Ognuno finisce come può (Il Seme Bianco, 2017) è l’ultimo libro di Rossana Carturan, una raccolta di storie che narrano gli istanti finali (giorni, ore, minuti) della vita di tredici grandi scrittori. Carturan ci guida attraverso il percorso conclusivo di ogni personaggio immaginandone i pensieri, architettandone le azioni, fantasticando sulle ultime parole dei protagonisti. In questa dimensione inventata ha la capacità di rimanere sempre fedele alle vere cause della scomparsa di ogni grande artista raccontato e al profilo che ognuno di noi, di quei tredici personaggi, ha nel suo bagaglio culturale e immaginario.
Ecco quindi i pensieri, i gesti che precedono le morti naturali di Carlo Emilio Gadda, di Simone De Beauvoir, di Arthur Miller o di Liala, le ultime ore di Pasolini passate a Sabaudia prima del suo assassinio o quelle precedenti l’incidente automobilistico dove perde la vita Albert Camus. C’è anche Tenessee Williams, alle prese con un fastidioso disturbo agli occhi, vittima di una fine a dir poco singolare, refertata dal medico legale, avvenuta per soffocamento. C’è Hemingway che tenta di nascondersi all’FBI prima del colpo di fucile col quale si toglie la vita. C’è Asimov e i suoi robot. E c’è anche l’autoironia della scrittrice quando racconta di Gabriel Garcia Márquez che incuriosito da un collega legge il romanzo d’esordio di una giovane scrittrice italiana – un’acerba marqueziana, così gliela aveva descritta – salvo accorgersi, alla fine del libro, che l’autrice non ha nulla in comune con lui.
Ora però mi trovo davanti a una complicazione perché è difficile parlare (scrivere, in questo caso) di un libro dove nella pagina dedicata ai ringraziamenti il tuo nome è il primo della lista. Non è semplice elogiare le qualità di un’opera di cui si sono viste nascere le prime pagine, inizialmente concepite per un altro romanzo e aver seguito, una storia dopo l’altra, l’evolversi dell’intero progetto. Concedetemi una breve digressione: il racconto dedicato a Cesare Pavese, che apre quest’ultima opera della Carturan, era stato originariamente scritto per il romanzo Adele (Caracò, 2015) ma in seguito cassato in previsione di questo libro. E le parole dedicate al grande scrittore e poeta piemontese sono le uniche che raccontano anche alcuni momenti oltre la sua morte mentre per gli altri dodici terminano un istante prima. Mi trovo in difficoltà, dicevo perché ogni lode alla scrittura della Carturan, alla sua capacità di rendere credibili pensieri e azioni concepiti dalla sua immaginazioni e vederli calzare perfettamente addosso a ogni personaggio, potrebbe essere percepito come una mancanza di obiettività, come il benevolo consenso di chi, al progetto del libro, vi ha partecipato anche se soltanto col ruolo di incoraggiatore. Perciò, da questo punto in poi, ne elencherò i difetti.
L’idea alla base del libro è banale. Chiunque con un po’ d’immaginazione avrebbe potuto concepire un’opera simile. Rossana Carturan ha avuto la fortuna di trovarsi con un bel racconto sulle ultime ore di Pavese e scartatolo dal libro precedente lo ha utilizzato come propulsore per questo progetto. Troppo semplice e fortunata! Chiunque, favorito dalla sorte come lei, sarebbe stato in grado di generare la stessa opera. E poi il libro non soddisfa in pieno il lettore. Quando alla fine del racconto su Isaac Asimov ci si accorge che è quello conclusivo si rimane con la voglia di averne ancora, come dopo un solo sorso da un boccale di birra in una giornata torrida, come guardare attraverso una vetrina una torta Mont Blanc dopo aver assaggiato mezzo marron glacé, come dopo avere salutato la persona che ami senza alcun contatto fisico. Ne vorresti ancora. Chiudere questo libro dopo averlo terminato è la cosa più brutta che possa capitare al lettore perché non ti basta, e alla fine ti chiedi: “… e allora Pirandello? e Dostoevskij, Sibilla Aleramo, Kafka, oppure Simenon, Mary Shelley?”.
