altro, quello che leggo e mi immagino.
C’è anche un contenitore che mi cattura e non mi lascia uscire, una prigione con sottofondo di violini e drammi che mi sono estranei, ma che mi trasformano subito nel loro personaggio principale, quello che odia l’infermiera, che mi è costato varie settimane in più di isolamento, no visite, no dolci, no.
Quello che mi dispiace è che il personaggio non è mai quello di un uccello felice, sempre legato alla volontà del padrone della gabbia.
Quante gabbie dovrò conoscere, papà.
Quanto silenzio.


*

Tengo muchas muñecas. Una de trapo y con rasgos de África en la que puedo sumergir mi nariz hasta sus entrañas que tienen una almohada de bestias exóticas y sudor del trópico; ahí puedo adormecerme acompañada por brujos y hechiceros que bailan y me acarician mientras despiden humos que me inducen a un sueño suave. La huelo y vuelvo a olerla hasta que caigo rendida y la pobre va perdiendo color, pero cada vez huele más fuerte. Tengo que calmarla, calmarme, y clavo alfileres en su corazón, en su cabeza, en sus pies, y sangran mis manos, y empieza a parecerse a mi hermana, y entonces lloro y me calmo.
La que está más sucia y descuidada es regalo de papá en un cumpleaños que no recuerdo; la que tiene un cuerpo de modelo es toda de carne blanca y tiene novio; la que siempre sonríe y está lista para ir a pasear; la que tiene cambio de vestuario tipo Hollywood, automóvil y casa de campo. Durante el día no hace más que mirar la tele, no sabe cerrar los ojos y no cuida su pelo, por eso he tenido que arrancarlo, para que no sea comida de piojos, también se resiste a lavar su ropa, así que está desnuda, y con sus pechos al aire provoca a cuantos se le presentan, es incapaz de lavar esa cara que lleva las marcas de trasnochada, de mi trasnoche.
La muñeca que más quiero es regalo de la abuela: la güerita de sololoy, la de pasta antigua, la de cabellos largos y ojos azules de mi hermana, la de amplia frente llena de cicatrices.
Aunque quedan sólo tres, no es mi culpa: la de pestañas grandes y rizadas, no fue mi culpa; la de vestido español con encajes raídos y manchados, no fue mi culpa; y la que mamá ha restaurado con los ojos de mi hermana, no fue mi culpa.
Hay tantas muñecas lindas, pero no es posible verlas. Habría que hurgar dentro de las cenizas de la chimenea, en el fondo del pozo, dentro del armario, en el cementerio, en.


*

Ho molte bambole. Una di pezza e con tratti d’Africa nella quale posso immergere il mio naso fino alle sue viscere che hanno un cuscino di bestie esotiche e sudore del tropico; lì posso addormentarmi accompagnata da stregoni e fattucchieri che ballano e mi accarezzano mentre sprigionano fumi che mi inducono a un sogno soave. L’annuso e la riannuso fino a che non sono esausta e la poveretta perde colore, ma ogni volta odora più forte. Devo calmarla, calmarmi, e conficco spilli nel suo cuore, nella sua testa, nei suoi piedi, e sanguinano le mie mani, e inizia ad assomigliare a mia sorella, e allora piango e mi calmo.
Quella che è più sporca e trascurata è un regalo di papà per un compleanno che non ricordo; quella che ha il corpo da modella è tutta di pelle bianca e ha un fidanzato; quella che sorride sempre ed è pronta per fare una passeggiata; quella che ha vestiti di ricambio tipo Hollywood, automobile e casa di campagna. Durante il giorno non fa altro che guardare la tivù, non sa chiudere gli occhi e non ha cura dei suoi capelli, per questo li ho dovuti sradicare, affinché non sia mangiata dai pidocchi, inoltre non vuole lavarsi gli abiti, per questo è nuda, e coi seni all’aria provoca chi si fa vivo, è incapace di lavare quella faccia che porta segni da nottambula, del mio nottambulismo.
La bambola che più mi piace è un regalo della nonna: la biondina di sololoy{*}, quella di pasta antica, quella coi capelli lunghi e gli occhi azzurri di mia sorella, quella dall’alta fronte piena di cicatrici.
Anche se ne sono rimaste solo tre, non è colpa mia: quella dalle ciglia grandi e arricciate, non fu colpa mia, quella del vestito spagnolo con merletti logori e macchiati, non fu colpa mia; e quella che mamma ha restaurato con gli occhi di mia sorella, non fu colpa mia.
Ci sono tante bambole belle, ma non è possibile vederle. Si dovrebbe rovistare nella cenere del focolare, in fondo al pozzo, dentro il guardaroba, nel cimitero, nel.

