area domestica con segnali
in ombra queste dita inumate nella carta
l’imprecisione del profilo dei monti oltre il vetro
nella nebbia il valico che frana quei visi
esposti all’insulto dei naufragi
avevi spalle robuste
e la sana ironia che alleggerisce il giorno
voce rassicurante siamo avanti avanti
avanzano incredibili orizzonti la tavola di mendeleev
saltellante di vuoti e pieni il silicio
l’occidente di shengen con
gli urti gentili delle genti
tra cesti di speranza
nell’orto che brilla s’indovina
la radice geologica dei passi
avanzano s’allungano di sete
verso il cuore del pozzo in seccume
riarsa la terra pesta carta
dimenticata come i graffiti sulla roccia
smunti arresi
questa fine della casa che si offre
cerchio di fuoco allo scorpione
il televisore di là rimasto acceso
esterno con pioggia interno con acquario
è l’ora delle
prove di attraversamento distratto
nessuna attenzione a strisce pedonali
zigzag sul bagnato senza ombrello
senza documenti né borsa né portafoglio
schizzare via dalla giunglamercato
obliquando rallento prendo fiato
rispondo alla domanda muta
del venditore ambulante - è da un po’
che mi fissa perplesso -
sai la fine mi tiene d’occhio e voglio
andare senza direzione come i bambini
fare splash nelle pozzanghere
se vuoi se hai tempo appena
il tiglio smette di gocciolare
ti racconto una stupida vita
come stupisce come istupidisce
sai non si vede non si vede nessuno
nessuno è reale piove sempre
nella pioggia sbavano i segnali
ma le pagine accidenti quelle sono
insperate di bellezza
disperante bellezza inarrivabile
poi i lampi i lampi
dall’oltre indecifrabili
martellano le tempie
e l’umano l’umano nausea
mi fa barcollare ma non mi arrendo
calpesto limiti recinti codici
e non mi perdono ché anch’io sono umana
mi lascio vivere
un vivere piccolosemplice che almeno
un po’ faccia coesione
un rimpicciolirmi come
di seme tra semi
ora che mostro viso e braccia aperte
sento accendersi le voci
più libero il pianto più intense le carezze
apro armadi nel petto e
vado per salti voglio dimenticare
zaino zavorra virgole de-finizioni
tanto so che l’altrove
mi tiene d’occhio
e dorme la mia bambina delle meraviglie
ancora irrubata dal mondo
intatta nel suo pianeta
cosa devo farci io con questo spudorato pianeta
cosa devo farci con il terribile che infuria
con le solite frasi il solito sgomento
con la spes ultima illusione
cosa devo farci pure con la poesia
tanto so che la nave
sta trascinando al largo
nel muto acquario dove ci si ritrova
come all’origine nudi oh finalmente
originali miseramente
splendidi nel nulla
inversione sull’appia antica
non sono i miei passi che calpestano
le orme millenarie
qui accade un’inversione
è questa via che mi attraversa
con le sue dita quadre di basalto
dai talloni fino alla fronte
capovolto il tempo
s’accostano le ombre mi parlano
il tono sommesso e familiare come fossero
amici di sempre incontrati al bar
l’aria benevola ridiamo
nel ricordare le passate storie ma
siamo indulgenti visto che
sentiamo di trovarci finalmente
nel chiaro nel vero
in questo tempo oltre il tempo visto che
siamo in tremore sull’ultima soglia
ascoltandone il rombo
alberi ed erbe s’incurvano
annuiscono
alle soste disseminate di dubbi
riconosciamo i semi lasciati in terra
le loro pupille perplesse
ci dicono di cose come
l’oriente il suo rassegnarsi al tramonto
il pulviscolo che siamo il suo ignaro agitarsi
e quelle nostre eliche perfette ignare
la loro instancabile offerta della copia
chiamiamo vita questa gioiosa cecità
e ancora ci ritroviamo siamo noi
giovani anziani tribuni imprenditori
schiavi matrone martiri lenoni
la posa un po’ meno statuaria
un po’ più accigliati rassegnati
lunghi i silenzi poi
come in un abbraccio
scoppia la risata cosmica
la piccola Nicole mi mette sulla testa
una corona di foglie di piantaggine
terra dei silenzi e dei nomi
dove cade l’ultima luce
là sulla terra della riservatezza
dove non oso accostarmi
un profilo drammatico
s‘incurva sui bordi del silenzio
ha occhi penetranti matematici
mentre continua la sua caccia al tesoro
così spontanea così lucida
senza ombra di premeditazione
eppure da tempo non mi lancia più
i suoi eureka felici
come le note di fisarmonica
quando improvvise scoppiano
durante i matrimoni
donna che accogli nutri conservi
il seme la bella carne
in sequenze memorabili
oggi stralunata ti aggiri
nel laboratorio imminente del tramonto
uomo che resti vigile dominus
pugnale innestato a ordinare
ri-ordinare eliminare
ecco ti spengo non ti registro
per fortuna restano i sogni
a illudere a rammemorare
restano tracce di linguaggi
di manufatti di macchinari
con la loro usurata grammatica
a dire l’irrevocabile
ecco il futuro claudicante
che viene a salutare
(il destino che già ci occhieggiava
nei nomi)
le città erano tutte venezia
a Nicole
bello vederti bere l’aria al mattino
mentre salti sul mondo
e s’accendono le arance
ti svegliano svelano
solo a te mondi scintillanti
ammutolisco
sulle frasi che lanci
verso la mia geometria disfatta
mi fai il segno del silenzio
io piccola alunna tu maestra
mi metti seduta spossessata di storia
sotto l’arco di un tempo abbagliante
vedo con le pupille lunari dei gatti
torcersi i meridiani
sotto i tuoi passi di conchiglia
emergono dal tuo mare
isole che non raggiungo
scopro il segreto delle città conosciute
erano simili sì simili ovunque
erano tutte venezia
con il vaporetto dell’ultima corsa
romamor che muore
mi appiattisce d’asfalto
distesa sono un’altra
un’altra lunga storia che sprofonda
ti tengo strette le mani
mia bambina degli oceani
affondiamo insieme
abbracciando la dolce terra
di sopra il rogo si spegne
tu insegui saette di luce
e rondini di un cielo vivo
sei già risalita già bevi
l’aria del mattino
nella luce che declina
fatemi luce non vedo più il percorso
brancolo sul mio profilo non mi riconosco
non ti riconosco
respiro cenere piove dal cielo
dove l’umano è in fumo
piove dal suo fumo
cenere di boschi e d’anime
piove tenace l’errore
arrivi a me dal mare
senza giustizia né perdono
confinato nel campo dove
tuo figlio non riesce a giocare
ha negli occhi domande raggrumate
padre perché questa rete
padre voglio tornare non m’importa morire
per guerra o fame
qui più atroce l’indifferenza
homo insipiens tuo l’ideogramma
coltello sulla gola t’immoli
per un cielo del nulla
dilegua con te un cammino millenario
si spalanca l’abisso
nella luce che declina
una casa che prima non c’era
una mano che scrive
semplicepotente gesto
capace di parlare al tempo
mano che scrive ostinata
prima del nuovo diluvio
scrive di cose quotidiane
eterne e inesorabili come
una nascita una fioritura
una casa che prima non c’era
o la festa dei geni quando si mescolano
o l’entusiasmo quando insieme inseguiamo utopie
(lasciavamo graffiti sulle rocce
i nostri cerchi i fuochi le impronte
di mille mani)
mano che scrive ostinata
a fermare il tremore
aprile-maggio 2016
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