Ecco, Ognuno finisce come può ti lascia l’amaro in bocca perché, come tutte le cose belle e piacevoli, termina. È il suo più grande difetto. E adesso provate a dirmi che sono stato di parte.
ARTHUR MILLER
Mary: «Come si sente? La vedo pallido … Ha bisogno di qualcosa?».
Arthur: «Siediti qui vicino a me, Mary, qui vicino al mio letto…È come un ronzio, un rumore fastidioso che mi comprime la testa. Non ce la faccio se rimango un po’ sdraiato magari passa… Forse… O forse deve restare lì a ricordarmi a non darmi tregua…. Me lo ricordo sai quel giorno quando all’ospedale mi dissero: ci dispiace…Ci dispiace…Ci dispiace… E ti sembra che potesse bastare dire: ci dispiace? Non dovevano farlo nascere altroché! …Un mostro, un essere inguardabile …e poi Mia figlia Rebecca? Ci avevano pensato? Mia figlia Rebecca traumatizzata…Già, nessuno pensa a chi è intorno, si pensa solo a dire: mi di-spia-ce, anche perché poi il dispiacere non è loro. Non guardarmi così, non sto vaneggiando…È lì che è iniziato il ronzio…».
Mary: «Mi scusi…ma non riesco a capire di cosa stia parlando…».
Arthur: «Basta! Basta con tutti questi pensieri ho mal di testa… Ho fatto la cosa più giusta, era giusta… Oggi me ne vergogno, non lo so, forse no… Non sento strapparmi le carni per l’ingiustizia…No, non me ne vergogno. Lei è poco che lavora qui da me, Mary, ma deve sapere che quando uscì fuori questa storia, e solo tra “pochi amici” … Amici poi… Buah… Beh, riuscì a non diventare pubblica perché non faceva comodo neanche a loro che il beneamato scrittore di proteste e rivendicatore di giustizie sociali si “sporcasse” con questa anomalia…hanno tentato di screditarmi facendomi passare per un cattivo padre ed un uomo incoerente! Io incoerente!!! Hanno detto di me:“pubblicamente scagliato contro soprusi e ingiustizie sociali, nel privato ha tradito tutti quei principi di cui si era fatto portavoce rivelandosi in-co-e-re-nte” ... Ma cosa ne sanno loro? Cosa ne sanno cosa significhi sapere, solo sapere di avere un figlio mongoloide. Sì, mon-go-lo-i-de. Sorpresa vero? Adesso la chiamano sindrome di Down, quarant’anni fa era solo un orribile mongoloide… Cambiano le parole solo per affrancarci dal senso di colpa… Che ipocrisia…Non guardarmi così…Non l’ho abbandonato …Forse avrei dovuto farlo, l’ho chiuso in un Istituto e ho pagato molti dollari per farlo mantenere. Bene, mettiamo che l’avessi tenuto con me… cosa avrebbe fatto? L’ingegnere? Il commediografo? … Ho vissuto nella congiura per anni, se non fossi stato chi sono nessuno si sarebbe preoccupato di Daniel. Si chiama Daniel, glielo ha messo la madre… Bah… La madre, è colpa sua… Comunque la loro preoccupazione è che si potesse svelare quella che loro stessi consideravano una lurida verità…
Mary: «Non sapevo. Mi dispiace…».
Arthur: «Figlio … Figlio è una parola importante, prevede un rapporto e ancor prima un miscuglio. Rebecca è MIA figlia, lui è solo un mongoloide, un incontro venuto male. Perché fai quella smorfia? La gente inorridisce davanti a ciò che non è in linea con il modello che si è creato, ed io non sono da meno. No, non sono da meno… Però… Però inorridisce davanti alle debolezze altrui, proprio come te…. Già… Si chiama perbenismo, Mary, puritanesimo… Idioti…»
Mary: «Ma che dice? ...».
Arthur: «Adesso ha 40 anni ed io sto morendo… Sto morendo! Anche solo dirlo mi suona strano… Beh, almeno adesso il mondo conoscerà Daniel, glielo lascio! Glielo lascio a rivendicare ciò che è suo se sarà in grado di farlo… Lo lascio a tutti quanti, a tutti quelli che dietro le quinte mi hanno giudicato, a quelli che sbandierano i diritti civili, a quelli che mi hanno insultato in silenzio e quelli che lo faranno urlando…Ti ho chiamata per questo Mary, voglio che tu scriva esattamente quello che sto per dirti e poi rendiamo ufficiale il testamento…
Scrivi».