{*}Il termine è la traslitterazione messicana dall’inglese «celluloid», materiale con cui erano realizzate le bambole economiche all’inizio del XX secolo. È diventata anche una maniera per chiamare i bambini comparandoli con la dolcezza di quelle bambole.


*

No me importa lo que digan: es mejor el gas que la electricidad. Cuando abro la llave de la estufa, lo primero que percibo es un éxtasis: oler el gas; después, un chispazo de colores que supera a los del arcoíris. Son tan intensos que parecen quemar la vista. Tienen su propio ruido, como de pequeñas explosiones, aunque confieso que, a veces, las he escuchado muy fuertes.
Leo en el periódico que el gas no tiene olor, que se lo añaden para provocar alarma. No les creo.
Así empiezan los mitos.
Por la noche bajo a la cocina, enciendo la flama y ahí permanezco. Entonces me entra un temblor y empiezo a sudar, y miro la flama, única luz en toda la casa, que me persigue hasta el orgasmo. Si alguno intentara sorprenderme, se encontraría con una muchacha ante un buen sándwich y un vaso de leche, sin reparar en las piernas abiertas, protegidas por la bata de mamá.
He descubierto que el mayor placer no está en la chispa multicolor sino en el momento de abrir la llave, en su rápido accionar y el detonante que llega a la nariz y me deja impregnada de todas las formas posibles; por eso me dejo llevar simplemente.
¿Dónde amaneceré?


*

Non mi importa cosa dicono: è meglio il gas che l’elettricità. Quando apro il rubinetto della stufa, la prima cosa che avverto è un’estasi: odorare il gas; dopo, uno scintillio di colori che superano quelli dell’arcobaleno. Sono così intensi che sembrano bruciare la vista. Hanno un loro proprio rumore, come di piccole esplosioni, anche se confesso che, a volte, le ho sentite molto forti.
Leggo sul giornale che il gas non ha odore, che ce lo aggiungono per mettere in allarme. Non gli credo.
Così si creano i miti.
Di notte scendo in cucina, accendo la fiamma e lì rimango. Allora mi entra un tremore ed inizio a sudare, e guardo la fiamma, unica luce in tutta la casa, che mi perseguita fino all’orgasmo. Se qualcuno cercasse di sorprendermi, troverebbe una ragazza davanti a un buon panino e un bicchiere di latte, senza rendersi conto delle gambe aperte, protette dalla vestaglia di mamma.
Ho scoperto che il maggior piacere non è nella scintilla multicolore ma nel momento in cui apro il rubinetto, nel suo rapido azionarsi e il detonante che arriva al naso e mi lascia impregnata di tutte le forme possibili; per questo mi lascio semplicemente trasportare.
Dove mi risveglierò?


