*
È un’estate come quelle di una volta.
Il caldo non si soffre, cantano le cicale,
il verde è brillante e l’aria porta più odori
di quelli che possiamo sostenere.
Le rondini sbrigano le loro faccende,
i grilli pensano alla notte
e noi aspettiamo
che questo tempo sospeso
questo tempo che promette
il mondo
non smetta prima
di averci consumati
tutti
interi
fino a quando la fine
non fa più paura
e il desiderio
non si guarda più alle spalle.
*
È mio l’esofago del fosso
che beve tutta questa corrente
irruente e finalmente respira.
Nel campo accanto sembra
battigia appena battuta
dall’onda, ancora bagnata
e vigilata da mille bersaglieri.
Come sono attenti e seriosi,
così zitti e ritti. Pelati,
invece, in altro luogo, i canali,
con quella morbida bambagia
che pertiene alla tosatura
dell’erba, che lenta sbiadisce in fieno.
*
C’era una dolcezza, la sera, quando imbruniva.
Un arrendersi all’abbraccio del buio,
un lasciarsi andare. Nessun sospetto
che significasse la fine.
Tutto era attesa
rilascio
cominciamento.
O forse la fine era dolce,
come una ricompensa.
*
Finché ci sono le rondini
è estate, il cuore sta
da qualche parte
poggia su questi
picchi guizzanti
incastonati nel vuoto
che stride a strapiombo.
È un grido fuori e dentro.
Sono arrivate
le consanguinee.
*
Non è più il colmo dell’estate
quando l’aperto ti spaura
e tutto può succedere
nel caos. Questo è un angolo
limitato della terra
dove l’aria profuma
dei prodotti da scoprire
nella pacciamatura.
Qui siamo pochi
acquietati
(sommessi)
in attesa
della coda insospettata
(inattesa)
della stagione,
della fine maturata
delle cose,
di un nuovo cerchio.
*
ti posi lì
più in alto che si
può
senza paura
perché è la tua
natura a dirti che è
il posto per te
sei grande e leggero
bianco in innato
equilibrio sull’ultimo ramo
spiegato se avverti
la mia ombra e ti libri
di nuovo nell’aria
piano
come in un ripensamento
lento, sopraggiunto
per caso
sei a casa
in quel corpo avvolgente
e nella sua distensione
allo spazio che forma
un continuo di posa
pensiero
riposo
adesso viri veloce
e mi sorvoli elegante
incurante
per dire che è solo un gioco
guardarmi e fare
una soffice mano
*
Come sei fermo.
E poi respiri.
E poi mormori.
Così incorniciato tra le ante.
Così invisibile, vistoso.
Sei la forma che hai:
albero, acero.
Creatura verticale,
anima lunga.
*
Se guardi le foglie dell’acero
vedi che aspetta il vento.
E poi si piega.
Il vento viene
anche se lui
non lo attende.
Lo cerca.
Lui c’è: risponde.
*
Quando mi espando
verso l’aria azzurra
(che sta sempre in alto)
porto le tue membra dentro
a dispiegarsi nella luce.
Hai detto a Paola quel giorno
che m’intravide nell’androne
della casa antica in Annicco
dell’architetto giardiniere:
Non so se è rosso
ma ha un bel portamento –
anima lunga, flessuosa
(piena di grazia, resiliente,
come volevi e non eri).
Sono un acero verde
e non le spiace:
ho tutti questi frutti corallo
attaccati all’intera estate.
Mi accendo all’inizio e alla fine
dell’aperto
e sono trasparente, la incanto,
immobile, fremente.
Le narra il mio silenzio
quando ascolta
ma a volte adesso dice:
Francesco.
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