Mary: «Sono pronta…»
Arthur: «Oggi etc. etc… Io, Arthur Miller, nel pieno delle mie facoltà mentali… Si dice così? Sa tanto di dramma mediocre… Va bene, proseguiamo… Io, Arthur Miller, desidero che tutti i miei beni, tutte le mie proprietà e liquidità vadano ai miei due figli, Rebecca e Daniel... aperta parentesi… Sì, ho un altro figlio! Chiusa parentesi….
Mary: «Mi permetta…ma non credo che così sia valido…».
Arthur: «E cosa te ne importa? Io desidero solo dirlo pubblicamente, poi il tutto andrà legalmente da sé… Esiste un solo testamento che non sia stato impugnato, corrotto, deviato o qualche altra diavoleria del genere? Continuiamo… Maledetto ronzio… Non vuole mollarmi neanche ora che mi sto redimendo!! Maledetto!!! È un rumore sordo… Picchietta sulla testa… tu.tu.tu…. È insopportabile… Dammi qualcosa…».
Mary gli passa una pastiglia ed un bicchiere d’acqua.
Arthur: «Bene… Continuiamo… Ho deciso di lasciare la mia eredità anche a mio figlio Daniel, nato dalla mia relazione con la signora Inge Morath, donna su cui avrei da dire ma taccio, figlio che ho rinchiuso… No, cancella… Non rinchiuso… Che ho custodito…».
Mary: «Ma non è un pacchetto…».
Arthur: «Taci! Cos’è? Anche tu insisti con la licenza delle parole? Rinchiuso ti sembra meno violento? Più morale? Hai bisogno di rassicurarti? Non è figlio tuo! È mio ed io dico: CUSTODITO… Scrivi… Custodito presso un Nobile Istituto che ha avuto in tutti questi anni la premura di occuparsi di lui. Ora che sono vecchio, stanco, morente e con una demenza senile sempre più invadente desidero che questo figlio sia al pari dell’altra… Al pari… Va bene, al pari. Scrivi… Al pari dell’altra, erede di tutto».
Mary: «Ma…».
Arthur: «Voglio uscire fuori. Ho caldo…».
Mary: «Ma fuori si gela…».
Arthur: «Non importa, anzi forse è meglio, chissà che questo meccanismo nella testa finalmente si inceppi e smetta…Smetta…».
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Miller morì il 10 febbraio 2005 nel suo ranch in Connecticut. L’intera vicenda di Arthur Miller e suo figlio Daniel è emersa solo nell’agosto del 2007, inserendolo nel testamento e dando origine a polemiche e nuove interpretazioni dell’uomo Miller.
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da Rossana Carturan, Ognuno finisce come può, Il seme bianco, 2017, pagg. 92, euro 9,90.
Rossana Carturan è nata a Torino nel 1966 e vive a Latina. Alcuni suoi racconti, articoli e poesie sono stati selezionati per la pubblicazione su riviste letterarie come “Terza Pagina” di Sovera Multimedia e “Orizzonti” di Aletti Editore. Vincitrice di alcuni concorsi, tra i quali: concorso di poesia “altre poesie d’amore”; concorso “Alla corte di Alessandro Farnese” organizzato dall’Accademia “Francesco Petrarca” di Viterbo; concorso Racconti nella Rete 2007 con la pubblicazione della Newton&Compton Editore; finalista premio Artistrada 2008.
Nel 2010 pubblica il suo primo romanzo, Quando le volpi si sposano, per Navarra Editore (Finalista Premio Carver 2011). Nel 2012 è finalista al concorso Rai Radio 1 “Tramate con noi” e finalista Concorso IBISKOSNOIR 2012 con il romanzo San Quirino. Nel 2015 è uscito il romanzo Adele (Caracò) e nel 2017 Ognuno finisce come può (Il seme bianco).
Ha tenuto diversi laboratori di Scrittura Creativa e di Poesia.
cardstefano@libero.it
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