*

No sé si es viernes 13 o décimo tercero, como dice la monja Estébana, el caso es que me presento a rezar temprano, llevo en mis manos el rosario de cincuenta cuentas, de cincuenta colores, un puñado de pétalos de rosa de Castilla que le robé a la virgen y que siguen oliendo a ella, la mantilla española blanca que mandó hacer mamá, con una peineta de carey en mi cabello recogido. Todas estamos relucientes, también el cristo de la capilla, en pañales. Nos mira. A pesar de su belleza tiene unas ojeras que le dan a su cara un aspecto triste y demacrado. Tal vez sus lágrimas sean porque a él no le han dado, como a nosotras, el suculento desayuno de chocolate y tamales.
Sobre flores degolladas y rancios perfumes, caminamos por la estrecha y descolorida alfombra del pasillo, entre las butacas de las monjas, hacia la gran cruz, hacia el altar, hacia el vapor que aturde, hacia el.
Padre nuestro, padre mío, papá, y yo que me pierdo. Yo que no puedo controlar mis movimientos, mis esfínteres, mis gritos; yo, revolcándome convulsa en un suelo de sangrientas flores, levanto mi falda, rasguño la piel de mis muslos, de mi cara, los ojos mirando qué.
Empiezo a insultar a la enfermera con un lenguaje arcaico o de inframundo. Y es ahí, en ese momento, cuando se ilumina el rostro de la madre superiora: está poseída, habrá que llamar al padre Tarsicio para que la exorcise. Y es ahí donde me arrebatan la razón, donde me azotan hasta el cansancio: sal de ahí, Lucifer, Belcebú, sal de ahí, y la que sale soy yo, después de tanto conjuro y látigo, después de tantas sesiones en la celda del padre Tarsicio.
Estás curada, hija, el demonio se ha ido.

Doctor, ¿escuchó usted lo que dijo el padre?


*

Non so se è venerdì 13 o tredicesimo, come dice la monaca Stéfana, il fatto è che mi presento a pregare presto, ho tra le mani il rosario di cinquanta grani, di cinquanta colori, una manciata di petali di rosa di Castiglia che rubai alla vergine e che continuano ad avere il suo odore, la mantiglia spagnola bianca che fece fare mamma, con un pettine di tartaruga nei miei capelli raccolti. Siamo tutte rilucenti, anche il cristo della cappella, col pannolino. Ci guarda. Nonostante la sua bellezza ha delle occhiaie che danno alla sua faccia un aspetto triste e smunto. Forse lacrima perché non gli hanno dato, come a noialtre, la succulenta colazione di cioccolato e tamales.{*}
Sui fiori decapitati e rancidi profumi, camminiamo sullo stretto e scolorito tappeto del corridoio, tra le poltrone delle monache, verso la grande croce, verso l’altare, verso il vapore che stordisce, verso il.
Padre nostro, padre mio, papà, e io che mi perdo. Io che non posso controllare i miei movimenti, i miei sfinteri, le mie grida; io, rotolandomi convulsa su un suolo di fiori sanguinanti, alzo la mia sottana, mi graffio la pelle delle cosce, della faccia, gli occhi guardando che cosa.
Inizio a insultare le infermiere con un linguaggio arcaico o dell’oltretomba. Ed è lì, in quel momento, che s’illumina il volto della madre superiora: è posseduta, dovremo chiamare padre Tarsicio affinché la esorcizzi. Ed è lì che mi portano via la ragione, che mi frustano fino allo stremo: esci da lì, Lucifero, Belzebù, esci da lì, e quella che esce sono io, dopo tanto esorcismo e frusta, dopo tante sessioni nella cella di padre Tarsicio.
Sei guarita, figlia, il demonio se n’è andato.

Dottore, lei ha sentito cosa ha detto il padre?

{*}Alimento tipico della cucina messicana, preparato con farina di mais e ripieno di carne, pesce, verdura o altri ingredienti; può essere sia dolce che salato.


