FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 39
luglio/settembre 2015

Svaghi & Feste

 

LODE ALL’ESSENZA DELLE COSE
Sul libro di poesia di Vincenzo Loriga, Non arrenderti alla luce

di Marco Testi



Uno dei rari casi in cui le parole non servirebbero a molto. Come dovrebbe essere per l’universo della poesia, che etimologicamente si fa da sola, si impone con la sua essenziale e cruda nudità. Come alcuni nudi novecenteschi nei quali la calcinante immobilità è pari alla loro enigmatica auto-affermazione nello spazio. Non arrenderti alla luce di Vincenzo Loriga fa parte di questo universo auto-propositivo, che emerge senza apparente sforzo dalle radici dell’essere.

Uno dei decani della psicoanalisi junghiana in Italia, compie in questo piccolo volume alcuni prodigi non esattamente d’attualità nei nostri tempi di proclami ad alta voce o di sussurri di inanità. Il primo è di non dipendere dal suo vissuto di psicoanalista. Di non citare espressamente ma neanche indirettamente, le parole di quell’universo. Nella misura in cui quelle parole restano fuori, la vita entra in una essenzialità che colpisce. Si ha come l’idea che – al di là della lezione ermetica che ovviamente non è passata invano, ma che qui assume la sostanza di una delle fonti frequentate e assimilate senza residui – la scarnificazione del tessuto connettivo della lingua sia arrivata ad un punto limite. Ma non perché faccia parte di un esperimento. Qui il lavoro non è solo sulle parole, ma sull’essere. Essere inteso come aggallare della necessità sull’orizzonte fàtico.

È una delle rare volte in cui la dinamica significato-significante non si manifesta attraverso l’evidenza dei meccanismi di “traduzione” e decodificazione. Gli stessi orizzonti simbolici – non quelli abusati che sconfinano nella fissità allegorica – qui sono parte delle cose. Non è un rem tene verba sequentur, perché significherebbe concedere troppo al meccanismo, alla traduzione. Qui si avverte la prossimità delle parole alla materia originaria.

      Non arrenderti alla luce. Sai
      cos’è il timore? Conosci la grazia
      delle cose? perché non impari
      da loro l’arte di sopravvivere?
      Come, nella loro immobilità, resistono
      alle tentazioni.

La tentazione dell’essere, assunto come ritorno alla circolarità del tutto, qui è evidente, anche se essa assume talvolta le increspature del panismo, o di un deismo inquieto, e poi di un personalismo dubitante ma conscio delle maschere che nascondono l’essenza:

      Patii la vita e sono il dio d’amore,
      il dio che non perdona ai malvolenti,
      Cristo risorto, onda di luce, immagine
      Che preme all’orizzonte…
Tuttavia vi è qualcosa d’altro che preme sulle porte della percezione e della manifestazione verbale, qualcosa che investe l’universo intero non solo della poesia, ma dell’esistenza stessa. È l’approdo finale, il non luogo in cui avviene la ricongiunzione con il ciclo eterno. L’ombra dell’Isola dei morti di Böcklin fa capolino in alcune liriche:
      la calma del lago.
      Il piombo dei morti.
      Anitre in corto volo.
Ma soprattutto in “Sul lago”:
      La nave dei morti
      È passata.
      È passata e non ritorna.
      - Tornerà prima che aggiorni.
      Tornerà per caricare
      Gli ultimi relitti.
      - Piange il salice…
È la “quieta e lucida verità” di cui scrive giustamente Bàrberi Squarotti nella nota introduttiva che si afferma in tutta la sua non dicibile necessità. La bellezza appare qui come una parte di questa circolarità, assai prossima alla “grazia delle cose” cantata da Vincenzo Loriga, necessaria nella sua molteplice parvenza all’affermazione di quell’amore che rimane uno dei luoghi della sua poesia:
      Amai la vita. Amai ciò che ribolle
      in superficie.
      Amai il fiore d’ibisco.
      Amai ciò che non dura.


Vincenzo Loriga, Non arrenderti alla luce, Book Editore, 2015, con una nota di Giorgio Bàrberi Squarotti, 64 pagine, 12,50 euro.




Vincenzo Loriga
Ha operato come psicanalista di formazione junghiana fra Roma e Milano.
Cofondatore e redattore delle riviste “La pratica analitica” e “Quaderni di psiche”; fondatore e direttore dei quaderni di cultura psicanalitica “La ginestra” (Franco Angeli, Milano).
Ha pubblicato il volume di saggi L’angelo e l’animale (Raffaello Cortina, 1990). Ha collaborato, come saggista, alle riviste “Il Cannocchiale”, “Pagine”, “Tempo presente”. Attualmente collabora ai “Quaderni radicali”. In campo più strettamente letterario: il volume di racconti L’igrone (Zone Editrice, 2002) e i libri di poesia: Materia (Rebellato, 1958), Regina degli Inganni (Crocetti 1985, con una introduzione di Cesare Viviani), Sulla punta delle dita (Book editore, 2004), Non sentirò più Scarlatti (Book editore, 2009), Lisboa Antigua (Quaderni del Battello Ebbro, 2013) e Non arrenderti alla luce (Book editore 2015, con una introduzione di Giorgio Bàrberi Squarotti).
Su di lui nel 2014 è stato realizzato un film-documentario ideato da Agostino Bagnato e diretto da Enrique Fortaleza: Vincenzo Loriga: il poeta esce dal sogno. Vive a Roma.


testi.marco@alice.it