FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 42
aprile/giugno 2016

Residenze

 

MALOCA
Una casa per tutto il villaggio

di Loretta Emiri



In Brasile, il termine maloca è utilizzato per definire il villaggio o la grande casa comunitaria indigena. Più si avvicinava alla maloca degli yanomami del Wakathau, più forte batteva il cuore di Fiammetta. Era fuggita in Amazzonia per sottrarsi alle lascive attenzioni del decrepito continente europeo. Aveva venduto tutti i beni materiali accumulati, anche i più preziosi, nessuno dei quali aveva riempito il vuoto interiore che la corrodeva. Follemente innamorata, era corsa dietro all’affascinante terzo mondo. Sapeva che le emozioni, riflessioni, scelte esistenziali fatte, nella maloca si sarebbero incontrate, o scontrate, con le aspettative.

Cosa l’attendeva?
Passò dal sole a picco dell’esterno alla penombra dell’abitazione, ed ebbe la sensazione di fare un salto nel buio. Quando il cuore tornò a batterle normalmente, gli occhi presero a guardarsi intorno. La prima cosa che videro furono i raggi di luce che entravano dalle fessure del tetto di foglie e che – come applique suggestive – attenuarono dubbi e apprensione del salto esistenziale.
Con i tizzoni disposti a raggera, i focolari erano distribuiti in circolo tutt’intorno alla maloca. Nessun divisorio, solo pali delimitavano lo spazio riservato ai singoli nuclei famigliari. Rossicce amache di cotone pendevano intorno ai fuochi. Appoggiate o attaccate lungo la parte bassa della casa si scorgevano le poche suppellettili di cui gli yanomami hanno bisogno per vivere: coltellacci, pentole, cesti, archi, frecce, strumenti da lavoro, astucci contenenti tinte e penne per adornarsi.

Due aperture nel tetto consentivano la fuoriuscita del fumo prodotto dai focolari, senza incidere sulla penombra del luogo necessaria per mantenere lontani insetti voraci. La parte centrale dell’abitazione era un grande spazio vuoto, da cui s’innalzavano due imponenti pilastri di legno che sostenevano l’immensa volta del tetto.
A Fiammetta sembrò di trovarsi in un tempio: come altrimenti definire un ambiente in cui armoniosamente convivevano più di sessanta persone? E che fosse davvero il Tempio della Vita ne ebbe conferma quando seppe che la maloca è la rappresentazione materiale della cosmogonia yanomami; quando nella piazza centrale lei stessa prese parte a danze, canti, feste, rituali; quando vi assistette alla cremazione del buon Xico.


a sinistra: "Maloca dos Wakathautheri", di Loretta Emiri
a destra:"Maloca", disegno di Atriyãno Hewenahpitheri


Nei momenti in cui la nostalgia per gli indios e l’Amazzonia si fa più acuta, Fiammetta fissa lo sguardo sulla pagina di un libro in cui ha fatto stampare la fotografia della maloca, scattata da una non-india, e il disegno eseguito da uno yanomami. Le due immagini mettono plasticamente in evidenza le differenze culturali esistenti tra la visione occidentale e quella indigena. La foto dà alla maloca una dimensione verticale. Il disegno è una vera sintesi etnologica: la grande casa comunitaria, rappresentata come uno spazio orizzontale, parla di una società deve non ci sono strati sociali sovrapposti, categorie, classi, caste, élites, ma un gruppo umano indiviso e paritario, che ha adottato un sistema sociale fondato sull’uguaglianza e sul collettivismo.
Quando riconduce il pensiero alla privilegiata esperienza fatta, alla mistica residenza yanomami, alla foresta verde più della speranza, in Fiammetta si attenua la fatica del vivere.


loretta.emiri@alice.it