*

Somos muchas margaritas en un jardín llamado casa. Hoy solamente quedamos dos, o creo que solamente quedo yo. A papá no le gustan las margaritas, por eso se ha llevado a mi hermana: las margaritas son para los puercos, dice.
Yo soy tan morena como él; mi madre, blanca como su otra hija. Soy el vivo retrato de papá, pero él siempre se queja: ¿de dónde saliste con esas facciones y casi negra? Se me prohíbe bajar a comer porque le malhumora mi aspecto; así es que tengo que desayunar en mi cuarto y, si tengo hambre, debo ir al refrigerador, a hurtadillas, vigilando que no ande él por ahí.
Atrás de la puerta escucho cómo platica con mi hermana, la güerita, en la mesa, mientras mamá les sirve. No entiendo. Nacimos gemelas y él nos tiene separadas. A mamá tampoco le habla, dice que es una coqueta y a veces le grita puta. Tampoco entiendo.
¿Quién es el puerco? Los cochinitos ya están en la cama. Yo soy un lobo feroz que los ahuyenta.
Hace mucho que no veo a papá ni a la güerita. Tal vez aún están en la feria, en el carrusel.


*

Siamo tante margherite in un giardino chiamato casa. Oggi siamo solo due, o credo che sia rimasta solo io. A papà non piacciono le margherite, per questo si è portato via mia sorella: le margherite sono per i porci, dice.
Io sono scura quanto lui; mia madre, bianca come l’altra figlia. Sono il puro ritratto di papà, ma lui si lamenta sempre: da dove sei uscita con quei lineamenti e quasi nera? Mi si proibisce di scendere a mangiare perché lo mette di malumore il mio aspetto; così devo fare colazione nella mia stanza e, se ho fame, devo andare al frigorifero, di nascosto, stando attenta che lui non sia da quelle parti.
Dietro la porta ascolto come chiacchiera con mia sorella, la biondina, a tavola, mentre mamma li serve. Non capisco. Siamo nate gemelle e lui ci tiene separate. Non parla nemmeno a mamma, dice che è una civetta e talvolta le grida puttana. Neanche questo comprendo.
Chi è il porco? I maialini già sono a letto. Io sono un lupo feroce che li mette in fuga.
È da molto che non vedo papà né la biondina. Forse sono ancora alla fiera, sul carosello.


*

Lo que más me gusta es pintar la pared, con gis o con lo que sea, al fin y al cabo yo hago murales, no sé por qué se extrañan, si vengo de una familia de pintores. En el tocador de mamá hay una caja con botes de pintura y varios pinceles que dispone por la noche cuando viene papá.
Suena el teléfono y descuelgo la extensión al mismo tiempo que mamá. Se me hizo tarde, dice papá, ve preparando el fondo, y ella se dirige a su habitación y yo, curiosa, por la mirilla. Ahora sé cual es la obra de arte: desnuda, mamá empieza a untarse el cuerpo con el pincel grueso, una parte de azul, otra de verde y púrpura. Oigo ruidos y me escondo.
Llega papá presuroso, y también se desnuda y toma los pinceles delgados y procede a delinearle círculos amarillos en el vientre plano, alrededor de los pezones, cuadritos en los senos y soles en las nalgas. Se tira sobre mi madre y ahí están moviéndose en un revoltijo de colores. Por eso la manta que a diario lava ella pensando que no nos damos cuenta; por eso la piel tan ajada de tanto aguarrás.
Otro día, se le ocurre a papá que deberíamos tener una cena con sus compadres, para lo que ha traído una gran lata de pintura blanca y dice vamos a cambiar el color de la sala.
Dos días ha estado mamá trepada en una escalera, brocha en mano, pinte y pinte.
Llega el sábado y la sala no está lista. Llegan los invitados y son recibidos por papá. Miran la gran obra: mamá trepada en la escalera, brocha en mano, ojos morados de llanto y de golpes. Te dije que había que terminar, ahora no te bajas hasta que esté todo pintado. No sé por qué, pero los invitados ya no están, se han ido con una excusa y sin aceptar la copa que les ha ofrecido papá.
A mí lo que me gusta es pintar murales.


