Delfina ebbe la sensazione di vivere un incubo: Erano partite per fare una vacanza. Una vacanza prevedeva rilassamento, gioia, distrazione, tutte cose gradevoli ed effimere, non era contemplato un cambiamento esistenziale. Si fissarono a lungo, in silenzio, entrambe sapevano che l’altra non avrebbe ceduto, che semmai avrebbe incalzato la propria convinzione. Taciturne, raggiunsero i ragazzi in giardino.
Giulio e Alberta erano lì a farsi i dispetti nella disapprovazione della cugina che urlando tentava disperatamente di farli stare buoni. Adele chiamò a sé i figli e con grande calma, se pur con una convinzione che lasciò basita Delfina, perché mai l’aveva vista così sicura, spiegò loro del lavoro e dell’intenzione di stabilirsi a Torino. I ragazzi al momento pensarono fosse uno scherzo, la città tanto festosa da sembrare a tratti scanzonata nelle loro giovani teste si prestava anche ad una burla contagiosa. Quando il timbro di voce di Adele si fece più cupo, più serio, Giulio, per primo avvertì un forte malessere. Le gambe gli si indurirono fino a cedergli completamente. Stava per cadere quando Delfina fece appena in tempo ad evitargli lo svenimento, sollevandolo per le braccia.
- Giulio, per carità! – lo sorresse fino alla panchina gettando uno sguardo di rimprovero su Adele, mentre lei si occupava di Alberta che la stava maltrattando a parole.
- Adesso basta! – urlò Adele verso la famiglia – Adesso, davvero basta! Non vi sto abbandonando, né vi sto costringendo! Questa è la mia decisione. Siete liberi di scegliere. O restate qui con me o andate a vivere con vostro padre!
Sulla parola “padre”, tutti fissarono increduli Adele. Avevano di fronte una donna che non conoscevano. Che per qualche strano motivo era andata fuori di testa. Giulio pensò che la mamma fosse troppo stanca e che quel caldo innaturale, le faceva sudare anche i pensieri; Alberta vide in lei una donna sbagliata da sempre, che non era stata capace di tenersi un marito; la zia comprese che la nipote, così libertina e moderna per essere accolta dalla gente, avrebbe pagato a caro prezzo quella scelta azzardata. A questo punto Delfina nello scompiglio generale propose di tornare a casa al più presto e di ragionare senza farsi prendere subito da cattivi pensieri. La proposta fu accolta in silenzio all’unanimità ed il giorno dopo erano già sul treno di ritorno.
Adele appoggiata come all’andata, con la testa sul finestrino, ripensò a quando solo qualche giorno prima, nel suo tragitto di andata si fosse sentita così carica, piena di aspettative, mentre ora un senso di pace appagante la completava; quello che era andata cercando per anni, forse da sempre, si stava concretizzando, quei pochi giorni le sembravano, ora, un presente vivo. La vita può sorprendere in poche ore, restituendo uno strano senso di eternità.
Il viaggio fu quasi tutto nel silenzio, nessuno dormiva, erano tutti assorti e confusi. Scambiavano poche battute tra loro, solo le necessarie: la richiesta di un bicchiere d’acqua o di un fazzoletto e altre cose simili. Arrivarono presto. La città era assorta in un torpore timido, quasi a non voler intromettersi nel caos familiare imbarazzante.
Nessuno era lì ad attenderli, anzi non proprio, qualcuno c’era ma era come se non ci fosse per loro, eppure il suo sguardo assente, perso in chissà quale limbo di tempo, diede a tutti il senso del concreto di essere tornati a casa: era Amilcare che in compagnia della signora Carminia, li attendeva nella sala del camino. I ragazzi salutarono svogliatamente e raggiunsero le loro stanze, desiderosi di riprendersi dal viaggio e dallo scombussolamento che quei pochi giorni aveva provocato nelle loro giovani vite.
Il brano è tratto dal romanzo di Rossana Carturan Adele, Caracò Editore, 2015, pagine 171, euro 12.
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