FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 47
luglio/dicembre 2017

Mezzanotte

 

INSONNIA

di Marco Ercolani



NON SCRIVERTI
tra i mondi,

imponiti alla
varietà dei significati,

confida nella scia di lacrime
e impara a vivere


Paul Celan

*

Aria intorno alla testa
buio sparire a mezzanotte
ora senza isole nell’impossibile blu
di un bosco dove passano e volano
(domani)
quali uccelli terrorizzati?

Cielo
dipinto dal pittore
quando l’aria non è ferma
e invisibile il vento penetra le nuvole.

A noi resta
l’aria illuminata e senza grida
il paradosso
di un giorno senza morte.


*

Via dal muro
nudi
sequenze di luce dai capelli ai piedi
ma se giriamo la testa
è nero il pozzo che chiami cattedrale.

Alla fine del sogno ci vestiremo:
l’energia del vento impedisce di cadere
quando stelle precise richiamano.

Muta la morte
se scorre l’aria nelle pareti
se la terra è appena sommersa e guizzano i pesci
a indicarci dove potremmo…


*

E gli animali si svegliano
e i frutti rotolano
e qualche bambino è nel rosso della strada
ancora vivo

dentro un paradiso
dove dormire elude il terrore


*

Non dovremmo vedere
i bellissimi gesti neri
di dormienti e guerrieri
nei limpidi vasi attici
ma chiudere gli occhi
all’elegante morte dipinta.

Nella polvere sfigurata chi
non respira più,
chi non respira,
la testa assente?


*

Con le sue verdi foglie
Il ramo mente
la nube lo oscura
proprio oggi la terra
prende lenta congedo

ma noi, come
ricordarla?

Il mondo sotto le palpebre
remoto
noi
a vedere come l’acqua scorre e la nebbia forma idoli

Andiamo verso i buchi nella strada
proviamo a non temere


*

Perché la malattia ti spegne le lacrime?

Visibile
per grazia di buio
sarebbe
questo l’universo
il solo
il mio

dove ansiosamente mettere luci?


*

Caos e risveglio scoglio e faro
sento l’aria in piena notte
mi legge rilegge riavvolge

Quale ultimo soffio cancellerà il muro
dove subimmo torture?

Le cose impossibili
e iniziate
il messaggio liberato

Nessun oppressore
sopra la terra

Nell’ora in cui

Nell’insonnia

Inudibile dio

Quella terraferma

Domani


*

Ci rivediamo
come se il mondo dovesse iniziare solo ora
cappio troppo alto
urlo troppo basso
La notte è lunghissima giocano bambini
alle risposte
Chi sta crollando?

Che dal precipizio
si sollevino stormi
e la scia generi luce
e tutto diventi attonita ragione estatica
misura delle cose


*

Scrivendo nel capogiro
si torna a guardare il muro
e dopo decenni non ombre di rami quelle pietre
ma di corpi secchi o storti
non ombre ma parole
sibilate
non dette
non granito ma tufo

e restiamo dentro quella pietra
tratteniamo il grido pieghiamo la schiena
rifiutiamo di cadere


*

In quale stanza c’è peso di terra?
Si deve andare, ma dove?
Enigma è l’eco, senza rupi né foglie.
I detriti inventano cattedrali,
la pietra acuminata è una statua.

Contemplare la terra dal cielo
e in quel nulla d’aria a cui darà nome e casa
la penna ammutolisca


*

Questo, lo splendore? Questa
la terra dove credo di tornare?
Senza occhi nuovi, come illumino il buio?
Qui vive
chi non vede, chi si finge cieco.
Ma la mano esatta descrive gli invasori,
li disegna, li prevede.
Loro arrivano
ma senza un suono.
Arrivano, al culmine della notte,
e dopo, niente.

Dopo restano le dita,
senza più segni da tracciare.


*

Mare apparente nuvola scura
sapere ogni forma della terra
trattenerne l’enigma
lavorare le parole ferite dalla paura
ritrovare la sabbia prima delle onde.

In cima all’albero
l’uccello non smette di guizzare
sfreccia nell’aria sommersa
fra scogli e coralli canta.
Una visione
il centro scuro della terra
e lacrime di cui non dominiamo il senso.
Chi
domina
chi?

Vento nel mare:
il desiderio che finalmente ritornino,
non come un miraggio della terra
si increspino

abbiano il nome di onde.


*

Soli e senza dèi, noi,
prima che la torre incomba.
Qualcuno attraversa la terra
come fosse solo vento:
uno che
non riconoscemmo non
riconosceremo.


*

Cielo basso, ammutolito,
e l’incantesimo delle dita sulla mia pelle:
le tue,
fino al regno buio
dove l’estasi inizia e spariscono
i corpi,
le tue,
liquido lo sguardo, lucente
mentre precipito in te,
giardiniere perfetto.
In vita, noi, solo per partire e tornare
in quel giorno di luce e d’aria
dove amarci è il centro del vortice
dentro l’unico, fra tutti,
interminabile, bellissimo, nostro, limpido
giorno,
fra cielo e terra, senza pietre d’ombra,
mentre le nostre bocche umide ripetono
ostinate e incantate
il penultimo bacio.




mark.ercolani@libero.it