*

Quello che mi piace di più è dipingere la parete, col gesso o con qualsiasi altra cosa, in fin dei conti faccio dei murales, non so perché si stupiscono, visto che vengo da una famiglia di pittori. Nel comò di mamma c’è una scatola con barattoli di colore e vari pennelli che usa la notte quando viene papà.
Suona il telefono e alzo la cornetta nello stesso momento di mamma. Ho fatto tardi, dice papà, inizia a preparare il fondo, e lei si avvia verso la sua stanza e io, curiosa, allo spioncino. Ora so qual è l’opera d’arte: nuda, mamma comincia a spalmarsi il corpo con il pennello grande, una parte di blu, un’altra di verde e porpora. Sento dei rumori e mi nascondo.
Arriva papà di fretta, e anche lui si denuda e prende i pennelli fini e inizia a disegnarle cerchi gialli sul ventre piatto, intorno ai capezzoli, quadratini nei seni e dei soli sulle natiche. Si lancia su mia madre e lì s’intrecciano in un miscuglio di colori. Ecco perché lava tutti i giorni la coperta pensando che non ce ne rendiamo conto; ecco perché la pelle così sciupata da tanta acquaragia.
L’altro giorno, viene in mente a papà che dovremmo fare una cena coi suoi compari, così ha portato una grande latta di vernice bianca e dice cambiamo il colore della sala.
Mamma è stata due giorni arrampicata sulla scala, pennello in mano, che dipinga e dipinga.
Arriva il sabato e la sala non è pronta. Arrivano gli invitati e sono ricevuti da papà. Guardano la grande opera: mamma arrampicata sulla scala, pennello in mano, occhi pesti di pianto e di colpi. Ti avevo detto che dovevi finire, ora non scendere finché non sarà tutto dipinto. Non so perché, ma gli invitati non ci sono più, se ne sono andati con una scusa e senza accettare il bicchiere che papà gli ha offerto.
A me quello che piace è dipingere murales.


*

En la casa no hay sirvientes, sólo una afanadora que limpia los consultorios y el pabellón de las internas. Se enoja mucho cuando derramo el jugo de betabel por el piso, dice que es sangre, que debo usar tampones, que esas manchas no se quitan, como la mancha original. Mamá ha despedido a la cocinera, a mí me agradaban sus mejillas pintadas con fresas, y lo bien que me consentía con mi natilla de almendra, claro que solamente cuando nadie nos veía. La despide mamá porque algo le ha estado cocinando a papá en su habitación, no sé qué guiso; desde entonces me toca barrer y barrer solamente a mí. A la güerita no le permiten maltratar sus manitas y a mamá siempre le duele alguna parte del cuerpo o tiene moretones o dice que rodó por la escalera, quizá tropezó con el perro verde que acostumbra echarse en la alfombra. Nada más está el jardinero, pero a él no le permiten entrar a la casa si no es para sacar la basura, y es cuando salgo yo también. Todo está muy limpio en el convento, las monjas trapean rezando para que Dios las limpie también a ellas.
Este Domingo de Ramos alabo al santísimo con la jerga que me han impuesto; le doy lustre a los pisos con el agua para santificarnos, pero se vuelve lodo bendito y las benditas monjas se santiguan manchando sus labios y frentes, y los ramos se transforman en ramas que azotan todo mi universo.
De vuelta a la bendita cama, le digo al doctor Lozano que no me agrada ser sirvienta, que prometo estudiar todas las materias, cumplir con las monjas, no cambiar los rezos, olvidarme de Cecilia, no hacer pulseras con el rosario, dejar de untarme el betabel en las mejillas, no tirar por el excusado las medicinas, no.


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In casa non ci sono domestici, solamente un’addetta che pulisce gli ambulatori e il padiglione delle interne. Si arrabbia molto quando rovescio il succo di barbabietola sul pavimento, dice che è sangue, che devo usare gli assorbenti, che queste macchie non vanno via, come la macchia originale. Mamma ha licenziato la cuoca, a me piacevano le sue guance tinte con fragole e quanto mi viziava con la mia natilla de almendra,{*} ovviamente solo quando nessuno ci vedeva. Mamma la licenzia perché ha cucinato qualcosa a papà nella sua camera, non so che intingolo; da allora tocca spazzare e spazzare solo a me. Alla biondina non permettono di maltrattare le manine e a mamma fa sempre male qualche parte del corpo o ha lividi o dice che è ruzzolata per le scale, forse è inciampata nel cane verde che di solito si sdraia sul tappeto. C’è solo il giardiniere, ma a lui non permettono di entrare in casa se non per portar via la spazzatura, ed è quando esco anche io. Tutto è molto pulito nel convento, le monache passano lo straccio pregando affinché Dio pulisca anche loro.
Questa Domenica delle palme lodo il santissimo con il gergo che mi hanno imposto; lustro i pavimenti con l’acqua per santificarci, ma diventa melma benedetta e le benedette suore si santificano macchiandosi le labbra e la fronte, e le palme si trasformano in rami che frustano tutto il mio universo.
Di ritorno al benedetto letto dico al dottor Lozano che non mi piace fare la domestica, che prometto di studiare tutte le materie, rispettare le monache, non cambiare le preghiere, dimenticarmi di Cecilia, non fare braccialetti con il rosario, smettere di spalmarmi la barbabietola sulle guance, non buttare nel cesso le medicine, non.

{*}Dolce tipico messicano di crema alle mandorle.


*

Pero si papá no fuma, si dice que nos alejemos del humo que produce el tabaco de los otros, que podemos enfermar o hasta morir de humo. El padre Tarsicio insiste en que es pecado fumar, y él mismo está envuelto en una nube, se justifica diciendo que es incienso; yo prefiero el olor del puro, no creo que por eso me vaya a condenar. Voy a salir a comprar cigarros, dice papá, pero si papá no fuma, qué lejos debe de estar la tienda del tabaco, porque ha tardado mucho. Solamente encontramos la casa vacía, vacía de pasos, vacía de olores, vacía de ellos.
Y mamá que busca por la casa vacía y llama con desesperación a mi hermana, y los muros vacíos no responden y las puertas que se abren para que salgan sus gritos y todo vacío.
Debe haberse esfumado mi hermana, o quizás ha ido, como papá, a la tienda de tabaco tan lejana y tardará en aparecer, o.
Pero si papá no fuma.


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Ma se papà non fuma, ci dicono di allontanarsi dal fumo prodotto dal tabacco degli altri, che ci possiamo ammalare o perfino morire di fumo. Padre Tarsicio insiste nel dire che è peccato fumare, e lui stesso è avvolto in una nube, si giustifica dicendo che è incenso; io preferisco l’odore del sigaro, non credo che per questo mi condannerà. Esco a comprare le sigarette, dice papà, ma se papà non fuma, dev’essere parecchio distante la tabaccheria visto che ha tardato molto. Trovammo solamente la casa vuota, vuota di passi, vuota di odori, vuota di loro.
E mamma che cerca nella casa vuota e disperata chiama mia sorella, e i muri vuoti non rispondono e le porte si aprono per far uscire le sue grida e vuoto ovunque.
Mia sorella dev’essere svanita, o forse se n’è andata, come papà, alla lontana tabaccheria e tarderà a ricomparire, o.
Ma se papà non fuma.


Traduzione dallo spagnolo di Marco Benacci




Lucero Alanís
è nata a Durango (Messico) nel 1947 e risiede a Guadajara dal 1973. Ha fondato e ha diretto la rivista di letteratura “Amoxcalli”. Ha pubblicato il libro di racconti Opus siglo XX (1998) e i libri di poesia Tarde en el tiempo (1999), Desierto de azul nativo (2002), Gualbet en el sueño de otros (2003, bilingue spagnolo-francese), Flama de la memoria (2006: bilingue spagnolo-inglese nel 2013) e Los silencios de día (2007, bilingue spagnolo-francese).
Claustro [Chiostro] è stato pubblicato in Messico nel 2015 da Mantis editore e in edizione bilingue spagnolo-tedesca nel 2016.
Suoi testi poetici sono stati pubblicati su riviste e antologie sia in Messico che all’estero.

marco.benacci@live.com